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«Quale tizio?»

«Non lo so. È spuntato fuori dal nulla e l’ho visto per un secondo soltanto. Ha fatto una cosa del genere…» Phil mimò qualcuno che si portava il fucile alla spalla, «…e ha fatto fuoco ancora prima che fosse in posizione. Solo un colpo. Bang. Io mi sono buttato a terra e non ho sentito più nulla per un paio di minuti. Così, alla fine, ho sollevato la testa e il tizio era sparito. A dieci metri da me, però, giaceva un cadavere.»

«Non gli hai sparato tu?»

«No. Ve l’ho detto. Ma lo ha fatto qualcun altro. Sono andato a osservare il corpo. Aveva un solo buco nel centro della fronte, come se ci avessero disegnato un bersaglio. Chi diavolo era quello? Che cavolo sta succedendo qui?»

«Deve essere stato John,» dissi.

Nina scosse la testa. «John è un uomo di città. Non ce lo vedo avvicinarsi furtivamente a uno di questi uomini e farlo fuori con un solo colpo. Per quel che ne so non ha mai usato un fucile da caccia in vita sua.»

«Allora chi è?»

«L’Homo Erectus,» disse. «Deve essere lui. Gli altri sono venuti a uccidere lui, non noi.»

«Non ci credo. Avrebbe lasciato che uccidessero prima noi.»

«Tu sei suo fratello, Ward.»

Non capivo che differenza potesse fare.

Quando tornammo da Connelly lo trovammo in piedi, appoggiato a un albero, ma diritto.

«Cristo, sceriffo, si risieda.»

«Sto bene.»

«Signore, con tutto il rispetto, non è così,» disse Nina. «Sta sanguinando come un maiale sgozzato.»

L’omone guardò in basso e vide le scure macchie di sangue che avevano cominciato ad allargarsi sui suoi pantaloni. «Avete ragione. Faremmo meglio a sbrigarci, allora.»

Infilò una mano nella tasca del cappotto e tirò fuori il GPS. La mano tremava, ma non troppo. Un lampo dello schermo, e poi lo sceriffo indicò con un cenno della testa la direzione da seguire: davanti a noi sulla destra.

Procedemmo tra gli alberi. Superammo il corpo dell’altro cecchino, sdraiato schiena a terra. Phil aveva ragione: chi lo aveva ucciso, era un professionista.

Dopo un po’ il terreno si appiattì su entrambi i lati, finendo per formare una sorta di tunnel fiancheggiato da alberi e ombre: ipotizzai che si trattasse del letto di un corso d’acqua ormai asciutto o più probabilmente di un canale dell’era glaciale. Anche il vento riprese vigore, e noi ci muovemmo con meno precauzioni, confidando che avrebbe coperto il rumore dei nostri passi.

Connelly inciampò, si fermò, poi perse l’equilibrio e cadde in avanti. Feci per chinarmi, ma lui scrollò il capo lentamente.

«Andate,» disse.

Mi tolsi il cappotto e lo coprii.

E così ripartimmo. I cespugli erano come enormi palle di cotone ghiacciato. I rami più bassi degli alberi oscillavano in continuazione, come mossi dalle mani di un pazzo. Qualcosa sibilò alla nostra sinistra, ma stimai che fosse il vento.

Nina allungò il braccio e si fermò. «Laggiù.»

Guardai in quella direzione. Sessanta metri più avanti si poteva notare che i tronchi lasciavano un vuoto scuro.

Doveva essere per forza l’orlo del precipizio.

Phil bisbigliò. «Andiamo avanti diritti?»

«No,» rispose Nina. «Tu passerai dalla destra, io al centro. Ward, tu arriverai dalla sinistra. Appena vedete qualcosa, sparate e poi urlate forte.»

Annuimmo. Phil si allontanò velocemente, infilandosi nel sottobosco il più silenziosamente possibile.

Nina mi fece un segno di avvertimento col dito, poi proseguì diritto. Dopo aver fatto un mezzo giro a destra, mi avviai a mia volta, procedendo lungo il fianco del declivio il più velocemente possibile.

«È tutto a posto,» continuavo a ripetere a me stesso. Fino a che non udii uno sparo.

A quel punto tutto era nelle mani degli dèi, e io potevo solo sperare che mi stessero osservando e che non ce l’avessero con me.

Nina cominciò a rallentare, a fare meno rumore. Dopo cinque minuti di faticosa avanzata aveva percorso forse trenta metri. Sulla destra poteva distinguere un’ombra che procedeva sul fianco del ripido vallone: Phil. Scomparve dopo pochi secondi dietro qualche albero o in un avvallamento. Non riusciva a vedere Ward sulla sinistra. In quella direzione il terreno era irregolare e scosceso, quindi lui doveva essere stato costretto a passare molto largo. Si augurò che nessuno di loro si perdesse e che nessuno morisse. Non in quel posto, con quel freddo.

C’era un buio pesto. Gli alberi ora le lasciavano solo una via per avanzare, ma i cespugli rendevano comunque difficoltoso seguirla. Passò sotto un tronco abbattuto, si appoggiò contro alberi che invece erano ancora vivi. Sebbene fosse in parte coperto dal rumore del vento, riusciva a sentire il gorgoglio solitario dell’acqua. È strano come si possa intuire quanto l’acqua sia gelida solamente sentendone il rumore.

Proseguì con cautela, un passo dopo l’altro. Cercò di scivolare, ma la neve e gli arbusti lo rendevano impossibile. Doveva continuare a sollevare i piedi, con piccoli passi accorti.

Improvvisamente, bang — udì uno sparo.

Si voltò rapidamente. Da dove veniva? Non da sinistra, a meno che…»

Poi sentì un urlo, soffocato e indistinguibile. Proveniva da destra, ne era certa. Doveva essere Phil che aveva colpito qualcosa.

Lasciò da parte ogni prudenza e avanzò con decisione. Ora doveva arrivare in fondo velocemente. Sperava che anche Ward avesse sentito; lui sarebbe arrivato in fretta, ne era certa.

Teneva la pistola puntata davanti a sé, abbassando la testa per evitare i rami con le loro fredde e pungenti frustate, e correndo il più velocemente possibile. Era come lottare contro ragnatele spinose. Si spostò per evitare uno sbarramento di vegetazione. Poi udì un altro urlo, capì che probabilmente significava guai in vista, e trascurò di prendere le dovute precauzioni. Ancora quattro passi e poi cadde.

Mi ero allontanato troppo. Quando ero partito avevo valutato bene la distanza, ma ogni volta che cercavo di discendere all’interno della gola, c’era qualcosa che me lo impediva. Alberi diritti o abbattuti; piante impossibili da scavalcare; rocce scivolose che improvvisamente si separavano formando voragini che non potevo superare con un salto, ma solo aggirare. Continuavo a essere spinto sempre più lontano sulla sinistra, lungo una cresta che continuava a restringersi.

Alla fine abbandonai questa strada imprecando in silenzio, e tornai indietro salendo fino a che non attraversai un valico roccioso che mi permise per un po’ di avere la strada libera. Continuavo a trovarmi nell’impossibilità di scendere diritto. Il tempo trascorreva inesorabile e ci stavo impiegando troppo. Desiderai che fosse giorno e che Nina avesse chiamato i federali, l’esercito o le Giovani Marmotte. Invece, a coprirci le spalle avevamo due poliziotti, uno dei quali era sdraiato a terra ai piedi di un albero circa cento metri più indietro e in preda alle convulsioni.

Alla fine riuscii a trovare un piccolo passaggio che conduceva, attraverso una distesa di rocce nude, verso uno spazio aperto alla sommità della gola che pensavo di poter scalare.

In quel momento udii uno sparo.

E forse anche un urlo qualche secondo dopo, ma non ne fui sicuro.

Infilai la pistola in tasca e mi aggrappai alle rocce davanti a me. Le avrei superate, senza pensare al dopo. Mi tirai su, mi lasciai scivolare dall’altro lato e vidi che davanti a me il terreno era più sgombro. Finalmente.

Quando toccai terra, cominciai a correre a più non posso.

Cadde velocemente, cercò di aggrapparsi a qualcosa, ma perse la pistola. La caduta fu rumorosa e breve, anche se a lei sembrò durare un’eternità; poi Nina urtò con la pancia contro qualcosa di duro che la fece ruotare così rapidamente da farle girare la testa. Atterrò di fianco come un sacco di legna lanciato da un aereo.