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Fui costretto a risalire per una cinquantina di metri, poi curvai nuovamente a destra dirigendomi verso il ciglio della gola, che ora riuscivo a scorgere. Correvo veloce, senza preoccuparmi del rumore. Ormai era troppo tardi per farmi dei problemi.

Arrivato in cima scivolai dietro un albero e mi accovacciai di lato; estrassi la pistola, vi infilai un caricatore pieno, inspirai e mi alzai.

«Ciao Ward,» disse una voce da sotto. «Ti stavo aspettando.»

Feci mezzo passo avanti e poi mezzo verso l’albero. Guardai in basso nella gola. Vidi qualcuno sdraiato a terra ai piedi della parete sulla quale mi trovavo; teneva la pistola puntata davanti a sé. Pensai subito che fosse Paul, ma poi mi accorsi che era John e capii che non era stato lui a pronunciare il mio nome.

A una decina di metri c’era Nina, su una linea diagonale rispetto al fiume. Aveva una posizione molto strana, proprio in mezzo al torrente. Poi vidi che aveva il braccio di un uomo intorno al collo e un’arma puntata alla tempia. L’uomo era Paul.

«Lasciala andare,» gridai.

«Non prima di averla uccisa.»

«Ti sparerò.»

«Non credo. John non può farlo, e nemmeno tu.»

Mi resi conto che aveva ragione. Sì era messo dando la schiena alla parete opposta della gola. Con me e John entrambi dallo stesso lato, nessuno di noi due poteva sparare senza colpire Nina.

La guardai. «Fallo, Ward,» disse.

Feci un passo indietro per coprirmi. Paul sparò e io credetti che avesse ucciso Nina, ma poi capii che aveva puntato la pistola contro di me. Il proiettile mi passò vicino. L’arma tornò immediatamente alla tempia di Nina.

«Sì, fallo,» disse. «Dai, ora tocca a te.»

«Ward, sparagli, Cristo santo,» urlò John.

«Non è sulla mia linea di tiro.» Non sapevo che fare. Cercai di muovermi lungo la riva, ma Paul mi vide e modificò la sua posizione quanto bastava per proteggersi da me e da John.

«Cosa conti di fare adesso?» urlai. «Te ne torni a Seattle? È bene che tu sappia che non è esattamente dietro l’angolo.»

Paul si limitò a ridere.

Per lui era come un gioco. Sapeva che stavo arrivando e mi aspettava. Voleva che fosse uno di noi a farlo, provocato fino al punto di commettere un terribile errore.

Altrimenti ci avrebbe pensato lui senza battere ciglio e allora sarebbe rimasto lui contro di me e contro un uomo ferito. Non nutrivo dei sentimenti particolarmente positivi nei confronti di John in quel momento, ma non potevo fare qualcosa che avrebbe potuto costargli la vita.

Proprio allora John sparò.

Mancò il bersaglio. L’Homo Erectus fece un altro passo indietro trascinando Nina con sé.

Guardai in su lungo la gola e mi resi conto che se l’avesse uccisa in quel momento e avesse poi risalito velocemente il torrente, sarebbe scomparso prima che io fossi riuscito ad avvicinarmi. Sapevo che il tempo a nostra disposizione stava scadendo.

Avrebbe ucciso Nina e poi sarebbe scappato.

Gli occhi di Nina erano fissi su di me. Vidi la sua mano che si muoveva. Sentii che mi diceva che quello era il momento di fare ciò che ritenevo giusto e vedere come sarebbe andata.

Feci un passo indietro nella direzione da cui ero arrivato abbassando le braccia per un momento. Le mani si stavano congelando e così la mia testa, completamente vuota e al tempo stesso occupata da un unico pensiero.

Tutto quello che vedevo era il volto di Nina.

Poi, all’estremità del mio campo visivo, notai un movimento sul ciglio della parete opposta della gola. Non proprio sul bordo, ma leggermente più dietro. Vidi qualcosa muoversi, impercettibilmente.

Sollevai il busto.

«Vaffanculo, Paul,» dissi. «Non ti darò questo piacere.»

«Come vuoi.» Mi guardò dritto negli occhi e spinse ancora più forte la canna della pistola contro la tempia di Nina. «Allora lo farò io per te.»

La figura dall’altro lato scivolò più vicino, fin quasi al bordo della parete. Continuai a guardare Paul senza lasciar trasparire nulla.

«Ward, sparagli oppure lo farò io.»

«John, non fare nulla.»

Aspettai un attimo. Poi scattai a sinistra e gridai: «Ora!»

Paul si voltò, arretrando per tenere Nina tra me e lui.

Connelly sparò. Approfittando dell’angolo di tiro a lui favorevole, dalla parete opposta della gola, piantò una pallottola nella spalla di Paul.

L’Homo Erectus ruotò, con la pistola spianata davanti a sé, e per un prezioso istante lo vidi senza nessun ostacolo tra me e lui. Sparai tre volte, colpendolo a una spalla, a un braccio, a una gamba.

Si voltò goffamente cercando di trattenere Nina, ma lei si dimenò e scalciò riuscendo a liberarsi dalla morsa. Cercò di correre ma riuscì a fare solo qualche metro prima di cadere.

Nel frattempo stavo già scendendo lungo la parete. Nella discesa sparai ancora, e stavolta lo centrai al corpo. Paul andò a sbattere contro la roccia, perdendo la pistola.

Mi frapposi rapidamente tra lui e Zandt. Non ero sicuro che sarebbe servito a qualcosa, ma John non sparò.

Attraversai il torrente. Camminai nell’acqua gelida fino all’altra sponda e mi fermai a meno di due metri.

Alzai il braccio puntando la mia pistola su di lui.

Paul era disteso ai piedi della parete rocciosa e sanguinava copiosamente. Era difficile credere chi fosse.

Mi guardò.

Il suo viso era così simile al mio.

Cannon Beach

Quattro giorni dopo seguimmo il consiglio di Patrice. Scendemmo fino a Pordand e poi ci dirigemmo verso ovest sulla Route 6. Piovve lungo tutto il tragitto fino a Washington e continuava a piovere anche quando, per arrivare sulla costa, attraversammo la Tillamook State Forest. È una bella foresta, piena di alberi, come non lo è mai stata prima. Era stata oggetto di disboscamento per molti anni fino a quando, nel 1933, un gigantesco incendio aveva lasciato una zona devastata proprio nel cuore della foresta. Quando le fiamme si estinsero, più di trecentomila acri di bosco erano andati in fumo e c’è chi dice che le ceneri incandescenti ricaddero su navi a quasi mille chilometri di distanza. Ma alla fine l’incendio fu spento, e vennero piantati nuovi alberi. Per qualche strano scherzo del destino ci furono altri tre incendi nel 1939, nel 1945 e nel 1951, come se fossero una maledizione che si ripeteva ogni sei anni. Cosi la gente piantò altri semi: associazioni di giardinaggio, scout, gruppi civici venivano a passare i weekend lì per migliorare le cose. Oggi sembra una foresta come tante altre. Se non si conosce tutta la storia, si potrebbe pensare che la foresta sia sempre stata così.

A nessuno di noi due venne in mente di accostare e andare a fare una passeggiata. E sarebbe stato lo stesso anche se non avesse piovuto. Avevamo fatto indigestione di alberi.

Nina non mi permise di sparargli.

Lo stavo per fare, sul serio. Non vedevo un’altra soluzione: era l’uomo che aveva ucciso i miei genitori e distrutto la mia vita; aveva ucciso la figlia dell’uomo che giaceva dall’altra parte della gola e che mi trafiggeva le spalle con lo sguardo; aveva ucciso persone il cui nome non avrei mai saputo e le cui morti sarebbero potute rimanere per sempre ignote. Non sapevo se John aveva ragione a odiarmi per aver fatto cilecca l’ultima volta, ma mi rendevo conto che l’avrebbe avuta se avessi fatto lo stesso errore.

Nina si mise alle mie spalle. Non disse nulla, né tentò di prendere la mia mano. Avvertii solo la sua presenza lì, abbastanza vicina da sentire il calore del suo respiro sul mio collo. Osservai l’uomo ai miei piedi che cercava di muoversi, le mani che scivolavano fiaccamente sulle rocce, come piccole creature pallide ormai vicine al termine della loro vita. Non so come vadano le cose con i pazzi, ma sicuramente hanno forza di volontà. Probabilmente dipende dal fatto di non avere i freni inibitori che invece abbiamo noi, ma può anche darsi che mi sbagli; forse le loro menti sono semplicemente più lucide, non offuscate dalle angosce e dalla moralità che ostacolano noi. Forse hanno il coraggio di rivolgere il loro magico pensiero in alto, alle stelle. A ogni modo, la forza di volontà non era sufficiente per lui in quel momento. Non poteva muoversi, non aveva pistola e non era in grado di nuocere a nessuno.