FANTOZZI E LO SCI
La sua prima esperienza di un fine settimana sulle nevi Fantozzi l'ha fatta a Limone Piemonte. Arrivò il sabato pomeriggio. La montagna era tutta verde di prati. (La neve scompare quando arrivano i non abbienti: questa è la regola.)
Tutti subito in un grazioso albergo che sa di legno di pino. Una grappa al bar e via verso i campetti e alle sciovie. Alcuni, come il Fantozzi e il ragionier Fracchia, che non avevano gli sci, furono mandati ad affittarli in un negozietto fuori del paese. Un omino guardò con diffidenza gli scarponi giganteschi di Fracchia (pagati 25 mila sanguinose lire) e sentenziò con decisione: “Quelli non servono a nulla!”. Fracchia allora, che alla partenza si era dichiarato uno sciatore provetto, abbassò la testa e confessò pubblicamente essere quella la prima volta in vita sua che vedeva la neve. L'omino gli prese la misura dei terrificanti scarponi e gli misurò la statura, dopo di che adattò e gli consegnò un paio di sci di 12 metri di lunghezza, con colossali racchette da neve di canna d'India come se ne usavano nelle prime spedizioni polari. Fracchia d'altronde aveva tutto l'aspetto esteriore di un vecchio esploratore polare. Si era fatto prestare da un suo amico, certo Filini, un colossale paio di calzoni alla zuava foggia 1923, kolbacco e impermeabile con cintura arrotolato in vita che fungeva da giacca a vento. Fracchia dunque prese gli sci e provò a portarli come si porta della legna da ardere, cioè a braccia tese in avanti col paio di sci stesi sopra. L'omino gli insegnò la giusta posizione (sci bilanciati sulla spalla destra, con le punte in avanti). Si fece aiutare e disse “arrivederci!”. Voltò i tacchi, eseguì un brusco dietrofront per uscire e fece crollare con le code degli sci una vetrata di metri 12 per 4!
Arrivarono sul campetto all'imbrunire: c'erano 40° sotto zero e tirava un vento gelido. I “gitanti” avevano nella maggioranza perse le orecchie. Alla sciovia a gancio di legno c'era una coda di due chilometri. Si infilarono gli sci e si misero in coda. Tutti avanzavano lentamente: sembrava la ritirata di Russia alla Beresina. A un tratto, senza logico motivo e avvisaglie di sorta, Fracchia si schiantò sull'erba. Rimase a lottare in un groviglio di sci, racchette, fiaschi di cognac e calzoni alla zuava per quasi un'ora, senza la solidarietà di nessuno: nemmeno uno che gli tendesse una racchetta per aiutarlo. Alla fine di quella sterile lotta si arrese e pianse, con la faccia adagiata in un'atroce poltiglia di fango, erba e neve sporca.
Fantozzi in coda si avvicinava intanto con ansia al gancio di legno dello skilift. Un gancio gli arrivò finalmente a portata di mano, lui lo afferrò e sì infilò con violenza dentro la biglietteria: aveva preso il gancio che scendeva! Come Dio volle il Fantozzi riuscì a sistemarsi su uno dei ganci dello skilift. Era uno skilift a forma di àncora di legno, ciascuno con due posti. A fianco di Fantozzi saliva uno sciatore inglese sconosciuto, che lo guardava con sospetto per aver visto la strana manovra dello sfondamento della biglietteria.
Fantozzi si innervosì per quello sguardo e a metà percorso incominciò a vibrare come un frullatore. Poi all'improvviso fece una sforbiciata e volò all'indietro. L'inglese, sbilanciato, fece altri quattro o cinque metri urlando e quindi perse a sua volta lo skilift. I due rimasero a giacere sui solchi della sciovia. Si dovette fermare tutto l'impianto perché sul posto dove erano caduti i due si era formato un cumulo gigantesco di sciatori. L'impianto fu riattivato verso mezzanotte al lume di torce: ma tutto il sabato era intanto volato via, per questi incidenti.
La domenica mattina salirono in alta montagna. Era una giornata senza sole e anche senza neve. Si erano portati dal rifugio la famosa grappa di prugna ed è a questo punto che cominciarono a capire la bellezza del week-end bianco. Alla quindicesima grappa Fracchia si alzò di scatto e disse: “Signori, io mi faccio una volata in sci fino a valle”. Unì l'atto alle parole: salì sugli sci e partì a 180 all'ora. Si infilò in un canalone a forma di trampolino olimpionico e stabilì il nuovo record italiano di salto. Del ragionier Fracchia, dell'ufficio sinistri, non si seppe mai più nulla: lo avevano visto scendere nell'erba sciando a grande velocità e infilarsi con decisione in una fitta boscaglia.
Alla sera al rifugio si verificò un episodio assai curioso. C'erano degli ex-impiegati licenziati, infilati in pelli di orso bianco, che collaboravano con il fotografo locale. Essi aspettano i turisti dietro l'angolo del rifugio, poi saltano fuori improvvisamente e li abbracciano. A questo punto il fotografo immortala la situazione. Va da sé che non tutti superano questo shock, comunque per i sopravvissuti la foto-ricordo è assai preziosa. Fantozzi passeggiava distrattamente intorno al rifugio quando voltò l'angolo e l'orso lo abbrancò. Si sentì un tremendo ululato. In cima al campanile, a dodici metri di altezza, c'era il Fantozzi che urlava: “Aiuto! Mandatelo via! Aiuto, un orso polare!”. Quando Fantozzi, dopo due ore trascorse a mezzo campanile, si convinse a scendere cercò penosamente di sostenere che aveva voluto fare lo spiritoso e che aveva “capito tutto”.
Già lo sospettavano, ma furono certi che il Fantozzi aveva bluffato quando, la settimana dopo, lessero sui giornali questa notizia: “Impiegato di concetto dà spettacolo allo zoo comunale. Ieri alle 15 un certo Ugo Fantozzi, di professione impiegato, si è calato sotto gli occhi esterrefatti della moglie e di un pubblico entusiasta nella fossa degli orsi polari. I feroci animali, abbracciato ai quali egli voleva farsi fotografare dalla moglie, dopo un attimo di incertezza gli si scagliavano contro facendogli passare un brutto quarto d'ora. Il Fantozzi è riuscito a salvarsi miracolosamente da solo, scalando a incredibile velocità il muro liscio della fossa degli orsi, alto sei metri”. L'indomani in ufficio gli domandarono: “S'è divertito ieri allo zoo, Fantozzi?”. “Mica tanto,” rispose “ci ero andato per trovare un po' di tranquillità: ma anche lì ci sono troppi fotografi!”
A LEI E FAMIGLIA GLI AUGURI DI FANTOZZI
Si è conclusa domenica, anche nell'ufficio di Fantozzi, la “stagione degli auguri”.
Natale e Capodanno, nelle grandi aziende, cominciano intorno ai primi di novembre. Si compilano lunghi elenchi di notabili ai quali mandare le strenne. Si fanno elenchi di serie A per i più importanti, poi di serie B, di serie C eccetera… In serie A ci sono direttori, amministratori, controdirettori e poi via via, nelle serie inferiori, direttori centrali, consulenti, consulenti normali, saccenti, eminenti, segretarie, passacarte, ragionieri che controllano qualche attività modesta ma che possono accelerare l'iter di una pratica. Nella scelta dei regali dominano le cassette di bottiglie. Ci sono cassette da ventiquattro, da dodici, da sei, da tre… e si arriva sino al bicchiere di vino rosso (fatto venire dal bar) per il fattorino che ha portato con grande fatica una pesante cassa di documenti.
Poi ciascuno si attrezza con bigliettini da visita con il proprio nome e cognome preceduto dal titolo di studio: rag., dott., dott. ing., eccetera. I più piccoli hanno il vuoto davanti al nome, ma più si sale e più si moltiplicano per germinazione spontanea i titoli: grand'uff. dott. ing. Tal Dei Tali direttore centrale della XYZ S.p.A., oppure: dott. ing. cav. grand'uff. rag. grand. croce Tale Dei Talaltri direttore siderale della XYZ S.p.A., e ancora: comm. cav. prof. dott. ing. avv. Tal Degli Altri. Ancora: presidente galattico della XYZ S.p.A. Il titolo più oscuro, che ancora non si è riusciti a decifrare, è quello che abitualmente spetta ai megapresidenti: dott. ing. avv. grand'uff. lup. mann.!?!?
Quindi si mandano gli auguri in tante bustine piccole bianche dove i titoli tutti sono preceduti dalla formula: illustrissimo signore, a capo, signore cav. lup. eccetera e scattano tutti i titoli. Nel biglietto si cancellano con una barretta sottile sottile, perché si legga bene il tutto, i propri titoli e sotto, in calce, si mette: nelle serie inferiori un freddo p.a. (per auguri), poi salendo si usano varie forme. Se ci si rivolge in alto: formulando a lei e signora i miei più sentiti auguri per il Santo (alle volte si cancella il Santo con una barretta a penna) Natale e per un felice 1972. Se in altissimo: a lei e gentilissima signora i miei più umili e fedeli auguri per lo spettabile Natale e per un devoto anno nuovo.