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Connie Willis

Fatalità

Mercoledì venne la vicina di casa di Elizabeth. Pioveva a dirotto, ma aveva attraversato di corsa il giardino senza impermeabile o ombrello, con le mani affondate nelle tasche del cardigan.

«Ciao,» disse senza fiato. «Abito qui accanto, e volevo solo fare un salto per salutare e vedere se vi eravate sistemati.» Infilò la mano in una delle tasche del maglione e ne tirò fuori un foglio di carta piegato. «C’è scritto il nome del camioncino per il ritiro della spazzatura. Me l’ha chiesto tuo marito l’altro giorno.»

Glielo diede. «Grazie,» disse Elizabeth. La giovane le ricordava Tib. Aveva i capelli corti e biondi, pettinati all’indietro con dei riccioli sporgenti. Tib li portava in quel modo ai tempi in cui erano matricole.

«Non è orribile il tempo?» chiese la giovane. «Di solito non piove così tanto in autunno.»

Aveva piovuto tutto l’autunno quando Elizabeth era matricola. «Non hai l’impermeabile?» le aveva chiesto Tib mentre lei disfaceva la valigia ed appendeva gli abiti nel dormitorio.

Tib era piccola e carina, il genere di ragazza che probabilmente aveva decine di appuntamenti, il tipo di ragazza che indossava tutti i vestiti più adatti al college. Elizabeth non aveva avuto idea di quali vestiti portare. L’opuscolo del college inviato alle matricole diceva di portare maglioni e gonne per le lezioni, un completo per la festa delle associazioni studentesche e un abito da sera. Non parlava di impermeabili.

«Ne ho bisogno?» aveva detto Elizabeth.

«Be’, adesso piove, se questo ti suggerisce qualcosa,» aveva detto Tib.

«Pensavo che stesse per smettere.» disse la vicina, «ma non è così. E fa un freddo cane.»

Tremò. Elizabeth vide che il cardigan era umido.

«Posso alzare il riscaldamento,» disse Elizabeth.

«No, non posso trattenermi. So che state togliendo la roba dalle valigie. Mi dispiace che abbiate dovuto traslocare con tutta questa pioggia. Da queste parti, il tempo di solito è bello in autunno.» Sorrise a Elizabeth. «Ma poi che te lo dico a fare? Tuo marito mi ha detto che sei andata a scuola qui. All’università.»

«Al tempo non era un’università. Era un college statale.»

«Ah, giusto. È cambiato molto il campus?»

Elizabeth andò a dare un’occhiata al termostato. Segnava una temperatura di venti gradi, ma le sembrava che fosse più freddo. Lo alzò a ventitré gradi. «No,» disse. «È proprio lo stesso.»

«Senti, non posso restare,» disse la giovane. «E probabilmente avrai mille cose da fare. Ero solo venuta per fare un saluto e chiederti se volevi venire stasera. Teniamo una riunione Tupperware.»

Una riunione Tupperware, pensò triste Elizabeth. Ecco perché mi ricorda Tib.

«Non sei obbligata a venire. E se vieni non sei obbligata ad acquistare nulla. Non sarà una grande festa. Solo un po’ di amiche mie. Penso che sarebbe un buon modo per farti incontrare alcune vicine. Davvero, faccio la riunione solo perché ho un’amica che vorrebbe cominciare a vendere Tupperware e…» Si interruppe e guardò Elizabeth ansiosa, tenendo le braccia intorno al petto per scaldarsi.

«Avevo un amico che vendeva Tupperware,» disse Elizabeth.

«Oh, allora ne avrai a tonnellate.»

La caldaia cominciò a sibilare in modo assordante. «No,» disse Elizabeth, «non ne ho.»

«Per favore, vienici,» continuò a dire la giovane anche sul portico anteriore. «Non per comprare qualcosa. Solo per conoscere gli altri.»

La pioggia scendeva ancora abbondante. Riattraversò il prato di corsa verso casa sua, con le braccia strette intorno a sé e la testa piegata in avanti.

Elizabeth ritornò in casa e telefonò a Paul in ufficio.

«È proprio importante, Elizabeth?» disse. «Dovrei incontrarmi a mezzogiorno con il dottor Brubaker nell’ufficio Ammissioni per pranzo, e ho un sacco di lavoro in ufficio.»

«La ragazza della porta accanto mi ha invitata a una riunione Tupperware,» disse Elizabeth. «Non volevo dirle di sì senza conoscere i tuoi programmi per stasera.»

«Una riunione Tupperware?» disse. «Non posso credere che mi hai chiamato per una cosa del genere. Lo sai quanto ho da fare. Hai inoltrato la richiesta da Carter?»

«Ci vado subito,» disse. «Ci sarei andata stamattina, ma…»

«È arrivato il dottor Brubaker,» disse, e mise giù la cornetta.

Elizabeth rimase in piedi vicino al telefono per un minuto, pensando a Tib, poi si infilò l’impermeabile e passeggiò verso il vecchio campus.

«È esattamente lo stesso di quando eravamo matricole,» aveva detto Tib quando Elizabeth le aveva parlato del nuovo lavoro di Paul. «Ero andata là l’estate scorsa per cercare delle pagelle, e non ci potevo credere. Pioveva, e giuro che i marciapiedi erano ricoperti di vermi proprio come lo erano sempre stati. Ti ricordi quell’impermeabile giallo che hai comprato quando eri matricola?»

Tib aveva chiamato Elizabeth da Denver quando loro avevano cominciato a cercare casa. «Ho letto fra le notizie degli ex allievi che Paul era il nuovo vicepreside,» disse come se nulla fosse mai accaduto. «L’articolo non parlava di te, ma pensai che ci fosse una remota possibilità che foste ancora sposati. Io non lo sono più.» Tib aveva insistito per portarla a pranzo a Larimer Square. Si era fatta crescere i capelli, ed era troppo magra. Ordinò un daiquiri alla pesca e raccontò ad Elizabeth ogni cosa sul suo divorzio. «Ho scoperto che Jim si scopava qualche puttanella in ufficio,» disse, facendo roteare il ramoscello di menta che le avevano servito con il drink, «e non lo potevo accettare. Lui non capiva cosa ci fosse di tanto sconvolgente. “Ok, me la sono spassata un po’, e allora?” mi ha detto. “Lo fanno tutti. Quand’è che cresci?” Non avrei dovuto mai sposarlo, il verme, ma non sai che ti stai rovinando la vita mentre lo fai, no?»

«Già,» disse Elizabeth.

«Voglio dire, prendiamo te e Paul,» disse. Parlava più velocemente di quanto Elizabeth ricordasse, e quando chiamò il cameriere per ordinare un altro daiquiri, la voce le tremò un po’. «Ora, questo è un matrimonio sul quale non avrei mai scommesso, e quanto tempo è che siete sposati? Quindici anni?»

«Diciassette,» disse Elizabeth.

«Sai, ho sempre pensato che avresti accomodato le cose con Tupper,» disse. «Mi chiedo che fine abbia fatto.» Il cameriere servì il daiquiri e portò via il bicchiere vuoto. Lei prese il ramoscello di menta e lo posò delicatamente sulla tovaglia.

«Se è per questo, la stessa fine che hanno fatto Elizabeth e Tib,» disse.

Il campus non era esattamente lo stesso. Avevano aggiunto un’ala a Frasier e avevano tagliato la maggior parte degli olmi. In effetti non era più il campus vero e proprio. Il vero campus era a nordovest, dove era stato fatto spazio per ospitare i nuovi edifici in cemento per le aule e i dormitori. Il dipartimento di Musica era ancora a Frasier, e il dipartimento di Educazione Fisica utilizzava per gli sport femminili la vecchia palestra di Gunter, ma la maggior parte dei vecchi palazzi per le aule e i piccoli dormitori all’estremità meridionale del campus erano diventati uffici. La biblioteca era diventata la sede dell’amministrazione e Kepner era di proprietà dell’ente che gestiva gli alloggi del campus, ma nella pioggia tutto sembrava uguale a prima.

Le foglie cominciavano a cadere, e il viale principale era umido e coperto di vermi. Elizabeth vi camminò in mezzo, guardando dove metteva i piedi per cercare di non schiacciarli. Quando era matricola, si era assolutamente rifiutata di camminare sui marciapiedi. Aveva rovinato due paia di scarpe col tacco basso tagliando attraverso il prato per andare a lezione.

«Sei una testona, lo sai?» le aveva urlato Tib, accelerando il passo per raggiungerla. «Ci sono vermi anche nell’erba.»

«Certo, ma io non li vedo.»

Dove non c’era erba, aveva insistito per camminare in mezzo alla strada. Proprio in quel modo avevano conosciuto Tupper. Le aveva quasi investite con la bicicletta.