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Le si avvicinò e le tirò il lenzuolo sopra il volto.

— Lei è di nuovo qui? — disse con un tono di rimprovero all’inserviente — Si ricordi che deve sempre coprirli prima di uscire. Non deve assolutamente impressionare gli altri pazienti.

L’inserviente inghiottì convulsamente la gomma che stava masticando.

— Che diavolo significa? — si lamentò il cadavere sotto al lenzuolo. Una mano adunca e nodosa uscì dalle coltri e le buttò all’indietro. — Lei è scemo come un clistere, razza di coglione!

Martin schizzò verso un angolo della cabina, incapace di respirare.

Le due porte si aprirono e lui incespicò fuori dall’ascensore camminando alla cieca.

— Come ti chiami, cretino? Farò rapporto al… — Le porte dell’ascensore si richiusero su quel grido irritato.

“Cristo, era morta! L’avevano aperta come una maledetta noce!” Poteva ancora sentirne il puzzo, il caratteristico odore emesso dai corpi appena morti. “E mi ha anche insultato!” Quasi soffocava per quel sapore acido che gli stava salendo in gola. Attraversò la stanza e si lasciò cadere in una sedia di plastica rosa vicino alla sala infermiere.

Si prese la testa tra le mani cercando di controllare il respiro.

— Non si sente bene, dottore?

Una graziosa, giovane infermiera mulatta si chinò su di lui, preoccupata. — Lei è molto pallido — disse — Posso aiutarla?

Deglutì, respirò più volte profondamente. — Va tutto bene. Ho solo visto…

S’interruppe perché all’improvviso era apparsa come un fiore che si apre, una macchia di sangue scuro sul camice bianco dell’infermiera, appena sopra l’inguine.

— Il suo camice… — disse.

— Sì, dottore? — Gli sorrise incerta.

Ai lati del collo le apparvero alcune minuscole ferite che cominciarono lentamente a sanguinare.

“So di cosa si tratta” pensò. “Sul collo. L’ho visto il mese scorso all’obitorio. Non si può dimenticare che cosa significhi. Mi sono svegliato nel cuore della notte pensandoci. Segni di stupro. Qualcuno la sta violentando e uccidendo in questo stesso momento. Le stanno facendo dei succhiotti sul collo come fanno i più viziosi. Come quelli che a volte faccio a Teresa. Solo che i miei sono diversi! Lei non se ne accorge, come non se n’era accorta la vecchia di essere morta!”

L’altoparlante sopra la sua testa mormorò: — Il dott. Heart in sala infermiere Cinque C. Il dottor Heart in sala infermiere Cinque C, per favore.

Era il codice per un arresto cardiaco, la chiamata per un incidente d’auto a tutta la squadra che doveva prendersene cura.

— Devo rispondere alla chiamata, dottore — disse l’infermiera. — Faccio parte della squadra di turno questo mese. Si sente meglio?

Martin annuì. — Ora va bene.

Lei corse via per cercare di salvare un’altra vita. Il sangue le sgocciolava dall’orlo del camice, lasciando una striscia rossa luccicante dietro di lei.

Era sdraiato nel letto, rattrappito, con la faccia rivolta al muro, nella stanzetta che usava quando restava in ospedale. Per via della rotazione dei turni al Pronto Soccorso, un interno doveva lavorare dalle quaranta alle cinquanta ore, in modo elastico. I fine settimana erano la cosa peggiore. Ti prendevi solo pochi minuti o al massimo qualche ora di sonno appena potevi. Molti degli interni, specialmente quelli non sposati, vivevano praticamente nei cubicoli sotterranei loro assegnati.

“Non sono scemo e non sono pazzo, ma per qualche motivo ho delle allucinazioni e vedo la gente morta o ferita quando ancora effettivamente non lo è.”

Non era stato capace d’evitare di guardarli incrociandoli mentre si dirigeva verso la sua stanza. La maggior parte erano persone anziane. Alcuni erano gonfi, come se fossero pieni di gas; altri mostravano delle ferite forse dovute a intervento chirurgico o a qualcosa di simile. Ovviamente ognuno di loro era morto, o era terribilmente vicino alla morte. E lui sembrava essere l’unico ad accorgersene.

“Forse non li vedo come sono ora, ma come si presenteranno quando saranno morti. O forse sono soltanto schizofrenico. Ma presento i sintomi di una strana psicosi di cui non ho mai sentito parlare.”

Sentì che la porta dietro di lui si apriva, e si girò impaurito nel suo letto.

— Ti senti bene, dottore?

Non la riconobbe subito. Poi disse. — Oh Dio, sei tu, Rae.

— Cosa succede? — Lei avanzò nella stanza e gli mise una mano sulla spalla.

— Vedo la gente morta.

— Cosa?

Lui e Rae avevano frequentato le scuole insieme fino alla laurea. Avevano anche tentato per un breve periodo di diventare amanti, dopo la nascita di Marco. Ma non aveva funzionato; non era un sentimento travolgente e così erano tornati a essere semplicemente amici. Lui si mise a parlare confusamente delle sue visioni, senza fermarsi, parlando sempre più velocemente.

Lei lo scrollò gentilmente. — Finiscila!

Lui s’arrestò. — Non mi credi.

Lei lo fissò pensierosa. — Ci credo a quello che vedi — disse. — E io che aspetto ho?

Lui si sforzò di sorridere. — Hai l’aspetto di una donna morta, come tutti gli altri.

— Morta come?

— Ti vedo da vecchia. Veramente vecchia. Avrai certamente una vita lunghissima. Sarai una gran bella nonna. — Decise di non menzionare il buco che aveva in gola. Prima di morire avevano tentato una tracheotomia.

— Senti, abbiamo avuto un sacco di casi mortali durante questo turno al Pronto Soccorso, e tu ne hai fronteggiati più del normale. L’altra notte quel drogato in overdose. La sua ragazza l’ha portato qui e, non si sa come, lui si è girato sulla schiena e si è soffocato col vomito. Sei stato tu a tentare di svuotargli i polmoni, vero?

Martin annuì appena.

— Pensaci. Poi c’è stato anche quel vecchio, qualche giorno fa, che era caduto dalle scale e una costola gli aveva perforato l’arteria subclavicolare.

— Vero.

— E tuo figlio. A proposito è… — Lei s’interruppe e gli diede una pacca sul fianco. — Ne abbiamo viste un po’ troppe ultimamente. È abbastanza per far scoppiare chiunque. Questo è stato il tuo primo turno al Pronto Soccorso, ed è stata anche la prima volta che uno di noi ha visto la gente morirgli tra le mani. E tu non riesci molto bene ad affrontare la morte.

Martin fece una smorfia. — E secondo te cosa significa questa crisi?

— Pensa a dicembre, a quando è morto Smiley. Non sei venuto al suo funerale.

— Un barbaro rituale senza senso.

— No. Un barbaro rituale pieno di significati invece. È il modo in cui riconosciamo che la gente che amiamo è scomparsa. È il modo con il quale le diciamo addio. Lui era forse il nostro miglior amico alle scuole superiori, e tu, quando se ne andò via dall’ICU, l’hai evitato come se avesse contratto una grave malattia polmonare. Non ti ho mai più sentito citare il suo nome dopo di allora. Non hai neppure detto una parola a sua sorella, quando si è messa a piangere il mese scorso.

— Sono tutte stronzate, Rae! Maledizione, sto vedendo solo gente morta in giro!

Lei gli posò una mano sulla spalla. — Mi dispiace, e spero di poter capire a cosa sia dovuto. Ma entrambi sappiamo che non stai avendo un crollo Sei un po’ troppo lucido, troppo attento alle persone, ai posti, al tempo. La mia opinione professionale è che tu, come medico, abbia una stramaledetta paura della morte. Noi tutti odiamo la morte e non vogliamo averne a che fare ma, prima o poi, tutti si ammalano e muoiono. Sarà meglio che tu impari a sopportarlo, altrimenti dovrai cominciare a pensare di specializzarti in dermatologia.