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Lentamente il fetore diminuì. Appena se ne accorse, riattraversò i cespugli per dare un’occhiata. L’odore era completamente scomparso.

Le strade erano popolate da scheletri in movimento. Pezzi di legamenti e muscolatura erano ancora attaccati alle giunture di parecchi di loro, ma anche quel materiale estraneo si dissolse ben presto e cadde, finché ogni scheletro scintillò pulito; e ogni teschio levigato rifletté il sole pomeridiano.

“Perché sono così luccicanti? Qualcuno deve aver lucidato quelle ossa”.

Uscì dai cespugli cercando di reggersi in piedi.

Uno degli scheletri si fermò davanti a lui, cercò di proseguire, ma esitò.

— Sta bene, signore? — chiese.

— Abbastanza bene, grazie — disse Martin — La ringrazio per l’interessamento. — Fece in modo di restare in piedi e di fissare con i due buchi orbitali come se fosse una cosa normale. Il teschio sorridente si scosse imbarazzato, poi lo scheletro se ne andò tintinnando per i fatti suoi.

— Penso che me ne andrò a casa — si disse Martin mentre quello se ne andava. — Ho avuto una gran brutta giornata, ma non ho più paura. — Lo scheletro stava accelerando il passo.

Ben presto tutti gli scheletri cominciarono a perdere la loro lucentezza e divennero ruvidi e butterati. A poco a poco smisero di muoversi e rimasero fermi, traballanti. Prima da soli, poi a ondate successive, incominciarono a cadere trasformandosi in mucchi indistinti di ossa.

— Non ho paura, perché tutti dobbiamo morire. Tutti noi — urlò Martin.

Le ossa si sbriciolarono e la polvere bianca cominciò a svolazzare qua e là trasportata dal vento.

— Perciò è giusto che ami mio figlio, anche se deve morire, perché tutti noi moriremo.

La polvere saliva in lunghe spirali verso il cielo.

— E perciò lo amerò finché vivrà.

Ma stava parlando al nulla, mentre l’ultima spirale saliva in alto, oltre le nuvole.

Camminò verso casa attraverso un mondo silenzioso e vuoto. Gli ci volle il resto del pomeriggio, ma non era stanco quando svoltò all’angolo di casa sua.

Camminò a lunghi passi sul marciapiede ed entrò in casa.

Smise di fischiettare quando si aprì la porta della cucina e Teresa gli andò incontro.

— Martin! — esclamò. — Che diavolo ti è successo? Sei tutto impolverato.

Con cura si tolse la giacca e la lasciò cadere sul pavimento accanto a sé. Lei gli si avvicinò tanto da toccarlo col corpo. La prese tra le braccia e la strinse a sé.

Anche lei l’abbracciò. Lui affondò il volto nei suoi capelli e respirò profondamente. Il buon odore di Teresa gli riempì le narici.

— Mi sei mancata — disse. — Ti amo così tanto.

Lei si mise a ridere e si divincolò. — Scommetto che hai detto le stesse cose a tutte le tue mogli.

— Oh sì. A tutte.

— Stai bene? Mi sembri strano.

— Va tutto bene. — La guardava molto da vicino. Non c’erano segni mortali da nessuna parte né sul volto né sul corpo. — Ho avuto una giornata terribile, ma adesso sto bene.

— Se lo dici tu… Perché non ti metti addosso qualche cosa di pulito mentre finisco di preparare la cena? Poi mi racconterai della tua terribile giornata.

— Sì, d’accordo. — La conversazione sembrava talmente banale, normale e rassicurante che quasi si metteva a urlare di gioia.

Passò nella sala prima di cambiarsi d’abito. Non ci aveva fatto caso, ma nel pomeriggio doveva essere scesa la temperatura, perché Teresa aveva già attizzato il fuoco nel camino.

Si diresse verso il lettino e guardò Marco. Suo figlio rispose al suo sguardo con uno senza espressione.

— Mi dispiace — sussurrò Martin. — D’ora in poi ti amerò moltissimo. — Sollevò Marco con cura.

Marco gli s’aggrappò alle spalle e singhiozzò due volte. Le manine paffute del bambino cominciarono ad annaspare sul tessuto della camicia del padre.

Martin lo scrollò gentilmente e si mise a mugolare profondamente, come un gatto felice che fa le fusa. Lo alzò al di sopra delle spalle in modo da poter vedere bene in volto il suo amato figlio. Mentre lo guardava, quel fragile corpicino si raggrinzì e si annerì.

I capelli, leggeri come una piuma, cominciarono a fumare, poi fiamme translucide avvolsero interamente il suo corpo. Gli occhi si liquefecero colando sulle guance.

Martin lo fissò, poi girò lo sguardo verso il fuoco.

Quando l’aveva visto morire, Marco non sembrava avere qualche anno in più, né essere molto cresciuto, quindi tutto ciò sarebbe accaduto molto presto.

Forse aveva appena imparato a camminare da solo. Non aveva importanza com’era successo. Lui era caduto nel fuoco che l’aveva consumato. Sarebbe stata una morte troppo lunga, una penosa agonia, fino a quando il fuoco non avesse consunto i suoi piccoli polmoni e arrostito la sua tenera carne.

Una brutta, terribile morte per un bimbo che non aveva fatto nulla di male per meritarsela. Non poteva permettere che succedesse una cosa del genere a suo figlio, che ora lui amava.

Martin non poté evitarsi di singhiozzare mentre salvava Marco. Teresa comparve sulla porta mentre stava finendo. — Mi sembrava d’aver sentito piangere Marco…

Martin sollevò il cuscinetto dal volto del figlio. Marco aveva lottato forsennatamente. “Forse ha apprezzato il mio aiuto” pensò Martin.

Si girò lentamente e annuì. — È tutto a posto, cara. Credevo che fosse brutto, vedendo tutta quella gente morta in giro, ma mi sbagliavo. Perché ora so che l’ho salvato dal dolore.

Sorrise mentre si scostava per farle vedere. — Non è stato facile, ma sono riuscito a farlo perché l’amavo.

Martin si spostò davanti al camino. Dietro di lui, Teresa piangeva.

Alzò le sue vecchie mani tremanti, accostandole alle fiamme.