Rachel aveva la sensazione di essersi persa in un labirinto di possibili alleanze: Loretta la voleva dalla sua parte, Danny aveva bisogno del suo aiuto, Mitchell era disposto a minacciarla pur di averla al suo fianco. All’improvviso, si ritrovava a essere un elemento fondamentale negli equilibri familiari; ma non ne capiva del tutto la ragione. Né aveva idea di quali sarebbero state le conseguenze se avesse scelto l’alleato sbagliato. Cosa avrebbe ottenuto il vincitore di quella guerra tra figli e matrigna? Solo l’incalcolabile ricchezza dei Geary? Certo, quello era un bottino per cui molta gente sarebbe stata disposta a uccidere; ma i giocatori di quella partita erano già tutti ricchi oltre ogni immaginazione.
C’era qualcos’altro a spingerli, e non si trattava del denaro. Né si trattava dell’amore; e, secondo Rachel, non si trattava nemmeno del potere. Finché non avesse scoperto la verità, non sarebbe stata al sicuro, di questo era certa. Forse, recandosi nel luogo in cui Margie era morta, avrebbe scoperto la natura di quel segreto. Era una speranza primitiva, lo sapeva; una forma di superstizione. Ma cos’altro avrebbe potuto fare? La razionalità non le era stata di nessun aiuto. Era tempo che ricominciasse a fidarsi del suo istinto, e il suo istinto le diceva di andare a indagare sul luogo della tragedia; di entrare nel cuore nero di Garrison Geary per scoprire le speranze e le paure che lo avevano spinto all’omicidio.
Cinque
1
Rileggendo gli ultimi capitoli, mi sono reso conto di non aver ancora trattato una delle storie a cui ho accennato (sono certo di averne tralasciate molte altre, ma anche queste saranno narrate a tempo debito). Sto parlando delle avventure di mia sorella. Ricorderete che l’ultima volta che l’ho vista stava fuggendo da Cesaria, che si era infuriata con lei per un qualche crimine non meglio identificato. Lasciate che vi spieghi cos’è accaduto. La mia paura è che, se non approffito di questo momento per parlarvene, la portata di ciò che sta per accadere ai Geary mi impedirà di farlo più avanti. In breve, questo potrebbe essere l’ultimo istante di tregua a mia disposizione. Dopo di che, il diluvio.
Quindi veniamo a Marietta. Tre o quattro giorni dopo il mio incontro con Cesaria si è presentata nella mia stanza. Sul volto aveva un sorriso sognante.
“Che cos’hai preso?” le ho chiesto.
“Mi sono fatta un paio di funghi”, ha risposto lei.
Vederla in quello stato mi ha infastidito e gliel’ho detto. Non aveva alcun senso della responsabilità: sempre in cerca di un qualche stato alterato.
“Oh, senti chi parla. Allora non hai preso la cocaina con il Benedictine?”
Ho ammesso di averlo fatto. Ma avevo avuto un’ottima ragione: mi aveva aiutato a restare sveglio nelle mie lunghe ore di lavoro. E non lo facevo certo tutti i giorni come lei, ho detto.
“Esageri sempre”, ha replicato Marietta.
Per dimostrarle che si sbagliava, le ho fatto un elenco dei suoi eccessi. Non c’era niente che non avesse provato. Aveva fumato oppio e masticato foglie di coca; aveva sgranocchiato antidolorifici come caramelle, bevendo litri di rum e tequila; aveva un debole per l’eroina sciolta nel brandy e per i dolci all’hashish.
“Dio mio, Maddox, come sei noioso certe volte. Se ascolto della musica ed è musica che vale qualcosa, mi trovo in uno stato alterato. Se mi tocco e mi do piacere, mi trovo in uno stato alterato.”
“Non è la stessa cosa.”
“E perché no?” Ho preso fiato come per ribattere ma non ho detto niente. “Lo vedi? Non sai neanche cosa rispondere.”
“Aspetta, aspetta, aspetta”, ho protestato.
“Comunque”, ha continuato lei, “non vedo come tutto questo possa riguardarti.”
“Mi riguarda se sono io a dover placare tua madre.”
Marietta ha alzato gli occhi al cielo. “Ah, sapevo che ci saremmo arrivati prima o poi.”
“Credo che tu mi debba una spiegazione.”
“Mi ha sorpreso mentre frugavo tra certi vecchi vestiti, tutto qui”, ha risposto Marietta.
“Vecchi vestiti?”
“Sì. È stato talmente assurdo. Insomma, a chi importa dopo tutto questo tempo?”
Nonostante i suoi modi arroganti, mi sono reso conto che mi stava nascondendo qualcosa che la faceva sentire in colpa. “E di chi erano quei vestiti?” ho domandato. “Prova a indovinare.”
“Di Galilee?”
“No… di nostro padre.”
“Hai trovato dei vestiti di nostro padre e li hai toccati?”
“Oh, Cristo santo, Maddox, non cominciare. Erano solo vestiti. Vecchi vestiti. Non penso nemmeno che li abbia mai messi. Sai che razza di vanitoso era.”
“Non mi pare che lo fosse.”
“Be’, forse lo era solo con me”, ha detto con un sorriso malizioso. “Ho avuto il piacere di tenergli compagnia mentre si vestita, molte volte.”
“Ho sentito abbastanza, grazie”, l’ho interrotta. Non mi piaceva la piega che stava prendendo la conversazione; e nemmeno lo scintillio negli occhi di Marietta. Ma era troppo tardi. Il suo lato ribelle era stato stuzzicato e non sarebbe stato così facile placarla.
“Hai cominciato tu”, mi ha stuzzicato. “Quindi adesso, dannazione, mi starai a sentire.”
“Io non…”
“Stammi a sentire”, ha insistito. “È giusto che tu sappia quello che faceva quando gli altri non guardavano. Era un vecchio bastardo affetto da satinasi. Hai già usato questa parola nel tuo libro? Satiriasi.”
“No.”
“Be’, adesso puoi farlo, citami.”
“Questo non farà parte del libro.”
“Cristo, certe volte ti comporti come una vecchietta, Maddox. Fa parte della storia.”
“Non ha niente a che fare con quello che sto scrivendo.”
“Il fatto che il nostro beneamato padre fondatore fosse così orgoglioso della sua enorme virilità da pavoneggiarsi davanti alla figlia di sei anni mentre aveva un’erezione? Oh, io penso di sì invece.” Ha sogghignato, felice di avermi sconvolto ancora una volta.
“Naturalmente, io ero affascinata. Conosci l’etimologia della parola affascinare? Viene dal latino fascinare, gettare un incantesimo. Era un termine che veniva attribuito di solito ai serpenti.”
“Perché insisti?”
“Lui aveva quello stesso potere, senza dubbio. Mi agitava davanti il suo serpente e io restavo… incantata.” Ha sorriso. “Non riuscivo a staccare gli occhi da lui. Lo avrei seguito dovunque. Avrei voluto toccarlo, ma lui mi diceva di no. Quando sarai un po’ più grande, mi diceva, allora ti mostrerò cosa può fare.”
È rimasta in silenzio e ha guardato fuori dalla finestra. Pur sentendomi in colpa per la mia curiosità, non sono riuscito a impedirmi di chiederle: “E lo ha fatto?”
Lei non si è voltata a guardarmi: “No, mai. Avrebbe voluto — glielo leggevo negli occhi certe volte — ma non ne ha avuto il coraggio. Una volta l’ho raccontato a Galilee e quello è stato il mio grande errore. Gli ho detto che avevo visto il serpente di papà e che era meraviglioso. Gli ho fatto giurare che non ne avrebbe parlato con nessuno, ma naturalmente lui lo ha detto a Cesaria e con ogni probabilità lei ha reso la vita di nostro padre un inferno. E sempre stata gelosa di me.”
“Ma è ridicolo.”
“Eppure è così. Ed è ancora gelosa. Quando mi ha sorpresa a frugare tra quei vestiti, si è messa a gridare. Anche se sono passati così tanti anni, non vuole nemmeno che mi avvicini alle cose di papà.” Alla fine, ha distolto gli occhi dalla finestra e mi ha guardato. “Amo le donne più della vita stessa”, ha continuato. “Amo tutto di loro. La loro vicinanza, il loro profumo, il modo in cui si muovono quando le accarezzi… Non riesco davvero a sopportare gli uomini. Non sotto quell’aspetto. Ma per papà avrei fatto un’eccezione.”