L’appartamento di Central Park era deserto quando Rachel vi tornò dopo la sua spedizione alla Trump Tower. Tuttavia, decise di non aprire le buste in sala da pranzo in caso arrivasse qualcuno. Andò invece in camera da letto, chiuse la porta a chiave e tirò le tende. Poi si sedette a gambe incrociate sul letto per esaminare il suo bottino.
Nella busta più sottile, trovò le lettere e le fotografie. A giudicare da quello che aveva scritto, Danny era un virtuoso del sesso. Le sue preoccupazioni riguardo a ciò che avrebbe potuto accadere se qualcuno avesse messo le mani su quelle missive erano più che fondate. C’erano date e luoghi e orari; c’erano promesse e ricordi incandescenti di incontri appassionati. E tutto era descritto con un linguaggio inequivocabile. “Dovremo cominciare a scopare in una stanza isolata acusticamente visto quanto ti piace gridare”, diceva Danny in una delle lettere. “Sono seduto qui, duro come una roccia, e ripenso alle tue grida di piacere mentre entro ed esco da te senza fermarmi, come piace a te. Non c’è niente che non farei per te, lo sai? Quando siamo insieme, per me il resto del mondo non esiste — abbiamo bisogno solo I’una dell’altro. Vorrei essere un bambino, a volte, vorrei che mi allattassi con le tue bellissime tette. Oppure vorrei essere nato da te. Cazzo, so che sembra perverso, ma non sei stata tu a dirmi che non dobbiamo avere paura delle cose che sentiamo? Vorrei scoparti così tanto da perdermi dentro di te, e vorrei che tu mi portassi in giro per un po’, nel tuo grembo, come se fossi il tuo bambino. Così ogni volta che avessi voglia di me, dovresti solo aprire le gambe e io uscirei da te, pronto a soddisfarti. ”
Le fotografie non erano “artistiche” quanto le lettere, tuttavia erano notevolmente perverse. Danny doveva essere molto fiero della sua virilità e si era fatto immortalare a beneficio dei posteri, mentre il senso dell’umorismo di Margie era evidente nel modo in cui giocava con lui. In una foto, gli aveva dipinto col rossetto il basso ventre e parte della cosce; fiamme, forse, come se l’inguine di Danny stesse andando a fuoco. In un’altra, gli aveva persino fatto indossare i suoi collant, da cui spuntava il suo membro rosso come una ciliegia matura.
Rachel telefonò a Danny per dargli la buona notizia. Lui stava per andare al lavoro ma disse che sarebbe stato felice di darsi malato per andare a ritirare immediatamente le lettere e le foto, se Rachel era d’accordo. Lei gli disse di non fare niente di fuori dall’ordinario per non insospettire nessuno. Potevano incontrarsi alla fine del turno di Danny, verso mezzanotte, e lei gli avrebbe consegnato la busta. Decisero di trovarsi a un paio di isolati dal bar dove lavorava Danny.
Fatto questo, Rachel passò a studiare la seconda busta. Conteneva un diario rilegato in tessuto ed estremamente malridotto, la copertina macchiata e strappata, la costa spaccata, la rilegatura sfilacciata. Era stato legato con una piccola stringa di cuoio chiaro per tenerlo insieme: quando Rachel la sciolse, si accorse che tra le pagine del diario c’erano altri fogli. Alcuni erano stati piegati ordinatamente ed erano ben conservati, altri erano poco più che pezzetti di carta consunta. Alcuni erano coperti da una calligrafìa perfetta ed elegante, altri da scarabocchi caotici e illeggibili. Alcuni erano lettere, altri sembravano frammenti di un sermone (o almeno parlavano diffusamente di Dio e di redenzione). Alcuni erano persino illustrati con figure rozze che sembravano soldati della guerra civile. Non c’era alcun indizio sull’identità del proprietario all’inizio del diario che sembrava cominciare a metà di una frase. Ma quando Rachel lo sfogliò, si accorse che le prime quattro o cinque pagine dovevano essersi staccate e che il proprietario le aveva infilate a metà del libriccino. Sulla prima pagina c’era una dedica, scritta con un’elegante calligrafia femminile.
Questo è per i tuoi pensieri, mio adorato Charles.
Riportamelo quando questa orribile guerra sarà finita e insieme lo metteremo via, per lasciarci alle spalle tutta questa sofferenza.
Ti amo più della vita stessa e ti dimostrerò il mio amore in mille modi quando tornerai da me.
Tua moglie,
Più in basso, c’era una data:
2 settembre, 1863
Allora quelli dei disegni erano soldati della guerra civile, pensò Rachel. Quel diario doveva essere appartenuto a un militare che vi aveva raccolto le sue esperienze di guerra. Non sapeva molto del conflitto tra gli stati; la storia non le era mai interessata più di tanto. Soprattutto quando trattava eventi brutali; e quel poco che ricordava dai temi della scuola riguardava le crudeltà che avevano dato inizio alla guerra e le crudeltà che ne avevano segnato la fine. Niente di tutto questo era riuscita ad appassionarla e così aveva dimenticato in fretta le date e i nomi che aveva dovuto imparare.
Ma un libro di storia e un diario erano cose molto diverse. Uno era pieno di fatti da apprendere meccanicamente. L’altro aveva una voce, una drammaticità, uno stile particolare. In breve, si ritrovò rapita non tanto dai dettagli che venivano descritti — per la maggior parte si trattava di elenchi di sofferenze e privazioni: cibo immangiabile, animali agonizzanti, marce interminabili, ferite infette e pidocchi — ma dalla presenza tangibile dell’uomo che li aveva descritti, il suo autoritratto sempre più nitido, riga dopo riga. Amava sua moglie, aveva fede in Dio e nella causa del Sud, odiava Lincoln (un “dannato ipocrita”) e quasi tutti i Nordisti (“fingono di essere nel giusto solo perché gli fa comodo”); era più affezionato al suo cavallo che agli uomini che comandava, eppure sembrava preoccuparsi più delle loro sofferenze che delle proprie.
Deve pur esistere un modo migliore per superare le nostre differenze, aveva scritto, che quello di armare uomini come questi che non hanno la più pallida idea di quale sia la posta in gioco, e che vogliono solo concludere questa maledetta faccenda per poter fare ritorno al destino che il Signore ha stabilito per loro: arare e bere e morire, circondati dai loro figli.
Quando li sento parlare tra loro, non discutono di politica né dell’importanza della nostra causa: parlano di acqua fresca e di torte alle fragole. A cosa serve condannare a morte queste anime semplici? Sarebbe stato meglio che avessimo scelto dieci principi del Sud e dieci gentiluomini del Nord (sempre che se ne riescano a trovare dieci) e li avessimo messi in un campo armati di spade a combattere finché non ne fosse rimasto soltanto uno. E la vittoria sarebbe andata a quella fazione, e si sarebbe versato il sangue di soli diciannove uomini invece di compiere questo massacro che insanguina il corpo stesso della nazione.
Qualche pagina dopo, in un passaggio datato 22 agosto 1864 (“una notte sudicia e soffocante”), tornava all’argomento della sofferenza dei suoi uomini ma affrontandolo da un diverso punto di vista.
Spesso perdo la pazienza al pensiero che questa guerra sia opera del Signore. C’è stato donato il libero arbitrio; e che cosa abbiamo scelto? Di farci soffrire I’un l’altro.
Ieri abbiamo raggiunto una collina che doveva essere stata, per una settimana o per un mese, chi può dirlo?, un punto di una qualche importanza strategica. Era disseminata di cadaveri. Blu e grigi, in numero apparentemente identico. Perché non avevano avuto una sepoltura cristiana? Perché, devo presumere, non erano rimasti vivi abbastanza soldati per poterlo fare, e perché nei cuori dei loro comandanti non era rimasta abbastanza compassione per chiamare rinforzi e seppellire quei morti. La battaglia si sposta su un’altra collina — che per una settimana o un mese sembrerà di vitale importanza strategica — e queste centinaia di uomini, figli di altri uomini e padri di altri figli, resteranno qui a diventare cibo per le mosche.