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Lasciatemi aggiungere che il mio desiderio non aveva alcun oggetto, né reale né immaginario. L’intruglio di Marietta aveva semplicemente dato una scossa generale al mio corpo e i suoi primi pensieri, adesso che era sveglio, erano sessuali. Sono scoppiato a ridere, perfettamente felice di come mi sentivo in quel momento, senza desiderare niente di più di ciò che avevo: le stelle, la palude, il bicchiere, il mio cuore e un’erezione. Era tutto meraviglioso; e risibile.

Forse avrei dovuto tornare alla mia scrivania, mentre ero ancora in una condizione mentale positiva. Se fossi stato coraggioso e avessi scritto superando i miei dubbi, forse avrei potuto cominciare a tracciare Galilee sulla pagina — tracciarne lo scheletro, per così dire — prima che gli effetti della cocaina svanissero. Avrei aggiunto carne a quello scheletro in seguito. L’importante era cominciare. E naturalmente, se avessi avuto bisogno di un altro po’ di coraggio lungo la strada, avrei sempre potuto prepararmi un altro bicchiere.

Quel piano mi piaceva. Ho deciso di finire il mio drink e l’ho fatto (gettando il bicchiere nell’acqua della palude), poi mi sono diretto verso casa. O almeno così credevo. Dopo una cinquantina di metri, mi sono reso conto che la mia mente, innamorata della sua stessa eccitazione, mi aveva giocato e invece di condurmi al sicuro sul terreno solido del prato mi stava accompagnando nel fitto della palude. La parte più cauta di me mi ha sussurrato che quella non era una buona idea; ma la parte più forte, quella sotto l’effetto del brandy e della cocaina, ha dichiarato che se quella era la strada su cui mi aveva portato l’istinto, allora avrei dovuto percorrerla e godermi il viaggio. La terra era umida sotto i miei piedi e produceva ridicoli rumori risucchianti; i rami degli alberi erano così intricati sopra di me che solo una minima parte della luce della luna riusciva a filtrare illuminando il sentiero. Eppure l’istinto continuava a spingermi avanti, sempre più vicino al cuore della palude. Nonostante l’eccitazione, sapevo bene che stavo scherzando col fuoco. Il terreno non era adatto a una passeggiata neppure con la luce del giorno, e meno che mai lo era ora. Da un momento all’altro, il fango glauco sotto i miei piedi avrebbe potuto cedere e io mi sarei ritrovato immerso fino al collo in acque maledette, torbide e piene di alligatori.

Ma che diavolo! Avevo sempre la mia erezione a confortarmi, dopotutto; e avrei accettato la morte come il modo che Dio aveva per dirmi che non ero lo scrittore che credevo di essere.

Poi, qualcosa di strano. Dentro di me si è accesa la consapevolezza di non essere solo. C’era un altro essere umano nei paraggi; potevo sentire uno strano sguardo sfiorarmi la nuca. Mi sono fermato e mi sono voltato a guardare.

“C’è qualcuno?” ho chiesto a bassa voce.

Non mi aspettavo una risposta (chiunque cominci a seguire un viandante nell’oscurità quasi totale, solitamente non risponde a una domanda), ma con mia grande sorpresa ne ho ottenuta una. Non sotto forma di parole, almeno non in un primo momento. È arrivata come una sorta di fremito nell’oscurità, come se il mio compagno invisibile avesse avuto degli uccelli nascosti sotto la giacca, come un illusionista. Ho osservato quel movimento cercando di capirne il senso e, ben presto, mi sono convinto di sapere esattamente di chi si trattava. Dopo decenni di esilio, il figlio dolente dell’Enfant, Galilee il viaggiatore, era tornato a casa.

Tre

Ho pronunciato il suo nome, alzando leggermente la voce.

E di nuovo, ecco il fremito, e dal momento che il mio sguardo sapeva dove cercare, sono riuscito a vederlo. Era scolpito nell’ombra, non nella luce delle stelle; ombra nell’ombra. Ma senza alcun dubbio era lui. Non vi è un altro volto bello quanto il suo su questo pianeta. Vorrei che ci fosse. Vorrei che avesse eguali. Ma non è così, accidenti a lui. È una specie a sé stante, Galilee, e noialtri possiamo solo trarre un po’ di conforto nel percepire la sua infelicità.

“Sei veramente qui?” gli ho chiesto. Mi rendo conto che possa sembrare una strana domanda; ma Galilee aveva ereditato da sua madre la capacità di inviare la propria immagine dovunque desiderasse e, dal momento che per un istante avevo creduto che fosse lì in carne e ossa, ora avevo il sospetto che quella forma agitata non fosse proprio mio fratello, ma un messaggio che mi aveva inviato con la pura forza di volontà.

Questa volta, ho percepito delle parole tra i fremiti. “No”, ha risposto. “Sono molto lontano.”

“Ancora in mare?”

“Ancora in mare.”

“Allora a cosa devo questo onore? Stai pensando di tornare a casa?”

Il fremito è diventato una risata; una risata amara.

“A casa?” ha detto. “Perché dovrei tornare a casa? So di non essere il benvenuto.”

“Io ti accoglierei a braccia aperte”, ho ribattuto. “E anche Marietta.” Galilee ha grugnito. Chiaramente, non ne era per nulla convinto. “Vorrei poterti vedere meglio”, ho aggiunto.

“È colpa tua, non mia”, ha risposto l’ombra nell’ombra.

“Che cosa vuoi dire?” ho balbettato leggermente confuso.

“Fratello, ti appaio tanto chiaramente quanto potresti sopportare di vedermi”, ha risposto Galilee. “Né più né meno.” Ho immaginato che fosse la verità. Non aveva ragioni per mentirmi. “Ma nel prossimo futuro, non ho intenzione di avvicinarmi oltre alla casa.”

“Dove sei?”

“Da qualche parte al largo delle coste del Madagascar. Il mare è calmo, non soffia un alito di vento. E ci sono pesci volanti tutt’attorno alla barca. Mi basta allungare la padella e ci saltano dentro…” I suoi occhi luccicavano nell’oscurità, come se stessero riflettendo per me parte del mare scintillante che stava osservando.

“È molto strano?” gli ho domandato.

“Che cosa?”

“Essere in due posti contemporaneamente.”

“Lo faccio di continuo”, ha detto lui. “Lascio scivolare via la mia mente e me ne vado in giro per il mondo.”

“E se succedesse qualcosa alla tua barca mentre i tuoi pensieri stanno vagabondando?”

“Non lo so”, ha risposto. “Io e la mia Samarcanda ci capiamo. Comunque non c’è pericolo che accada qualcosa stasera. È tutto così calmo. Ti piacerebbe questo posto, Maddox. Quando sei qui, scopri una prospettiva diversa delle cose. Cominci a lasciare che i tuoi sogni prendano il sopravvento, a dimenticarti del male che hai fatto, a non preoccuparti più della vita, della morte e degli enigmi dell’universo…”

“Hai lasciato fuori l’amore”, ho detto io.

“Ah, be’, sì… l’amore è un’altra faccenda.” Ha distolto lo sguardo da me, nell’oscurità. “Non importa quanto lontano ci si spinga, ci sarà sempre l’amore, giusto? Ci viene a cercare, dovunque andiamo.”

“Non ne sembri così felice.”

“Be’, fratello, la verità è che non importa se sono felice oppure no. Non c’è via di fuga per me, e questo è tutto.” Ha allungato la mano verso di me. “Hai una sigaretta?”

“No.”

“Dannazione. Quando parlo d’amore mi viene sempre voglia di fumare.”

“Sono un po’ confuso”, ho detto. “Ammettiamo che avessi avuto una sigaretta…”

“Vuoi sapere se avrei potuto prendertela e fumarla?”

“Sì.”

“No. Non avrei potuto. Ma avrei potuto guardarti fumarla e sarei stato quasi altrettanto soddisfatto. Sai bene quanto mi piacciono le esperienze per procura.” Ha riso di nuovo. Questa volta nella sua voce non c’era amarezza, solo divertimento. “Anzi, più invecchio — e mi sento vecchio, fratello, mi sento molto, molto vecchio — più mi convinco che tutte le esperienze migliori sono di seconda se non addirittura di terza mano. Preferirei raccontare una storia d’amore o ascoltarne una, piuttosto che essere innamorato in prima persona.”