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Aprì la porta d’ingresso. Le porte interne erano aperte e Rachel si accorse che la casa era stata progettata in modo tale da permettere allo sguardo di spaziare liberamente fino all’estremità opposta e di vedere il mare. Le stanze erano buie — soprattutto in contrasto con il sentiero soleggiato — e così, per qualche istante meraviglioso, Rachel ebbe l’impressione di trovarsi in un labirinto scuro in cui era stato intrappolato un angolo di cielo e oceano.

Per qualche istante, rimase ferma sulla soglia ad ammirare quell’illusione, poi entrò. L’impressione che aveva avuto osservando la casa dall’esterno — ovvero che quella fosse una proprietà tutt’altro che sfarzosa — fu subito confermata. C’era un piacevole odore di muffa; non la muffa dell’abbandono, ma quella di mura inumidite dall’aria salmastra o forse dell’isola stessa. Si spostò da una stanza all’altra per farsi un’idea della costruzione. La casa era stata arredata in modo eclettico, come se per un certo periodo fosse stata un deposito di oggetti che un tempo avevano avuto un qualche valore sentimentale. Niente si accordava con niente. Attorno al modesto tavolo da pranzo c’erano cinque sedie una diversa dall’altra e due stranamente uguali. Nell’ampia cucina, le pentole appese alle pareti provenivano da almeno una dozzina di batterie differenti. Sul divano, i cuscini erano accatastati in una pila di eccesso edonistico. Solo i quadri mostravano un qualche segno di omogeneità. Come per contrasto con le austere opere moderne che Mitch aveva scelto per il suo attico o con i grandi paesaggi americani di cui Cadmus faceva collezione (possedeva persino un Bierstadt grande quanto un’intera parete), dovunque nella casa erano appesi piccoli acquerelli e schizzi a carboncino — soltanto vedute dell’isola: baie e barche; studi di boccioli e di farfalle. Sulle scale c’era una serie di disegni della casa, senza firma e senza data ma sicuramente risalenti a molti anni prima: la carta era ingiallita e i segni della grafite stavano sbiadendo.

Al piano superiore l’arredamento era altrettanto bizzarro. Uno dei letti era spartano come una branda militare ma accanto a esso c’era una chaise longue che avrebbe fatto la sua figura in un boudoir. La camera da letto principale era arredata con mobili intagliati e decorati con immagini di uomini e donne nudi che dormivano beatamente circondati da strani fiori esotici. La vernice era scrostata e gli intarsi erano rozzi, ma la presenza di quei mobili rendeva la stanza curiosamente magica.

Rachel ripensò a ciò che Margie le aveva detto di quel luogo. Era tutto vero. Si trovava sull’isola da meno di due ore e aveva già la sensazione che un qualche incantesimo stesse agendo su di lei.

Andò alla finestra, da cui si poteva vedere il piccolo prato incolto chiuso da una siepe oltre la quale si allungava la spiaggia, la sabbia luminosa sotto la luce del sole; e, poco oltre, il turchese del mare.

Non c’erano dubbi su quale camera da letto avrebbe scelto, pensò, lasciandosi cadere sul letto come una bambina di dieci anni. “Oh Dio”, disse, alzando gli occhi al soffitto, “ti ringrazio. Ti ringrazio davvero.”

2

Quando tornò al piano inferiore, Jimmy aveva già portato le valigie sulla veranda e, in piedi accanto ai bagagli, si stava accendendo un’altra sigaretta.

“Le porti pure dentro”, disse Rachel. Lui fece per gettare via la sigaretta, ma lei lo fermò: “No, può fumare in casa, Jimmy”.

“Ne è sicura?”

“Certo”, rispose Rachel. “Fumerò, berrò e…” Fece una pausa: cos’altro avrebbe fatto? “E mangerò tutte le cose che non dovrei mangiare.”

“A questo proposito…” disse Jimmy, “la cuoca si chiama Heidi e vive a un paio di chilometri da qui. La sorella di Heidi viene a fare le pulizie quattro volte alla settimana, ma se lei vuole verrà anche ogni giorno, a cambiare le lenzuola.”

“No, va benissimo così.”

“Mi sono preso la libertà di comprare delle provviste. Oh, dimenticavo, c’è anche qualche bottiglia di vino in cucina. Può mandare Heidi a Kapa’a, se dovesse avere bisogno di altro. Immagino che abbia scelto la camera più grande.”

“Sì, infatti.”

“Allora porterò su i bagagli.”

Jimmy la lasciò a completare l’esplorazione della casa. Rachel andò alla portafinestra dalla quale aveva visto la spiaggia per la prima volta, la aprì e uscì sulla veranda dove trovò delle sedie malconce e un tavolino di ferro battuto; insieme ad altri rampicanti, altri fiori, altri gechi e altre farfalle. Il vento aveva depositato un’enorme fronda di palma secca sugli scalini. Rachel la scavalcò e scese sul prato, quasi incapace di staccare lo sguardo dalla spiaggia. L’acqua aveva un aspetto meravigliosamente invitante, le onde si infrangevano come tuoni morbidi e spumosi.

“Signora Geary?”

Jimmy la stava chiamando, ma solo quando ripeté il suo nome la terza volta, Rachel riuscì a scuotersi da quello stato quasi ipnotico e si rese conto che era a lei che l’uomo si stava rivolgendo. Si voltò verso la casa. Era ancora più bella vista dal giardino. Il vento e la pioggia l’avevano sferzata più duramente su quel lato esposto al mare; e la vegetazione, come per compensarla per quelle ferite, era cresciuta ancora più rigogliosa. Potrei vivere qui per sempre, pensò Rachel.

“Mi dispiace disturbarla, signora Geary.”

“La prego, mi chiami Rachel.”

“Grazie. Le ho portato le valigie in camera e le ho lasciato il mio numero di telefono e quello di Heidi sul bancone. Ah, a proposito — quasi me ne dimenticavo — c’è una jeep nel garage. Ma se preferisce un’auto meno sportiva, gliela noleggerò. Mi dispiace ma adesso devo scappare, devo partecipare a un incontro in chiesa…”

“No, va benissimo”, disse Rachel. “Ha fatto anche più del necessario.”

“Allora vado”, ripeté lui, rientrando in casa. “Se ha bisogno di qualcosa… di qualsiasi cosa…”

“Grazie. Sono sicura che starò benissimo.”

“Allora, a presto”, disse Jimmy, salutandola con un cenno della mano.

Lei sentì sbattere la porta d’ingresso poi rimase ad ascoltare il motore dell’auto che si allontanava. Alla fine anche quel suono svanì completamente, lasciandola al canto degli uccelli e al rumore del mare.

“Perfetto”, mormorò tra sé, imitando l’inflessione inglese di Jimmy. Non era una parola che avrebbe pensato di usare prima di averla sentita dalle labbra di Jimmy, ma c’era forse un termine più appropriato per descrivere un luogo come quello?

No; era perfetto. Perfetto.

Dodici

1

Ora che aveva la casa tutta per sé, Rachel decise di rimandare la sua visita alla spiaggia e di farsi invece una doccia e di bere qualcosa. Jimmy aveva rifornito la cucina scrupolosamente. Quando si fu lavata e cambiata d’abito, si mise in cerca del necessario per preparare un Bloody Mary e scoprì che non mancava niente. Una bottiglia di vodka, succo di pomodoro, tabasco, un pizzico di rafano e persino del sedano. Prese il suo drink e telefonò a Margie per farle sapere che era arrivata senza problemi. Margie non era a casa, così lasciò un messaggio. Poi si diresse alla spiaggia.

Il pomeriggio si era stemperato in una serata deliziosa; gli ultimi raggi del sole illuminavano la cima delle palme e coloravano d’oro le nuvole che si spostavano verso sud. A un centinaio di metri da lei, tre ragazzi del luogo stavano facendo surf, chiamandosi a gran voce mentre cavalcavano le onde. Ma a parte loro, la lunga mezzaluna della spiaggia era deserta. Rachel appoggiò il bicchiere sulla sabbia, si avvicinò all’acqua e si immerse fino alle ginocchia. L’acqua era calda e le onde le accarezzavano le gambe, spruzzandole il petto e il viso.