C’era un visitatore ad aspettarla sulla porta. Un uomo dalla pelle scura e dalle spalle larghe, di ckca trentacinque anni, che si presentò come Niolopua.
“Sono qui per occuparmi della casa”, disse. “In che senso?” domandò Rachel. Jimmy non le aveva parlato di quell’uomo e, nonostante l’espressione aperta del suo volto e i suoi modi gentili, non era ancora riuscita a liberarsi della sua diffidenza newyorkese verso gli sconosciuti.
“Del prato”, rispose lui, indicando con un cenno il retro della casa. “Delle piante.”
“Oh… si occuperà del giardino.”
“Già.”
“Nessun problema”, disse Rachel, facendosi da parte per lasciarlo entrare.
“Passo da fuori”, replicò l’uomo, osservandola più attentamente ora. “Volevo solo presentarmi.”
“Be’, grazie”, rispose lei. C’era una strana intensità nel modo in cui la guardava; ma il suo linguaggio del corpo sembrava quasi negarla. Si manteneva a una distanza rispettosa da lei, le mani dietro la schiena, fissandola semplicemente. Lei lo fissò a sua volta, sicura che l’uomo avrebbe distolto lo sguardo, ma non lo fece. Continuò a scrutarla con una franchezza quasi infantile, finché lei non domandò:
“C’è altro?”
“No”, rispose lui. “È tutto a posto.” Sembrava volerla rassicurare.
“Ottimo. Allora la lascio al suo lavoro.” Detto questo entrò in casa e chiuse la porta.
Dopo qualche minuto, Rachel sentì il ronzio del tagliaerba e andò alla finestra del soggiorno per dare un’occhiata. Niolopua era a torso nudo adesso, la sua schiena dello stesso colore delle acque del fiume. Se quello fosse stato uno dei romanzi spazzatura di cui Margie era un’accanita lettrice, avrebbe dovuto soltanto invitarlo in casa a bere un bicchiere d’acqua e un minuto più tardi si sarebbe ritrovata con la schiena premuta contro la porta e la lingua del giardiniere in bocca. Sorrise tra sé maliziosamente. Forse di lì a un paio di giorni avrebbe anche potuto provarci, per scoprire se la fantasia poteva combaciare con la realtà.
Più tardi, mentre stava cercando di far funzionare il fonografo, si rese conto che il suono del tagliaerba si era interrotto, alzò lo sguardo e vide che Niolopua aveva smesso di lavorare ed era in piedi in fondo al prato. Stava scrutando il mare, schermandosi gli occhi con una mano per proteggerli dal bagliore del cielo.
Non c’erano dubbi su ciò che stava guardando. La barca dalla vela bianca adesso era più vicina alla riva, vicina abbastanza perché Rachel potesse vedere che non aveva una sola vela ma almeno due. Anche lei si soffermò a osservare l’imbarcazione che ondeggiava seguendo il ritmo delle acque blu scuro. Era ipnotizzante; come osservare le lancette di un orologio, il movimento così sottile da diventare impercettibile. Eppure anche mentre la guardava, Rachel si accorse che la barca si era avvicinata ulteriormente.
All’improvviso, dal folto della vegetazione sulla destra della casa scaturirono gli strilli penetranti di un gruppo di fringuelli impegnali in un’aspra disputa tra le palme, e Rachel si distrasse. Quando guardò di nuovo il prato, vide che Niolopua era tornato al suo tagliaerba. L’imbarcazione era scomparsa, il vento o la corrente o entrambe le cose l’avevano spinta lungo la costa, fuori dal suo campo visivo, e lei si sentì vagamente delusa. Avrebbe voluto osservare l’avanzare della barca sorseggiando un cocktail. Non aveva importanza, si disse. Sicuramente avrebbe visto molti altri vascelli nei giorni a venire.
2
Col passare delle ore si alzò il vento che prese a scuotere le palme attorno alla casa e a frustare l’oceano, che quel mattino le era sembrato così calmo e ora si era trasformato in una furia di onde e spuma bianca. Il vento la metteva a disagio; era sempre stato così per lei. Anche da bambina diventava nervosa quando soffiava il vento; a volte le sembrava persino carico di voci, di lamenti, di singhiozzi. Sono anime perdute, le aveva spiegato sua nonna, cosa che non aveva fatto che aumentare il suo disagio.
Decise di non restare in casa ma di prendere la jeep e di fare un giro lungo la costa. Fu un’ottima idea. Dopo aver guidato per un po’, si ritrovò su una stretta striscia di terra in fondo alla quale sorgeva una piccola chiesa bianca circondata da una trentina di tombe. L’edificio era intatto solo in parte: forse una vittima dell’uragano a cui aveva accennato Jimmy Hornbeck. Le tegole erano state strappate dal tetto, così come le travi del soffitto. Solo tre delle quattro pareti erano ancora in piedi; quella rivolta verso il mare era scomparsa. E così anche l’altare. Dentro la chiesa rimanevano solo poche sedie di legno che per qualche ragione nessuno aveva portato via.
Rachel si aggirò tra le lapidi, alcune delle quali dovevano avere almeno trenta o quarant’anni se non di più. I nomi di alcune delle persone sepolte lì erano facili da leggere — c’erano un Robertson, un Montgomery, persino uno Schmutze — ma la maggior parte andava al di là delle sue capacità. Come si pronunciava ad alta voce un nome come Kaohelaulii o come Hokunohoaupuni?
Dopo aver passato una decina di minuti a esaminare i nomi sulle tombe, si accorse di non essere vestita in modo adeguato per la temperatura. Anche se il sole faceva capolino tra le nuvole, il vento la faceva rabbrividire. Tuttavia era riluttante a tornare alla jeep, così cercò rifugio in ciò che rimaneva della chiesa. Le pareti di legno scricchiolavano quando venivano investite da una folata di vento particolarmente forte. Sarebbe bastato un altro violento temporale a far crollare del tutto quella costruzione. Ma per ora era esattamente ciò di cui Rachel aveva bisogno; un riparo dalle intemperie che non le impediva di osservare il cielo e il mare.
Si sedette su una delle sedie malconce e restò ad ascoltare i mutamenti del vento che fischiava tra le assi. Forse sua nonna aveva detto la verità, dopotutto. In un luogo come quello, non era affatto difficile immaginare che i morti stessero dando voce al loro dolore nel vento. Forse le anime degli uomini e delle donne sepolti in quel lembo di terra — i Montgomery e i Kaohelaulii — tornavano dal mare a visitare l’estrema dimora delle loro ossa. Era un pensiero triste ma non la inquietava. Forse l’avrebbero vista seduta lì, tranquilla, per nulla spaventata dalle loro voci e sarebbero state confortate dal suo ricordo quando si fossero allontanate.
Sentì una goccia di pioggia bagnarle il viso. Si alzò e lasciò la chiesa, e in quel momento si accorse che una grande massa di nubi scure si stava dirigendo verso l’isola. Era ora di tornare a casa. Attraversò il cimitero e raggiunse la jeep. La pioggia incominciò a cadere sempre più fitta e sempre più gelata.
Rachel salì in macchina e mise in moto. Mentre faceva manovra, lanciò un’occhiata in direzione dell’oceano e attraverso il parabrezza rigato di pioggia scorse una sagoma bianca che si stagliava contro le acque scure del mare. Mise in funzione i tergicristalli.
Là nella baia, c’era l’imbarcazione che aveva visto qualche ora prima; il vascello a due vele che anche Niolopua si era fermato a guardare. Era una follia scendere dall’auto per osservare la barca, ma per qualche ragione Rachel sentì il bisogno di farlo.
La pioggia cadeva così scrosciante che la inzuppò nel giro di pochi secondi, ma non le importava. Valeva la pena bagnarsi pur di vedere quell’imbarcazione coraggiosa, le vele gonfie di vento, la prua che tagliava i flutti grigio-verdi. Soddisfatta e ormai certa che quella fosse la stessa barca che aveva visto nel pomeriggio e che il capitano e l’equipaggio non fossero in pericolo, risalì in macchina, sbatté la portiera e si diresse verso casa.