“Proprio così.”
“E alla fine, le cose che desideri sono proprio quelle che non possono darti.” Non stava più parlando di lei, capì Rachel. Stava parlando di se stesso, del suo rapporto con i Geary di cui lei ancora non comprendeva la natura.
“Stai facendo la cosa giusta”, le disse. “E meglio andarsene prima di incominciare a odiare se stessi.”
Ancora una volta si stava riferendo alla sua vita, e lei trovò quel fatto confortante. Galilee sembrava aver visto un qualche parallelo tra le loro esistenze. Le paure che l’avevano tormentata quel pomeriggio si stavano rivelando infondate. Se davvero lui capiva così bene la sua situazione — se davvero in qualche modo i loro rispettivi dolori si assomigliavano — allora avevano un terreno comune da cui partire.
Avrebbe voluto saperne di più, ma dopo quell’ultimo commento Galilee si era fatto silenzioso, e Rachel non aveva idea di come risollevare l’argomento senza sembrare troppo insistente. Non importa, pensò. Perché perdere tempo a parlare dei Geary, quando poteva godere di tante cose meravigliose: del cielo che si tingeva di rosa, del mare calmo come non lo aveva mai visto, della carezza dell’acqua attorno alle sue gambe, del calore della mano di Galilee contro la sua?
A quanto pareva, Galilee stava pensando più o meno la stessa cosa.
“A volte, le mie stesse parole mi mettono di cattivo umore”, le confidò, “e poi penso: di cosa diavolo posso lamentarmi?” Alzò gli occhi sulle nuvole color corallo che stavano solcando il cielo sopra di loro. “E se anche non capisco il mondo?” continuò. “Sono un uomo libero. Per la maggior parte del tempo, almeno. Vado dove voglio, quando voglio. E dovunque io vada…” il suo sguardo si spostò dalle nuvole a Rachel “… vedo cose meravigliose.” Si chinò verso di lei e le diede un bacio leggero. “Cose così belle che fatico a credere che le sto guardando.” Si erano fermati. Lui le coprì di nuovo le labbra con le sue, ma questa volta non ci fu niente di casto. Si strinsero l’uno all’altra e si baciarono profondamente, come gli amanti che erano destinati a diventare.
Rachel ebbe il sospetto che quello fosse solo un sogno: che ogni dettaglio di quell’istante fosse così perfetto che niente avrebbe potuto migliorarlo. Cielo, mare, nuvole, labbra. I loro sguardi che si incontravano. Le mani di Galilee sulla sua schiena, sul suo collo, tra i suoi capelli.
“Perdonami…” mormorò lui.
“Per cosa?”
“Per non essere venuto a cercarti”, rispose. “Avrei dovuto farlo.”
“Non capisco.”
“Stavo guardando il mare quando avrei dovuto mettermi in cerca di te. Così non lo avresti sposato.”
“Se non lo avessi sposato, non ci saremmo mai incontrati.”
“Oh sì, invece”, disse Galilee. “Se non fossi rimasto a guardare il mare, avrei saputo che eri qua, da qualche parte. E sarei venuto a cercarti.”
Camminarono ancora per un po’ abbracciati, adesso. Lui la condusse in fondo alla spiaggia e oltre le rocce che segnavano il confine tra le due baie. Dall’altra parte, c’era una striscia di spiaggia lunga forse la metà di quella che si erano lasciati alle spalle, in mezzo alla quale si trovava un piccolo, vecchio pontile, le assi ingrigite e i pali che lo sostenevano verdi di alghe. C’era solo un’imbarcazione attraccata lì: la Samarcanda. Aveva le vele ammainate e ondeggiava lentamente seguendo il ritmo della marea, l’immagine stessa della tranquillità.
“L’hai costruita tu?” domandò Rachel.
“Non proprio. L’ho comprata alle Mauritius, ho levato tutte le cose inutili e l’ho risistemata come volevo io. Ci sono voluti due anni, ho fatto tutto da solo.”
“Come per la casa.”
“Già, be’, preferisco così. Non sono molto a mio agio con la gente. Una volta ero diverso…”
“Ma?”
“Mi sono stancato di fingere.”
“Di fingere cosa?”
“Di fingere che la gente mi piacesse”, rispose Galilee. “Che mi piacesse parlare…” scrollò le spalle “… delle cose di cui parla la gente.”
“Di loro stessi”, disse Rachel.
“È di questo che parlano?” chiese lui perplesso. Era come se si fosse tenuto lontano da ogni presenza umana per così tanto tempo da dimenticare ogni cosa. “Dovevo essere distratto.” Rachel scoppiò a ridere. “No, parlo sul serio”, continuò lui. “Non mi sarebbe dispiaciuto così tanto se avessero voluto davvero parlare di quello che accadeva nelle loro anime. Ma non era così. Senti discorsi carini. Quanto stanno diventando grasse le loro mogli, quanto sono stupidi i loro mariti e quanto odiano i loro figli. Chi può sopportare una cosa del genere molto a lungo? Io preferisco non sentire niente.”
“Oppure raccontare una storia.”
“Oh, certo”, disse lui, illuminandosi a quel pensiero, “questo è anche meglio. Ma non una storia qualsiasi. Dev’essere qualcosa di vero.”
“E la storia che mi hai raccontato ieri notte?”
“Anche quella era vera”, rispose Galilee. “Te lo giuro, non ho mai raccontato una storia più vera in vita mia.” Lei lo fissò, con aria interrogativa. “Vedrai”, continuò, “se non è vera adesso, presto o tardi lo sarà.”
“Questo potrebbe dirlo chiunque”, ribatté lei.
“Sì, ma non l’ha detto chiunque. L’ho detto io. E non sprecherei mai il mio tempo con cose meno che vere.” Le accarezzò il viso. “Prima o poi dovrai raccontarmi una storia. E dovrà essere altrettanto vera.”
“Non conosco storie come la tua.”
“E cioè?”
“Sai”, rispose Rachel. “Storie eccitanti come quella che mi hai raccontato tu.”
“Oh, allora ti ha eccitata.”
“Sai che è così.”
“Vedi? Allora doveva essere vera.”
Rachel non seppe cosa ribattere. Non tanto perché quell’ultima affermazione fosse priva di senso, ma perché, in un modo che non riusciva a spiegarsi, ne aveva anche troppo. Era chiaro che il concetto che Galilee aveva del vero sfuggiva a ogni definizione convenzionale, e tuttavia possedeva una sorta di logica bizzarra.
“Vogliamo andare?” disse lui. “Penso che la barca cominci a sentirsi sola.”
Sei
1
Mentre percorrevano il piccolo molo scricchiolante, Rachel gli chiese perché avesse battezzato la sua barca Samarcanda. Galilee le spiegò che quello era il nome di una città.
“Non l’ho mai sentita nominare”, disse Rachel.
“Be’, non mi stupisce. È molto lontana dall’Ohio.”
“Vìvevi là?”
“No, l’ho solo visitata. Ho visitato un sacco di posti in vita mia senza fermarmi.”
“Allora hai viaggiato molto.”
“Più di quanto avrei voluto.”
“Perché non ti trovi un posto che ti piaccia e non ti fermi lì?”
“È una lunga storia. Credo che la risposta più semplice sia che ho sempre avuto la sensazione di non appartenere a nessun luogo. Tranne che al mare.” Lanciò un’occhiata in direzione dell’oceano. “E persino là fuori…”
Per la prima volta da quando avevano cominciato quella conversazione, Rachel sentì che Galilee era altrove con la mente, come se quei discorsi su cose lontane avessero acceso in lui il desiderio di mettersi in viaggio. Forse non verso Samarcanda; solo verso qualche luogo remoto, lontano dal qui e da ora. Lei gli toccò il braccio.
“Torna da me”, disse.
“Scusami”, rispose lui. “Sono qui.”
Avevano raggiunto l’estremità del molo. La barca era davanti a loro e stava dondolando dolcemente tra le braccia della marea.
“Saliamo a bordo?” chiese Rachel.
“Certamente.”