“Potresti andartene a nuoto”, ribatté lui. Non stava sorridendo.
“Probabilmente potrei.”
“Ma come dicono sulle isole: Uliuli kai holo ka mano.”
“E cosa significa?”
“Dove il mare è scuro nuotano gli squali. ”
“Oh, molto rassicurante”, borbottò Rachel, lanciando un’occhiata alle acque che accarezzavano pigramente lo scafo della Samarcanda. Erano davvero scure.
“Quindi potrebbe non essere la decisione più saggia. Sei più al sicuro qui. Con me. Posso darti quello che vuoi.”
“Ma io non ho detto…”
“Non ce n’è bisogno. Riesco a sentire l’odore di quello che vuoi.”
Se Mitchell le avesse mai detto qualcosa di simile come ouverture sessuale, si sarebbe giocato all’istante ogni possibilità di fare l’amore con lei. Ma era stata lei a dare il permesso a quell’uomo di dire ciò che gli passava per la testa. Era tardi per fare la puritana. D’altra parte, pronunciate da Galilee, quelle parole erano stranamente seducenti. Poteva sentire il suo odore. Il suo fiato, il suo sudore; chissà cos’altro. Poteva sentire il suo odore; e lei stava solo perdendo tempo con le sue proteste e i suoi rifiuti…
Così disse: “Non avevi detto che volevi pescare?”
Lui sogghignò. “Allora vuoi un amante che mantiene le sue promesse.”
“Assolutamente sì.”
“D’accordo”, fece lui, e alzandosi si tolse la T-shirt, si slacciò la cintura e si sfilò i jeans; così velocemente, che Rachel non capì che cosa avesse intenzione di fare finché non lo vide tuffarsi in acqua. Non fu un tuffo elegante e gli spruzzi d’acqua la raggiunsero. Ma non fu quella la ragione per cui lei si alzò in piedi e gli gridò di fermarsi. Fu per ciò che le aveva detto sugli squali e le acque scure.
“Non farlo!” gridò. Non riusciva quasi a vederlo. “Torna qui!”
“Non starò via per molto.”
“Galilee. Hai detto che c’erano gli squali.”
“E più resto qui a parlare con te, più probabilità ci sono che vengano a mordermi il culo, quindi se non ti dispiace adesso vado a pescare.”
“Mi è passata la fame.”
“Ti tornerà”, replicò lui. Rachel poteva percepire il sorriso che gli animava la voce. Poi lo vide sollevare le braccia sopra la testa e scomparire tra i flutti.
“Figlio di puttana”, mormorò, la mente piena di domande inquietanti. Per quanto tempo Galilee riusciva a trattenere il fiato? E lei quando avrebbe dovuto cominciare a preoccuparsi? E se avesse visto uno squalo, cosa avrebbe dovuto fare? Sporgersi dal ponte e colpire lo scafo per distrarre il predatore? Non era certo un’idea rassicurante, le acque erano così scure. Lo squalo le sarebbe stato addosso in un batter d’occhio. Le avrebbe mozzato una mano, un braccio, l’avrebbe trascinata nel mare.
Non aveva più dubbi: quando Galilee fosse tornato a bordo, gli avrebbe detto di riportarla a terra immediatamente; quel figlio di puttana, quel figlio di puttana, l’aveva lasciata lì a fissare le tenebre con il cuore in gola e…
Sentì un rumore dall’altra parte della barca.
“Sei tu?” chiese. Non ottenne risposta. Attraversò il ponte, inciampando in qualcosa nell’oscurità. “Galilee, accidenti a te! Rispondi!”
Il rumore riecheggiò ancora. Rachel scrutò il mare in cerca di un qualche segno di vita, pregando di scorgere un uomo e non una pinna.
“Oh Dio, ti prego, fa’ che non gli succeda niente”, si sorprese a dire ad alta voce. “Ti prego, Dio, non fargli del male.”
“Parli come una donna delle isole.”
Rachel si voltò a guardare in direzione della voce. C’era qualcosa di simile a una palla nera che galleggiava nell’acqua. E attorno a essa, i pesci stavano saltando fuori dall’acqua, i loro dorsi color argento nella luce delle stelle.
“Bene”, disse Rachel, cercando di non mostrarsi preoccupata in modo da non incoraggiarlo nelle sue bravate. “Hai preso il pesce? Fantastico.”
“A Puhi, c’era un dio-squalo chiamato Kaholia-Kane.”
“Smettila!” gridò lei.
“Ma ti ho sentita pregare.”
“No.”
“Tiprego, Dio, stavi dicendo.”
“Non stavo pregando il fottutissimo squalo!” gridò Rachel. La rabbia e la paura stavano avendo la meglio su di lei.
“Be’, invece dovresti. Gli dèi ti ascoltano. O almeno, questo ascoltava. Le donne lo chiamavano quando qualcuno si perdeva in mare.”
“Galilee?”
“Sì?”
“Non è più divertente. Voglio che torni a bordo.”
“Un momento”, disse lui. “Lasciami finire.” Rachel lo vide sollevare un braccio fuori dall’acqua per afferrare uno dei pesci. “Preso! Perfetto. Arrivo.” Incominciò a nuotare verso la Samarcanda.
“Ecco”, le disse quando raggiunse il bordo della barca, passandole il pesce. Era grande e ben intenzionato a tornare nel suo elemento naturale. Si agitava con tanta violenza che Rachel dovette afferrarlo con entrambe le mani.
Stava appoggiando il pesce sul ponte da dove non sarebbe più riuscito a scappare, quando Galilee uscì dall’acqua e si fermò a un paio di passi da lei, alle sue spalle.
“Mi dispiace”, disse, senza darle il tempo di spiegargli quanto fosse arrabbiata con lui. “Non pensavo che ti avrei turbata così. Pensavo che avessi capito che era uno scherzo.”
“Vuoi dire che non ci sono squali in queste acque?”
“Oh no, ce ne sono. E gli isolani dicono davvero Uliuli kai holo ka mano. Ma non credo che si riferiscano veramente agli squali quando lo dicono.”
“E a cosa si riferiscono, allora?”
“Agli uomini.”
“Oh, capisco”, disse Rachel. “Quando fa buio, gli uomini escono…”
“… a cercare qualcosa da mangiare.” Galilee annuì.
“Ma avresti potuto essere attaccato comunque”, continuò lei, “se ci sono davvero degli squali là fuori.”
“Non mi avrebbero toccato.”
“E perché? Sei troppo coriaceo per loro?”
Lui le prese una mano e se la portò al centro del petto massiccio. Il suo cuore batteva furiosamente. Sembrava che ci fosse solo un sottile strato di pelle tra la sua mano e il cuore di Galilee: se solo avesse voluto, avrebbe potuto affondare le dita e stringerlo. Adesso era lei che poteva sentire il suo odore. La sua pelle sapeva di fumo e caffè bruciato; il suo alito di sale.
“Ci sono un sacco di storie sugli squali, gli uomini e gli dèi”, disse lui.
“Sempre le tue storie vere?”
“Assolutamente vere”, rispose lui. “Te lo giuro.”
“Per esempio?”
“Be’, ce ne sono quattro tipi. Leggende su uomini che si trasformano in squali. Queste creature si aggirano per le spiagge di notte e rubano anime; talvolta rapiscono bambini.”
Rachel fece una smorfia. “Non mi sembrano molto divertenti.”
“Poi ci sono storie su uomini che decidono di vivere nel mare e diventano squali.”
“E perché mai dovrebbero fare una cosa del genere?”
“Per la stessa ragione per cui ho preso questa barca e me ne sono andato: perché sono stanchi di fingere. Vogliono vivere nell’acqua, muoversi in eterno. Gli squali muoiono se non continuano a nuotare, lo sapevi?”
“No…”
“Be’, è così.”
“E questo è il secondo tipo.”
“Poi c’è un altro tipo che conosci già. Le leggende su Kaholia-Kane e i suoi fratelli e le sue sorelle.”
“Dèi-squali?”
“Protettori dei marinai e delle navi. Ce n’è uno a Pearl Harbor che custodisce i morti. Si chiama Ka’ahupahau. E il più grande si chiama Kuhaimuana. È lungo più di cinquanta metri…”