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Rachel scosse la testa. “Mi spiace. Nemmeno queste mi interessano.”

“Quindi ci resta solo una categoria.”

“Uomini che sono dèi?” domandò Rachel. Galilee annuì. “No, non mi bevo nemmeno questa.”

“Non essere precipitosa”, disse Galilee. “Forse non hai ancora incontrato l’uomo giusto.”

Lei scoppiò a ridere. “E forse sono solo storie”, ribatté. “Ascolta, se vuoi parlare di squali e di religione, possiamo farlo domani. Ma stasera cerchiamo di essere solo persone normali.”

“Lo fai sembrare facile”, disse lui.

“E infatti lo è.” Gli si avvicinò, la mano ancora premuta sul suo petto. Il cuore dell’uomo sembrava battere ancora più forte, adesso. “Non capisco cosa stia succedendo tra noi”, disse Rachel, i loro volti così vicini che poteva sentire il calore del respiro di Galilee. “E a essere sincera, non m’importa più.” Lo baciò. Lui continuò a fissarla senza nemmeno sbattere le palpebre, anche mentre si baciavano.

“Che cosa vuoi fare?” chiese lui con voce pacata.

Lei gli fece scivolare l’altra mano lungo il ventre, fino al sesso. “Tutto quello che vuoi”, disse accarezzandolo. Lui rabbrividì.

“Ci sono tante cose che devo raccontarti”, disse lui.

“Più tardi.”

“Cose che devi sapere su di me.”

“Più tardi.”

“Ma poi non dire che non ci ho provato”, disse, fissandola con una certa serietà.

“Non lo farò.”

“Allora andiamo sottocoperta e cerchiamo di essere persone normali per un po’.”

Prima di seguirla, Galilee tornò al centro del ponte dove giaceva il pesce e lo raccolse, accovacciandosi. Lei guardò il suo corpo illuminato dalla luce della lampada; i muscoli della sua schiena, delle sue natiche, delle sue cosce, lo scroto scuro e gonfio che gli pendeva tra le gambe. Era splendido, pensò; forse l’uomo più bello che avesse mai visto in vita sua.

Galilee si rialzò, assorto, e mormorò qualche parola al pesce morto prima di gettarlo in acqua.

“Perché lo hai fatto?” gli chiese Rachel.

“È un’offerta”, spiegò lui. “Per il dio-squalo.”

Sette

1

Mio fratello Galilee è sempre stato impaziente con gli altri; non mi sorprende il fatto che, come aveva spiegato a Rachel, si fosse “stancato di fìngere”. Ciò che mi sorprende davvero invece è che non avesse pensato che prima o poi si sarebbe ritrovato a giocare con Rachel a quello stesso gioco, stancandosi anche di lei.

Ma forse aveva pensato anche a questo. Forse fin dal principio, fin da quella prima sera, c’erano state delle contraddizioni. Da una parte, Galilee sembrava davvero infatuato di lei — tutti i suoi discorsi sentimentali sull’andarla a cercare, rinunciando al mare e alla sua solitudine -, dall’altra molto condiscendente. Samarcanda, aveva spiegato bruscamente, è molto lontana dall’Ohio, come se Rachel fosse stata troppo provinciale per conoscere qualcosa al di là della sua esperienza immediata. C’è da meravigliarsi che non lo avesse preso a calci là, sul molo.

Ma una parte di me è convinta che lei lo avesse capito — lui e tutte le sue contraddizioni — meglio di quanto non lo abbia mai capito io. Rachel era suscettibile al suo fascino come io non potrò mai essere, e forse proprio per questo era più incline a perdonargli i suoi difetti. Sto facendo del mio meglio per trasmettere anche a voi quel fascino. Penso di aver reso giustizia alla sua voce e al suo aspetto fisico. Ma è difficile entrare nei dettagli più intimi. Descrivere un atto sessuale che coinvolge mio fratello mi sembra una forma di incesto letterario, anche se sono certo che la mia reticenza sia una sorta di ingiustizia nei suoi confronti. Per esempio, ho omesso di dirvi quanto fosse magnifico tra le gambe. E in effetti lo era davvero.

Ma ora è meglio continuare, prima che io arrossisca troppo.

2

Come vi ho promesso, ci sono altre tragedie che riguardano la famiglia Geary di cui devo parlarvi. Ma, prima di cominciare, devo riferirvi di un piccolo dramma che ha avuto luogo qui, nella casa dei Barbarossa.

È accaduto la notte scorsa, proprio mentre stavo descrivendo l’incontro tra Rachel e Galilee sulla Samarcanda. All’improvviso, ho udito un terrible frastuono che proveniva dall’altra parte della casa (e parlo di un’autentica cacofonia: grida e schianti tali da far tremare i volumi della mia libreria). Non sono riuscito ad andare avanti con il lavoro naturalmente. Ero troppo curioso. Mi sono avventurato in corridoio e ho cercato di capire cosa stesse accadendo. Non è stato difficile. Marietta era in parte responsabile di quel fracasso: quando si arrabbia, la sua voce diventa così stridula da far venire il mal di testa, e in quel momento stava strillando con tutto il fiato che aveva in corpo. Ad accompagnare le sue lamentele — delle quali non riuscivo proprio a capire il senso — c’era un rumore di porte che sbattevano, mentre mia sorella si aggirava come una furia da una stanza all’altra. Ma non era tutto. C’era anche qualcosa di molto più inquietante: un clamore simile a quello che si potrebbe sentire in una giungla una volta calata la notte; una mescolanza folle di ululati e schiamazzi.

Si trattava di mia madre, naturalmente. Pardon, della moglie di mio padre. (È strano, e probabilmente ha anche un qualche significato recondito, che io pensi a lei come a mia madre quando la immagino tranquilla e pacifica. Mentre la guerriera Cesaria Yaos è la moglie di mio padre.) In ogni caso, era lei, non c’erano dubbi. Chi altri possedeva una voce capace di esprimere la rabbia di un babbuino, di un leopardo e di un ippopotamo in un unico suono fragoroso?

Ma perché era così infuriata? Non ero completamente sicuro di volerlo scoprire. Ho pensato che forse avrei fatto meglio a battere in ritirata. Ma prima che potessi farlo, mi sono accorto che Marietta stava correndo lungo il corridoio con le braccia piene di vestiti, a quanto pareva. Ricorderete che l’ultima volta che io e mia sorella avevamo parlato, avevamo litigato furiosamente a causa di certi commenti sgradevoli che lei aveva fatto circa il mio lavoro. Ma penso che, se anche fossimo stati in ottimi rapporti, non si sarebbe comunque fermata in quel momento. Il frastuono di Cesaria peggiorava di secondo in secondo.

Marietta ha girato l’angolo ed è scomparsa. E io ho fatto ciò che avrei voluto fare qualche istante prima: mi sono voltato e ho fatto per rientrare in camera. Troppo tardi. Ho avuto a malapena il tempo di fare un passo, quando i rumori, fino all’ultimo ululato, si sono interrotti ed è rimasta solamente la voce di Cesaria; la sua voce umana, che è — sono sicuro di avervelo già detto — dolce e melliflua. “Maddox”, ha detto. Cazzo, ho pensato io.

“Dove stai andando?”

(Non è strano che non siamo mai abbastanza vecchi per sentirci come bambini disobbedienti? Ero là, vecchio per qualsiasi standard umano, immobile e colpevole come un bambino sorpreso con le dita nella marmellata.)

“Stavo tornando al lavoro”, ho risposto. Poi ho aggiunto: “Mamma”, per ingraziarmela.

Forse in qualche modo ha funzionato. “Il tuo libro procede bene?” mi ha chiesto in tono discorsivo. Mi sono sentito abbastanza rassicurato da trovare il coraggio di voltarmi a guardarla, ma lei non era visibile. C’erano solo ombre frementi in fondo al corridoio che fino a pochi istanti prima era stato ben illuminato. Mi sono sentito sollevato. Non ho mai avuto modo di vederla nella forma che assume quando la sua furia leggendaria si scatena, e sono grato per questo.

“Sì, va tutto bene”, ho risposto. “Ci sono giorni in cui…”