Cesaria mi ha interrotto, chiedendo: “Marietta è uscita?”
“Io… sì… sì, credo di sì…”
“Valla a prendere.”
“Come?”
“Non sei sordo, Maddox. Va’ a prendere tua sorella e riportala qui.”
“Cos’è successo?”
“Va’ e basta.”
“Non puoi andarci tu?” ho detto, senza pensarci.
Sapevo che avrei rimpianto di aver pronunciato quelle parole, ma era troppo tardi: l’ombra di Cesaria si stava muovendo. Si stava muovendo — lentamente, inesorabilmente — verso di me. Anche se il soffitto del corridoio non è particolarmente alto, c’era qualcosa di immenso nella manifestazione di Cesaria; sembrava una nube temporalesca in quel momento e io, al suo cospetto, non ero che un granello di polvere…
Ha cominciato a parlare mentre si avvicinava, ma ogni sua parola riecheggiava della sua terribile cacofonia; come se, con grande fatica, stesse tenendo a bada l’anarchia.
“Tu”, ha sibilato, “mi ricordi”, sapevo cosa avrebbe aggiunto, “tuo padre.”
Non credo di aver risposto. Ero troppo intimidito. E comunque se anche avessi cercato di parlare, dubito che la mia lingua mi avrebbe obbedito. Sono rimasto là, mentre lei ribolliva davanti a me, e quel frastuono animale eruttava da lei con rinnovata ferocia.
Questa volta, comunque, una visione ha accompagnato la cacofonia, non scoperta dalla nuvola, ma piuttosto scolpita in essa. È stata pietosamente breve, anche se sono certo che se Cesaria non avesse avuto bisogno di me, mi avrebbe mostrato molto di più; abbastanza da farmi perdere il controllo della vescica; forse sarebbero bastati altri tre o quattro secondi. Che cos’ho visto? È inutile che vi dica che non ci sono parole per descriverlo. Certo che ci sono; ci sono sempre le parole. La domanda è: sono in grado di evocare la potenza di ciò a cui ho assistito? Ne dubito. Ma farò del mio meglio.
Ho visto, credo, una donna eruttare da ogni poro e da ogni orifizio forme non finite. Partorendo, potrei dire, non una e nemmeno dieci ma mille creature, diecimila. E qui sorge un problema. È impossibile descrivere il fatto che Cesaria stava diventando — come posso dire? - più densa; come certe stelle di cui ho letto, che assorbono luce e materia quando collassano. Lei stava facendo lo stesso. Come ha reagito la mia mente nel vederla fare contemporaneamente due cose che erano l’una l’opposto dell’altra? Non bene. Quella visione mi ha investito con tale violenza che sono caduto a terra come se lei mi avesse colpito. Mi sono coperto la testa con le mani come per impedirle di proiettare quello spettacolo attraverso il mio cranio.
Lei ha deciso di risparmiarmi. Mi ha lasciato sul pavimento, con i pantaloni bagnati, scosso dai singhiozzi. Ho impiegato qualche minuto a ricompormi ma quando alla fine ho alzato lo sguardo, mi sono accorto che la nube era scomparsa e che Cesaria attendeva a qualche passo da me con il suo solito aspetto.
“Mi dispiace…” è stata la prima cosa che ho detto.
“No”, ha replicato lei, la sua voce all’improvviso priva sia di musica sia di forza. “È stata colpa mia. Non sei un bambino a cui dare ordini. Il fatto è che in quel momento mi è sembrato di vedere tuo padre in te.”
“Posso… farti… una domanda?”
“Chiedimi quello che vuoi”, ha sospirato lei. “Il volto che ho appena visto…”
“Cosa?”
“Nicodemus lo ha mai visto?”
Nonostante l’evidente stanchezza, Cesaria mi è sembrata divertita da quella domanda. C’era un’ombra di sorriso nella sua voce quando ha risposto: “Mi stai chiedendo se spaventava anche lui?” Io ho annuito. “Sappi che quel volto, come lo chiami tu, è la ragione principale per cui mi amava.”
“Sul serio?” Dovevo avere un’espressione veramente sbalordita perché lei ha risposto, quasi sulla difensiva:
“Tuo padre aveva aspetti altrettanto terrificanti”.
“Sì, lo so.”
“Certo. Hai visto parte di ciò che poteva fare.”
“Ma lui non era solo questo”, ho detto io.
“Proprio come io non sono solo ciò che hai visto qualche istante fa.”
“Ma è la parte più vera, giusto?” ho chiesto. In altre circostanze, senza dubbio non sarei stato così insistente ma sapevo che forse non avrei avuto un’altra occasione di porle certe domande così liberamente. Se era destino che sapessi chi era davvero Cesaria Yaos prima che la casa dei Barbarossa cadesse in rovina, doveva accadere ora.
“La parte più vera?” ha ripetuto lei. “No. Non penso di avere un volto più autentico degli altri. Una volta venivo adorata in decine di templi, lo sai?”
“Lo so.”
“E adesso sono solo cumuli di macerie. Nessuno ricorda più quanto ero amata…” È rimasta in silenzio per un attimo. Aveva perso il filo del discorso. “Cosa stavo dicendo?”
“Che nessuno ricorda più…”
“No, prima.”
“Tutti i templi.”
“Oh, sì. Talmente tanti templi, con statue e decorazioni che mi rappresentavano. Ma non ce n’era una uguale all’altra.”
“Come lo sai?”
“Perché ho visto quei templi”, ha risposto lei. “Quando tuo padre e io litigavamo, ci separavamo per qualche tempo e ciascuno andava per la sua strada. Lui si cercava qualche povera donna da sedurre, e io andavo a visitare i miei luoghi sacri. Mi dava conforto quando mi sentivo abbattuta.”
“Difficile da immaginare.”
“Cosa? Intendi me, abbattuta? Oh, posso abbandonarmi all’autocommiserazione come chiunque altro.”
“No, intendevo dire che non riesco a immaginare come ci si riesca a sentire nell’entrare in un tempio in cui si viene adorati.”
“Oh, può essere meraviglioso, aggirarsi tra i propri devoti.”
“Sei mai stata tentata di rivelarti a loro?”
“L’ho fatto molte, molte volte. Di solito sceglievo un testimone non molto attendibile. Un vecchio. Un bambino. Qualcuno che avesse qualche problema di sanità mentale, oppure un santo, spesso non c’è differenza.”
“Perché? Perché non ti rivelavi a un letterato, a qualcuno capace di capire? A qualcuno che potesse diffondere la tua parola?”
“Qualcuno come te?”
“Sì, in un certo senso.”
“È questo che vuole essere il tuo libro? Un ultimo, disperato tentativo di rimettere tuo padre e me sui nostri piedistalli?” Che cosa voleva sentirsi dire?, mi sono chiesto. Se le avessi dato la risposta sbagliata, sarei stato di nuovo vittima della sua furia? “È questo che stai facendo, Maddox?”
Ho deciso di dire la verità. “No”, ho risposto, “sto semplicemente raccontando la storia come meglio posso.”
“E questa conversazione? Ci sarà nel tuo libro?”
“La inserirò se mi sembrerà pertinente.”
C’è stato un attimo di silenzio. Alla fine, Cesaria ha sospirato: “Be’, credo che non abbia molta importanza, se lo farai o meno. Storie; templi. A chi importa oggigiorno? I tuoi lettori saranno ancora meno numerosi dei miei adoratori, Maddox”.
“Non devo essere letto per essere uno scrittore”, le ho fatto notare.
“E io non devo essere adorata per essere una dea. Ma aiuta. Credimi, aiuta.” Sulle sue labbra è apparso lo spettro di un sorriso, e io — con mia grande sorpresa — ho sorriso a mia volta. In quel momento ci capivamo meglio di quanto ci fossimo mai capiti. “Allora torniamo a Marietta.”
“Un’ultima domanda”, l’ho implorata.
“No, basta.”
“Ti prego, mamma. Solo una. Per il libro.”
“D’accordo. Ma solo una.”
“Anche mio padre aveva dei templi dedicati a lui?”
“Certamente.”
“Dove?”
“Questa è un’altra domanda, Maddox. Ma, dato che sei così curioso… A mio avviso il più bello di tutti era a Parigi.”