Quando Galilee fu completamente dentro di lei, Rachel emise un piccolo singhiozzo di piacere e lo implorò di restare fermo. Lui non si mosse. Rimase così, avvolto e stretto dalla carne di lei a tal punto che Rachel poteva sentire il sangue che scorreva nel suo membro. Alla fine, lei cominciò a muoversi; un movimento quasi impercettibile ma abbastanza da far scorrere un brivido lungo la schiena di Galilee.
“Ti piace?” sussurrò Rachel.
Lui rispose con un ansito, poi si spinse dentro di lei per un istante e subito scivolò fuori dalla sua carne. Lei lo lasciò fare: quella sensazione improvvisa di vuoto era deliziosa, anche perché sapeva che era solo temporanea.
Rachel gli mise le braccia attorno al collo, intrecciandogli le dita alla base del cranio. Si inarcò per accoglierlo dentro di sé, con estrema lentezza. Poi, mentre insieme prendevano a muoversi, l’immagine di Galilee che aveva occupato la mente di Rachel fino a quel momento si dissolse in un’ondata di piacere. L’oscurità luccicante delle membra di lui si allargò dietro le sue palpebre, invadendo completamente i suoi pensieri. Adesso Galilee si stava muovendo più in fretta. Lei lo incitò, emettendo gemiti incoerenti. Ma lui capì comunque. Rachel non aveva bisogno di dirgli nulla, lui sembrava mettere in atto i suoi pensieri non appena le si formavano nella mente. E ogni volta che Galilee era sul punto di perdere il controllo del suo corpo e venire, lei lo distraeva, rallentando il ritmo in modo da prolungare il piacere.
Andarono avanti così per due ore, quasi tre: talvolta bruschi, quasi violenti; talvolta così tranquilli, così immobili che avrebbero potuto sembrare addormentati l’uno nelle braccia dell’altra. Non si fecero dichiarazioni d’amore; almeno non a parole. Non dissero niente, non si chiamarono nemmeno per nome. Ma quello non era sintomo di una mancanza di sentimenti; il contrario, piuttosto. Erano talmente uniti in quella meraviglia, talmente persi l’uno nell’altra che per un breve, sacro istante poterono immaginare di essere indivisibili.
2
Non era così, naturalmente.
L’illusione scomparve non appena i loro corpi si lasciarono andare allo sfinimento. Rimasero sdraiati vicini, sudati, tremanti e infinitamente soddisfatti. Ma alla fine ciascuno tornò nella propria pelle.
“Ho fame”, disse Rachel.
Non erano rimasti completamente a digiuno da quando erano saliti sulla Samarcanda. Anche se Galilee aveva restituito il pesce al mare come offerta a Kuhaimuana, nel cuore della notte aveva aperto dei barattoli di ostriche e di pesche sotto spirito, che avevano mangiato l’uno dalla pelle dell’altra in modo che la soddisfazione di un appetito non interrompesse la soddisfazione dell’altro.
Eppure adesso, a metà mattina, lo stomaco di Rachel si stava lamentando.
“Potremmo essere a terra in meno di un’ora”, disse Galilee. “Non voglio tornare a terra”, ribatté lei. “Non voglio tornarci mai più. Voglio restare qui con te…”
“Verrebbero a cercarti. Sei ancora una Geary.”
“Potremmo trovare un posto dove nasconderei”, ipotizzò Rachel. “Tanta gente sparisce e non viene mai più trovata.”
“Ho una casa…”
“Davvero?”
“In un piccolo villaggio del Cile chiamato Puerto Bueno. È in cima alla collina. Da lì si gode un bellissimo panorama. Ci sono i pappagalli sugli alberi.”
“Andiamoci”, disse lei. Galilee scoppiò a ridere. “Parlo sul serio”, insistette. “Lo so.”
“Potremmo avere dei figli…”
D’improvviso il divertimento abbandonò il volto dell’uomo. “Non credo che sarebbe una buona idea”, disse lui. “Perché no?”
“Perché non sarei un buon padre.”
“Come fai a saperlo?” chiese Rachel, accarezzandogli una mano. “Potrebbe piacerti.”
“La nostra famiglia è stata rovinata da cattivi padri”, osservò Galilee. “O meglio, da uno.”
“Un solo padre su quanti?”
“Uno e basta”, rispose lui.
Rachel pensò che Galilee avesse frainteso. “No, voglio dire, e i tuoi nonni?”
“Non ci sono.”
“Intendi dire che sono morti.”
“No, intendo dire che non ci sono. Non ci sono mai stati.” Lei scoppiò a ridere. “Non essere sciocco. Tua madre e tuo padre dovevano avere dei genitori. Forse sono morti prima che tu nascessi ma…”
“Non avevano genitori”, disse Galilee distogliendo lo sguardo. “Credimi.”
Rachel trovò vagamente inquietante il modo in cui disse credimi. Non era un invito, era un ordine. Lui non rimase ad attendere una sua reazione; si alzò e cominciò a vestirsi. “È meglio che torniamo. Ti staranno cercando.”
“Facciano pure”, sussurrò lei, circondandolo con le braccia e stringendosi contro di lui. “Restiamo ancora un po’. Voglio parlare con te; voglio conoscerti meglio.”
“Ci saranno altre occasioni”, le promise lui, allontanandosi per prendere una camicia.
“Dici davvero?” domandò lei.
“Certo”, rispose lui senza voltarsi.
“Ho detto qualcosa che ti ha offeso?”
“Non hai detto niente”, replicò Galilee. “Penso solo che dovremmo tornare, tutto qui.”
“Ieri notte.”
Lui smise di abbottonarsi la camicia. “È stato meraviglioso.”
“E allora piantala di comportarti così”, disse Rachel, la voce sempre più irritata. “Mi dispiace di averti offeso… Stavo solo scherzando.”
Lui sospirò. “No, parlavi sul serio. Ti piacerebbe avere dei figli…”
“Sì”, disse lei, “mi piacerebbe. E vorrei averli con te.”
“Ci conosciamo a malapena”, ribatté lui, e salì sul ponte.
Lei lo seguì, furiosa ormai. “E quello che mi hai detto sulla spiaggia? Sul fatto che avresti dovuto venire a cercarmi? Era soltanto un modo per portarmi a letto?” Lui si sedette sulla stretta panca accanto al timone e si prese il volto tra le mani. “È stato solo questo? E adesso che l’hai ottenuto, sei pronto ad andartene?”
Lui continuò a tenere il viso nascosto. Parlò con voce sepolcrale: “Non parlavo sul serio. Mi sono solo lasciato trasportare e sono stato ingiusto con te. Pensavo avessi capito…”
“Capito cosa?”
“Che questa è soltanto un’altra storia”, rispose lui.
“Guardami!” esclamò Rachel. Lui non si mosse. “Ripeti quello che hai detto guardandomi in faccia!”
Con grande riluttanza, Galilee sollevò lo sguardo su di lei. Aveva il volto cinereo; proprio come l’espressione dei suoi occhi. “Non parlavo sul serio”, disse con fermezza. “Pensavo avessi capito che questa è soltanto un’altra storia.”