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“È una bella sensazione”, mormorò.

“Davvero?”

“Davvero…”

Lui l’attirò verso di sé, e dopo averle asciugato il ventre, le sue mani cominciarono a scendere verso l’inguine.

“Quando tornerai a New York?” le chiese.

Rachel fece fatica a formulare una risposta. “Non vedo perché… dovrei tornarci.”

“Pensavo che Margie fosse tua amica.”

“Lo era. Ma non le sarei di alcuna utilità adesso. È meglio che resti qui, con te. So cosa mi direbbe Margie. Direbbe, hai qualcosa che ti dà piacere, non fartelo scappare.”

“E io ti ho dato piacere?”

“Lo sai benissimo”, mormorò lei facendo le fusa.

“Bene”, disse Galilee con una sorta di allegria forzata, come se trovasse quell’idea allo stesso tempo piacevole e inquietante.

Ora le sue mani erano tra le cosce di Rachel. Lei afferrò l’asciugamano e lo gettò via. “Andiamo in camera da letto.”

“No”, disse lui. “Qui.” E mentre le sue dita entravano dentro di lei, lui la spinse contro la parete e le coprì la bocca con un bacio. Galilee aveva un sapore strano, quasi acido; e la stava toccando in modo tutt’altro che tenero. Quasi violento. Rachel avrebbe voluto fermarsi ma aveva paura di allontanarlo.

Lui si stava slacciando i pantaloni, premendosi contro di lei con tanta forza da toglierle il respiro.

“Aspetta… Ti prego. Non così in fretta.”

Lui sembrò non averla nemmeno sentita. Anzi, i suoi movimenti si fecero ancora più frenetici. Le allargò le gambe bruscamente. Lei sentì la sua erezione cercarla, come un animale cieco. Tentò di rilassarsi; di fidarsi di lui. La notte precedente era stato più che straordinario; aveva soddisfatto i desideri del suo corpo più di qualunque altro uomo avesse mai conosciuto.

Quindi, perché voleva respingerlo? Perché provava dolore nel sentirlo dentro di sé; quella che non più tardi di qualche ora prima le era sembrata una meravigliosa sensazione di completezza, adesso la faceva quasi gridare. Non provava alcun piacere; niente.

A quel punto Rachel non riuscì più ad andare contro il suo istinto. Serrò la bocca ai baci di lui e gli premette le mani sul petto per spingerlo via.

“Non mi piace così”, protestò.

Galilee la ignorò. Era affondato completamente dentro di lei, i suoi movimenti sempre più brutali.

“No”, lo pregò lei. “No! Smettila!

Lei si divincolò con tutte le forze, ma il corpo di Galilee era troppo potente, la sua erezione implacabile.

“Galilee”, gridò Rachel, cercando il suo sguardo. “Mi stai facendo male. Ascoltami! Mi stai facendo male!

Furono le sue grida a fermarlo? O si era semplicemente stancato della sua stessa crudeltà, come sembrava suggerire il linguaggio del suo corpo? Uscì da lei e si allontanò come se stesse abbandonando un banchetto che non era più di suo gradimento, sul volto un’espressione di vago disgusto.

“Vattene”, gli ordinò Rachel.

Lui arretrò di un paio di passi, continuando a non guardarla, poi si voltò e sparì oltre la porta. In quel momento, Rachel lo odiò — odiò i suoi movimenti così tranquilli, il modo in cui si guardò l’erezione per un attimo, con un piccolo sorriso dipinto sulle labbra, prima di lasciare la stanza. Si affrettò a chiudere la porta e rimase ad ascoltare i suoi passi che riecheggiavano nella casa. Solo quando sentì il rumore della portafinestra che veniva aperta e poi richiusa con forza, andò a prendere gli abiti e si vestì. Poi uscì sulla veranda. Galilee era scomparso.

Niolopua era seduto sul prato e stava scrutando l’oceano. Lei lo chiamò.

“Avete litigato?” chiese lui.

Rachel annuì.

“Non mi ha nemmeno rivolto la parola. Si è diretto verso la spiaggia, sembrava infuriato.”

“Potresti restare ancora un po’? Non voglio che ritorni.”

“Se ti fa piacere, resterò, ma sono sicuro che lui non tornerà.”

“Ti ringrazio”, disse lei.

“Salperà tra poco”, aggiunse Niolopua. “Vedrai.”

“Non m’interessa quello che fa, basta che stia lontano da me”, disse Rachel.

Come Niolopua aveva previsto, Galilee non tornò. Il giorno sfumò nella sera e Rachel restò in casa, svuotata di ogni energia o desiderio, mangiò qualcosa e bevve un drink, ma senza trarne alcun piacere. Niolopua rimase sul prato per tutto il tempo e solo una volta salì sulla veranda per chiederle una birra. Il telefono squillò diverse volte, ma lei non rispose. Probabilmente era Mitch, o forse Loretta, che volevano convincerla a tornare a casa. In effetti, quando Galilee se n’era andato, Rachel aveva cominciato a pensare che tornare a New York non fosse poi una cattiva idea. Certamente restare in quella casa non le avrebbe fatto bene; non avrebbe fatto altro che rimuginare su ciò che era successo. Meglio tornare dalla famiglia, dove riusciva a capire meglio i suoi sentimenti. Dopo il caos emotivo degli ultimi giorni, ritrovarsi nuovamente tra i Geary sarebbe stato di una semplicità confortante. Erano odiosi, non c’erano dubbi in proposito, ma da loro non doveva aspettarsi confusione, ambiguità, baci un istante prima e violenza un istante dopo. Forse avrebbe cominciato a bere, come Margie, e avrebbe inveito contro il mondo da dietro il suo velo funebre. Non era certo una prospettiva allettante, ma in fondo cosa le restava? Quell’isola era stata la sua ultima speranza: un luogo dove guarire, dove assistere ai miracoli. Ma neanche questo era bastato. Non le restava più niente.

Mentre le ultime luci del giorno abbandonavano il cielo, Rachel sentì Niolopua che la chiamava, e uscì sulla veranda. Lui era in fondo al prato e le stava indicando il mare.

Era la Samarcanda. Anche se le sue vele erano poco più che puntini bianchi contro il blu scuro del cielo, Rachel era certa che quella fosse la barca di Galilee. Per un istante doloroso, si immaginò insieme a lui sul ponte a osservare l’isola che si allontanava. Le stelle che brillavano sopra di loro; il letto sottocoperta ad aspettarli. Indugiò solo per un attimo in quelle fantasie, poi si disse di smetterla.

Tuttavia riuscì a distogliere lo sguardo dall’oceano solo quando le vele della Samarcanda furono scomparse oltre l’orizzonte.

Era finita, pensò. L’uomo che per un attimo erroneamente aveva considerato il suo principe se n’era andato. Che perfetta uscita di scena: sospinto dalla marea, diretto chissà dove.

Eppure Rachel non pianse. Il suo principe se n’era andato ma lei non pianse. Sì, certo, c’era il rimpianto. Ci sarebbe sempre stato. Non avrebbe mai smesso di chiedersi cosa sarebbe successo se fosse stata capace di interpretare meglio la natura di Galilee; di chiedersi che tipo di vita avrebbero potuto vivere insieme nella casa sulla collina.

Ma c’era qualcos’altro oltre al rimpianto: c’era la rabbia. Era proprio quel sentimento a tenere a bada le lacrime: la furia che provava per il modo in cui la vita aveva aggiunto dolore al dolore. Era questo che le asciugava gli occhi non appena si inumidivano.

La filosofia di Margie non era forse stata la stessa? Trasformando il rancore in una forma d’arte, ripetendo ad alta voce che la vita non aveva alcun senso, Margie si era costretta ad andare avanti.

E le cose sarebbero state così anche per Rachel d’ora in poi. Avrebbe imparato a essere come Margie. Che Dio avesse pietà di lei.

PARTE SESTA

Acqua e inchiostro

Uno

1

E così Gallice se ne andò; non posso dirvi dove. Se questo fosse un altro genere di libro, potrei inventare i dettagli del suo viaggio, copiandoli da libri e carte nautiche. Ma così facendo, approfitterei della vostra ignoranza, ben sapendo che non potete conoscere certi particolari.