Ma preferisco ammetterlo: Galilee se ne andò e non so dirvi dove. Quando chiudo gli occhi e cerco di immaginarmelo, di solito lo vedo seduto sul ponte della Samarcanda, un’espressione tormentata sul volto.
Devo confessarvi che ho cercato di capire dove fosse diretto servendomi della logica. Ho preso alcune delle mappe che ho collezionato nel corso degli anni (le più antiche erano appartenute a Galilee stesso; molto tempo prima che cominciasse a vagabondare per il mondo amava già tracciare percorsi di viaggi immaginari) e le ho spiegate sul pavimento del mio studio, camminandovi sopra con un volume sull’arte della navigazione in una mano e un libro sulle maree e sulle correnti nell’altro, cercando di determinare la rotta della Samarcanda. Ma è stato tutto inutile. Quelle carte nautiche erano troppo antiche; erano state disegnate in un tempo in cui la conoscenza non era ancora stata così drasticamente (e così tragicamente) separata dai piaceri della fantasia. Coloro che le avevano tracciate non avevano visto niente di male nell’aggiungere qualche tocco decorativo qua e là: bestie immaginarie che si levavano dall’oceano per aggredire le imbarcazioni; voli di angeli con i capelli al vento e le gote rosee; persino un calamaro gigante con gli occhi simili a fornaci gemelle e tentacoli lunghi come sei velieri.
In mezzo a tali meraviglie, i miei patetici tentativi di scoprire la rotta di Galilee sono falliti miseramente. Ho lasciato perdere tutti i miei calcoli e mi sono seduto in mezzo alle mappe come un venditore in attesa di un acquirente.
2
Galilee era già stato innamorato altre volte ed era sopravvissuto per raccontarlo. In una sola occasione era stato innamorato di una Geary, e questo cambiava ogni cosa. Amare una donna che apparteneva alla famiglia nemica non era per niente saggio; c’era un gran numero di tragedie a dimostrarlo. E nella sua esperienza, l’amore finiva sempre nel dolore e nell’amarezza. All’inizio era dolce, ma mai abbastanza da giustificarne le conseguenze: le settimane di recriminazioni, i mesi di notti insonni, gli anni di solitudine. Ogni volta che una storia d’amore finiva, Galilee giurava a se stesso che non si sarebbe innamorato mai più. Sarebbe rimasto in mare, al sicuro dai suoi stessi appetiti.
E dopotutto che cosa voleva davvero dall’amore? Una compagna o un luogo in cui nascondersi? Forse entrambe le cose. Odiava quella parte di sé che voleva essere avvolta dalle braccia di un’amante, che voleva essere cullata e perdonata. Che sciocchezze! Ma anche mentre inveiva contro se stesso e fuggiva attraverso il mare, non poteva fare a meno di rabbrividire al pensiero di ciò che lo attendeva adesso che l’amore era finito. Non solo notti insonni e solitudine, ma l’orrore di essere esposto alla luce feroce che bruciava sopra di lui, che ardeva, accesa dalla sua stessa natura divina.
Mentre la Samarcanda seguiva le correnti dell’oceano, Galilee si chiese quante volte ancora sarebbe riuscito a fuggire prima che il dolore della separazione diventasse intollerabile. Forse non ci sarebbe riuscito mai più. Quello non sarebbe stato un voto poi così terribile: giurare a se stesso che dopo Rachel non ci sarebbero state altre seduzioni, altri cuori infranti. Sarebbe stato un segno di rispetto nei suoi confronti, anche se lei non lo avrebbe mai saputo: decidere che dopo di lei ci sarebbe stato solo il mare.
Naturalmente, dimenticarla sarebbe stato tutt’altro che facile. Rimase seduto sul ponte della Samarcanda quella notte, e mentre si allontanava sempre più dalla terraferma ripensò a ciò che c’era stato tra di loro. Non aveva mai permesso a una donna prima di allora di mettere piede sulla Samarcanda, tenendo fede a una sua antica superstizione. Ma per Rachel aveva dimenticato quelle paure. Quale imbarcazione non sarebbe stata benedetta dalla presenza di una creatura come lei?
Tuttavia, Galilee non rimpiangeva la sua decisione. Seduto sotto le stelle, gli sembrava quasi di poterla vedere. Eccola, le braccia aperte pronte ad accoglierlo, le labbra dischiuse in un sorriso. Eccola, pronta a dirgli che lo amava. Qualunque meraviglia avesse visto d’ora in avanti — e Galilee ne aveva viste già molte: il mare reso argenteo da banchi di calamari, tempeste color oro e vermiglio — niente avrebbe mai potuto conquistarlo come aveva fatto lei.
Se solo non fosse stata una Geary.
Due
E così Galilee se ne andò e — come vi ho già detto — non ho idea di dove. Ma so dove terminò il suo viaggio. Dopo tre settimane, gettò l’ancora nel piccolo porto di Puerto Bueno. Nel mese appena trascorso, il villaggio era stato colpito da una serie di violente tempeste, molte case erano state danneggiate e una era persino crollata, uccidendo la vedova che vi abitava. Ma la casa di Galilee in cima alla collina quasi non era stata toccata dalla furia degli elementi, e fu là che mio fratello tornò, percorrendo le ripide strade della cittadina senza rivolgere la parola a nessuno.
La pioggia era filtrata attraverso il tetto e l’interno puzzava di umidità. C’era muffa ovunque e gran parte dei mobili del piano superiore avevano cominciato a marcire. Ma a Galilee non importava. Non gli importava più di niente. I sogni appena abbozzati di portare lì la sua compagna, di vivere in quella casa come una coppia qualsiasi, adesso gli sembravano stupidi, ridicoli. Che perdita di tempo.
Il giorno dopo il suo arrivo, il tempo cominciò a migliorare ma questo non gli procurò alcun piacere. Aveva già visto tutto. Non c’era niente di nuovo da cercare; non restavano più sorprese sulla faccia della terra. Avrebbe anche potuto chiudere gli occhi per sempre e morire senza rimpianti, sapendo di aver visto il meglio delle cose.
Oh, e anche il peggio. Aveva visto il peggio molte, molte volte.
Si aggirò da una stanza all’altra, da un piano all’altro, e dovunque andasse era perseguitato da visioni di cose che avrebbe voluto dimenticare. Alcune, un tempo, gli erano sembrate dimostrazioni di coraggio. Da giovane, gli avvenimenti sanguinosi lo avevano eccitato; allora perché adesso sembravano non dargli pace?
Perché, quando si sdraiava sul letto ammuffito, ripensava a un bordello di Chicago dove aveva inseguito due uomini e li aveva fatti a pezzi? Perché dopo tutti quegli anni ricordava ancora che uno dei due, prima di morire, lo aveva ringraziato per averlo sollevato dal peso della vita?
Perché, quando andava in bagno a svuotarsi gli intestini, gli tornava alla mente un cane giallo che aveva defecato per il terrore vedendo il suo padrone con la gola tagliata sul pianerottolo, mentre lui era seduto in fondo alle scale e beveva tranquillamente lo champagne dell’uomo che aveva assassinato?
E perché, quando tentava di prendere sonno — non sul letto ma sul divano consunto del salotto — ricordava una sera piovosa di febbraio, un uomo condannato a morire solo perché aveva sfidato qualcuno di più potente di lui, e Galilee, che doveva commettere quell’omicidio solo perché era alle dipendenze di quello stesso potente? Oh, quello era un terribile ricordo. Sotto certi aspetti era il più inquietante perché aveva comportato un incontro così intimo. Ricordava tutto così chiaramente: l’auto che ondeggiava investita dalle raffiche di vento che soffiavano dall’oceano; il rumore della pioggia sul tetto della macchina; il calore stantio dell’abitacolo e quello ancora più stantio che aveva emanato l’uomo che gli era morto tra le braccia.
Povero George; povero, innocente George. Aveva alzato lo sguardo su Galilee con una tale confusione sul viso, mentre le sue labbra tentavano di formulare un’ultima domanda sensata. Era ormai oltre la capacità di mettere insieme una frase, ma Galilee gli aveva risposto comunque.