Quando Rachel arrivò a New York, Garrison aveva già confessato. Non si era trattato della confessione di un assassino gelido e calcolatore, ma piuttosto di una messinscena. Garrison aveva dichiarato che Margie era impazzita e aveva tentato di ucciderlo. Lui non aveva fatto altro che difendersi. Secondo la sua testimonianza, i fatti si sarebbero svolti in questo modo: era tornato a casa e aveva trovato Margie ubriaca e armata di una Colt calibro 38. Lei gli aveva detto di essere stanca di tutto, di non voler più vivere. Lui aveva cercato di farla ragionare ma era stato tutto inutile. Margie gli aveva sparato, mancandolo, e prima che potesse fare fuoco una seconda volta, Garrison aveva cercato di disarmarla. Nella lotta era partito un colpo che aveva ferito Margie. Lui aveva telefonato immediatamente alla polizia ma quando l’ambulanza era arrivata, era già troppo tardi. Il corpo di sua moglie — indebolito da anni di cattive abitudini — aveva ceduto.
Le prove a sostegno del racconto di Garrison erano numerose. La prima e più importante era questa: la pistola apparteneva a Margie. L’aveva acquistata sei anni prima dopo che una sua amica era stata aggredita in strada, era entrata in coma ed era morta. Margie non aveva mai nascosto la sua passione per quell’arma; era una “pistola graziosa” aveva detto, e si era dichiarata pronta a usarla se fosse stato necessario.
Secondo Garrison, era stato effettivamente così. Lei aveva deciso di ucciderlo e lui aveva fatto solo ciò che chiunque altro avrebbe fatto in simili ckcostanze. Non finse di essere addolorato. Ormai da anni il suo matrimonio era poco più che una formalità, aveva ammesso. Ma se avesse voluto far uscire Margie dalla sua vita, aveva fatto notare poi, si sarebbe servito di mezzi molto meno stupidi e pericolosi. Del divorzio, per esempio. Sarebbe stato assurdo assassinarla. Avrebbe solo rischiato di finire in galera.
Brani della sua testimonianza furono riportati sulle prime pagine del New York Times e del Wall Street Journal, insieme ad altre dichiarazioni che sembravano supportare la tesi di Garrison. I giornalisti non poterono fare a meno di riferire qualche aneddoto sgradevole circa i problemi di alcolismo di Margie, che comunque erano sempre stati di dominio pubblico. Non mancarono i pettegolezzi, che affollarono riviste e programmi televisivi. Vennero rievocati alcuni episodi poco piacevoli del passato di Garrison. Due sue vecchie fiamme accettarono di essere intervistate, così come un gran numero di ex impiegati. Il ritratto che fecero di lui fu tutt’altro che lusinghiero. Garrison veniva descritto come un uomo egocentrico, autoritario e dalla sessualità compulsiva. Ma immancabilmente, quando veniva posta la domanda più importante — secondo lei si è trattato di autodifesa o di omicidio? — tutti gli intervistati erano d’accordo nell’affermare che l’uomo che avevano conosciuto non avrebbe mai sparato a sua moglie a sangue freddo. Una delle sue ex aggiunse addirittura: “Garrison era molto sentimentale nei confronti di Margie, Mi raccontava spesso di quando si erano innamorati. Io gli dicevo che non volevo ascoltarlo ma penso che non potesse fare a meno di parlare di lei. Sì, un po’ ero gelosa, ma ripensandoci direi che era molto dolce”.
In quel periodo la famiglia stessa fu presa di mira dai media. L’omicidio Geary diede alla stampa di tutto il paese il pretesto ideale per rispolverare una lunga serie di vecchie storie sui Geary. “Ricchi come i Rockefeller e influenti come i Kennedy”, diceva un articolo del Newsweek, “I Geary sono un’istituzione americana fin dalla conclusione della guerra civile, quando in brevissimo tempo hanno raggiunto una posizione predominante nella storia del paese. In ogni epoca, i Geary non hanno mai avuto eguali. Guerrafondai e pacifisti, tradizionalisti e radicali, edonisti e puritani; alcuni sostengono che all’interno della famiglia Geary si possa trovare ogni possibile esempio di eccesso americano. Ma ora con le indagini della polizia sull’omicidio di Margaret Geary, una nuvola di dubbi ha offuscato la reputazione della famiglia; comunque qualsiasi sia la conclusione a cui arriveranno gli investigatori, una cosa è certa: la famiglia sopravviverà così come l’eterno interesse del pubblico americano per le sue vicende.”
2
Rachel non aveva detto a nessuno che stava tornando, ma era sicura che la notizia l’avrebbe preceduta grazie a Jimmy Hornbeck. Aveva ragione. L’appartamento di Central Park era decorato con fiori freschi e sul tavolo c’era un biglietto di Mitchell che le dava il benvenuto e la ringraziava per essere tornata. Era una missiva stranamente distaccata, ma Mitchell ormai non riusciva più a sorprenderla. Rachel era piuttosto ottimista riguardo ciò che l’aspettava. Era determinata ad affrontare la vita con lo stesso distacco divertito che era stato tipico di Margie.
Quella sera telefonò a Mitchell per informarlo del suo arrivo. Lui la invitò a cena al palazzo. Loretta voleva vederla, disse; e anche lui. Lei accettò. Bene, disse lui, avrebbe mandato Ralphie a prenderla.
“La casa è assediata dai giornalisti”, l’avvertì poi.
“Sì, stavano aspettando anche me quando sono arrivata.”
“Cosa gli hai detto?”
“Assolutamente niente.”
“Chi diavolo gli sta raccontando tutte queste cose su di noi, è questo che vorrei sapere. Quando sarà finita, scoverò i responsabili.”
“E cosa farai?”
“Li licenzierò! Sono stanco di essere sempre sotto i riflettori e di sentirmi fare sempre le stesse stupide, fottute domande.” Rachel non lo aveva mai sentito così esasperato; Mitch aveva sempre dato l’impressione di considerare l’interesse del pubblico un male inevitabile. “Sai che un figlio di puttana è riuscito a fotografare Garrison in prigione? E quel fottuto giornale ha anche pubblicato la foto! Una foto di mio fratello dietro le sbarre. È da non crederci!”
Quello sfogo sconvolse Rachel; non tanto per la fotografia scattata di nascosto, ma perché, fino a quel momento, non lo aveva mai immaginato rinchiuso in una cella. Aveva dato per scontato che Cecil o un altro componente della falange di avvocati che i Geary avevano assunto per difendere Garrison fosse riuscito a farlo rilasciare su cauzione.
“E quando uscirà?” domandò Rachel.
“Stiamo facendo il possibile”, rispose Mitch. “Voglio dire, è innocente. Su questo non ci sono dubbi. E stato un incidente orribile e nessuno di noi vorrebbe che fosse accaduto, ma è ridicolo continuare a tenerlo rinchiuso come un delinquente qualsiasi.”
Un delinquente qualsiasi: era quello il punto. Qualunque cosa Garrison avesse fatto, sembrava sostenere Mitchell, suo fratello apparteneva comunque alla famiglia reale americana e meritava di essere trattato con il dovuto rispetto. Quell’impressione fu confermata quando Rachel si recò al palazzo: l’atmosfera era quella di un assedio; le tende chiuse per proteggersi dagli occhi dei curiosi, mentre i nobili Geary discutevano su come affrontare la crisi. Loretta sembrava imperiosa come al solito anche se la sua voce tradiva una certa stanca malinconia, quasi che fosse stata una martire pronta ad affrontare stoicamente il supplizio. Diede il benvenuto a Rachel con un bacio asciutto.
Presero posto attorno al tavolo in sala da pranzo, Loretta a capotavola e di fronte a lei, Cecil. Oltre a Deborah, Rachel e Mitch, c’erano altri tre membri del clan. C’erano Norah, abbronzata e brusca; Richard, il fratello di George, appena arrivato da Miami dove aveva difeso con successo un uomo che aveva fatto a pezzi una prostituta con un coltello elettrico; e Karen, giunta in volo dall’Europa. Era proprio quest’ultima l’unica componente della famiglia che Rachel non aveva mai incontrato; era all’estero quando lei e Mitchell si erano sposati. Era una donna gentile e poco appariscente. Rachel ebbe l’impressione che non fosse tornata per amore di Garrison o della famiglia ma perché era stato emanato un editto che esigeva la sua presenza. Non contribuì attivamente al dibattito, anzi, quasi non disse una parola per tutta la cena, e tenne gli occhi quasi sempre fissi sul piatto.