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Però c’era un’altra ragione per il viaggio al Mare Interno. Era l’avvenimento dell’anno, una specie di rituale. Era il loro rito della primavera.

I dodici uomini più forti che andavano a piedi fino alle lontane rive di roccia del tiepido mare che allagava il centro del Nord America, compivano una specie di funzione religiosa, anche se non facevano niente di mistico, una volta raggiunto il Mare Interno, tranne pescare qualche trilobite e mangiarlo. Il viaggio significava, poi, per Barrett, qualcosa di più di quanto lui stesso non avesse sospettato. Se ne rendeva conto adesso che era nell’impossibilità di parteciparvi. Quelle spedizioni le aveva sempre comandate lui da oltre vent’anni.

Ma l’anno precedente si era voluto avventurare su delle rocce rese friabili dall’erosione delle onde. Si era avventurato su un terreno pericoloso, senza una ragione plausibile, e i muscoli l’avevano tradito. Spesso si svegliava di notte, coperto di sudore, per sfuggire all’incubo che gli facevano rivivere quei momenti spaventosi. Era scivolato, si era afferrato alle rocce, e una cascata di pietre, liberatasi chissà da dove, si era abbattuta su di lui schiacciandogli il piede. Non poteva dimenticare il rumore delle ossa che si spezzavano. Né avrebbe mai dimenticato la lunga marcia verso casa, attraverso centinaia di chilometri di roccia nuda, sostenuto dai compagni.

Aveva pensato di perdere il piede, ma Quesada gli aveva risparmiato l’amputazione. Solo che non poteva più appoggiare il piede per terra. Sarebbe stato molto più semplice tagliare l’appendice inutile. Quesada si era rifiutato. “Chissà” aveva detto, “un giorno forse ci manderanno del materiale per i trapianti. Non potrei ricostruire una gamba che è stata amputata.” Così Barrett si era tenuto il piede schiacciato, e adesso doveva affidare a qualcun altro il comando della spedizione.

A chi?

Quesada era il più adatto. Molto simile a Barrett, era anche il più forte, e in quel viaggio era molto importante essere il più forte. Ma Quesada non poteva allontanarsi dalla stazione. Sarebbe stato opportuno avere un medico durante il viaggio, ma era indispensabile averne uno alla stazione. Dopo qualche attimo di riflessione Barrett decise di affidare il comando a Charley Norton. Poi pensò a Ken Belardi, uno con cui Norton poteva parlare. L’anno precedente, Rudiger era stato un campione di energia, dopo che Barrett si era ferito. Ma Barrett non ci teneva che Rudiger lasciasse la stazione. Doveva scegliere degli uomini validi per il viaggio, ma non poteva ridurre la base a un gruppo di invalidi, malati e psicopatici. Rudiger sarebbe rimasto. Due dei suoi compagni di pesca entrarono nella lista. Ci mise anche Sid Hutchett e Arny Jean-Claude.

Poi pensò di mettere nel gruppo anche Don Latimer. Latimer era arrivato al limite della pazzia, ma ragionava ancora perfettamente, tranne quando si perdeva nelle sue meditazioni, e avrebbe potuto dare tutto il suo aiuto ai compagni di viaggio. D’altra parte, Latimer era anche il compagno di Lew Hahn, e Barrett voleva che Latimer restasse a sorvegliare Hahn da vicino. Pensò per un momento di mandarli tutti e due, alla spedizione, poi scartò l’idea. Hahn era ancora uno sconosciuto per loro. Sarebbe stato troppo rischioso mandarlo con il gruppo al Mare Interno. Forse, l’anno seguente.

Alla fine, scelti i dodici uomini che avrebbero fatto parte della spedizione, Barrett scrisse i nomi sulla lavagna all’ingresso della mensa, poi andò in cerca di Charley Norton per dirgli che l’aveva scelto per comandare il gruppo in vece sua.

Era strano pensare che sarebbe rimasto lì mentre gli altri partivano. Era una specie di abdicazione dopo aver comandato per tanti anni. Un vecchio storpio, ecco cos’era, gli piacesse o no ammetterlo. Ed era meglio che se ne convincesse alla svelta.

Nel pomeriggio, gli uomini della spedizione al Mare Interno si riunirono per decidere cosa portare e stabilire il percorso. Barrett non prese parte all’incontro. Adesso, quelle decisioni spettavano a Charley Norton, il quale aveva già preso parte a otto o dieci viaggi, e sapeva quindi cosa fare.

Ma un certo impulso masochista lo spinse a non restare inattivo. Se quell’anno non poteva vedere le acque occidentali, sarebbe andato a esplorare l’Atlantico dietro la sua baracca. Si fermò all’infermeria e, visto che Quesada non c’era, si prese una fiala di antinevralgico. Si allontanò rapidamente lungo il sentiero che portava verso est e quando fu a qualche centinaio di metri dall’edificio principale, calò i calzoni e si fece rapidamente due iniezioni di droga nelle cosce, prima a quella sana e poi all’altra. Il liquido gli avrebbe intorpidito i muscoli quel tanto da permettergli il lungo cammino senza sentire il fuoco della fatica alle giunture. L’avrebbe pagata, lo sapeva, dopo otto ore, quando fosse finito l’effetto della droga, e tutta la fatica si sarebbe rivelata di colpo con mille lame infuocate. Ma era un prezzo che lui era disposto a pagare.

La strada fino al mare era lunga e scomoda. La stazione sorgeva sullo strapiombo orientale della catena di montagne, circa duecentocinquanta metri sopra il livello del mare. Nei primi sei anni, gli uomini della stazione avevano raggiunto l’oceano lungo una strada da suicidio, fatta di rocce levigate. Poi Barrett aveva proposto di scavare un sentiero nella roccia, e in dieci anni di lavoro l’avevano portato a termine. Ora si poteva scendere fino al mare lungo una scala di ampi gradini. Quel lavoro aveva tenuto gli uomini parecchio impegnati, e in tutto quel periodo nessuno era impazzito. Barrett rimpiangeva di non poter escogitare un nuovo lavoro per tenere occupati tutti quanti.

I gradini formavano una successione di piccole piattaforme che scendevano fino al livello del mare. Era un cammino faticoso anche per un uomo in piena forma. Per Barrett, nelle sue condizioni, rappresentava una sfida. Gli ci vollero due ore per scendere la scala che normalmente veniva percorsa in mezz’ora. Quando raggiunse il fondo scivolò esausto su una piccola roccia lambita dalle onde e lasciò cadere la stampella. Le dita della mano sinistra erano indolenzite dallo sforzo di stringere la stampella, e tutto il corpo era madido di sudore.

L’acqua sembrava grigia e un poco oleosa. Barrett non riusciva a spiegarsi la mancanza di colori in quel mondo del tardo Cambriano. E lui desiderava ardentemente di rivedere il verde della vegetazione. Sentiva la mancanza di clorofilla. Le piccole onde scure battevano contro le rocce, e spingevano avanti e indietro una massa galleggiante di alghe nere. Il mare si perdeva all’orizzonte, e Barrett non aveva la minima idea di quali parti dell’Europa, se l’Europa esisteva, spuntassero in quel periodo sopra le acque del mare.

All’inizio dei tempi la maggior parte del pianeta era sommersa dalle acque. Lì, dopo soltanto poche centinaia di milioni di anni, erano spuntate le prime rocce. Era probabile che in altre parti del pianeta, qua e là, fossero comparse delle strisce di terra. Erano già nati l’Himalaya, le Montagne Rocciose, le Ande? Conosceva in modo approssimativo i contorni del Nord America del tardo periodo Cambriano. Ma tutto il resto, era un mistero. Non era facile colmare le lacune quando l’unico legame con Lassù era un mezzo che funzionava in un senso solo. La stazione disponeva di pochi libri che venivano inviati saltuariamente, e faceva rabbia mancare di quelle informazioni che si potevano trovare su un qualsiasi testo scolastico di geologia.

Mentre guardava, un grosso trilobite uscì lentamente dalle acque. Era del tipo con la coda ad aculeo. Misurava circa un metro, con una conchiglia rossa a forma di melanzana e una fila di pungiglioni rigidi lungo l’orlo. Sotto, sembravano esserci una infinità di zampe. Il trilobite strisciò sulla riva, non spiaggia, né sabbia, solo una lastra di roccia, e avanzò fino a due o tre metri dal mare.