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Gli occhi gli brillarono, ma con un grande sforzo riuscì a controllarsi.

«C’è un confine molto sottile tra vigliaccheria e buon senso.»

«Ed è buon senso avere paura di una scaramuccia con qualche Elamita?»

«No, non con gli Elamiti, Gilgamesh.»

«Allora che…»

«Non sai che il Signore Enlil ha messo il Demone Huwawa all’ingresso della Terra dei Cedri a guardia degli Alberi Santi?»

Per poco non scoppiai in una sonora risata nel sentire queste parole. Avevo sentito racconti sul Demone della foresta; ogni foresta ha il suo Demone o la sua coppia di Demoni, e i racconti terrificanti abbondano. Ma in genere i Demoni possono essere rabboniti o resi inoffensivi in qualche altra maniera, e non mi aspettavo che Enkidu si curasse di creature del genere.

Dissi in tono leggero: «Beh, ho già sentito una storia simile. Ma forse il Demone sarà impegnato altrove quando arriveremo alla Terra dei Cedri. O forse non è feroce come lo descrivono i racconti. O forse, Enkidu, non c’è nessun Demone nella foresta.»

Con calma, Enkidu disse: «Ho visto Huwawa con i miei stessi occhi.»

Le sue parole avevano la forza di un pugno nello stomaco, così bassa era la sua voce, così profonda la sua convinzione. Allora toccò a me battere gli occhi per la sorpresa.

«Che cosa?», mi uscì dalla bocca. «Lo hai veramente visto?»

«Quando vagabondavo ancora nella regione selvaggia insieme agli animali,» rispose, «Una volta andai verso oriente, ed entrai nella foresta dove crescono i cedri. Si estende per diecimila leghe in ogni direzione, e Huwawa è ovunque nella foresta. Non c’è posto dove ci si può nascondere da lui. Si alzò davanti a me e ruggì, e io pensai di morire dalla paura. Io non sono un vigliacco, Gilgamesh.» Mi guardò attentamente. «Pensi che io sia un vigliacco? Ma Huwawa si alzò e ruggì, e i ruggiti di quel Demone sembrano i ruggiti delle tempeste che portano i grandi diluvi. Pensai che sarei morto di paura. La sua bocca è fuoco, il suo alito è la morte.»

Non riuscivo ancora a crederci.

«Hai veramente visto la faccia del Demone?», chiesi.

«L’ho vista. Non c’è nulla di più spaventoso a questo mondo. Huwawa è mostruoso oltre ogni dire. I suoi denti sono come le zanne di un drago. La sua faccia è la faccia di un leone.» Enkidu tremava: i suoi occhi erano colmi di terrore. «Quando carica, è come le acque impetuose del fiume. Divora gli alberi e le canne come se fossero erba.»

Ancora senza capire, ripetei: «Hai visto il Demone!»

«L’ho visto, Gilgamesh. Sono stato fortunato a sfuggirgli. Si girò, mi dimenticò: ma non riuscirei a sfuggirgli una seconda volta. Ci ucciderà. Ti avviso: se andremo nella Terra dei Cedri, il Demone ci ucciderà. Percepisce tutto quello che accade nella foresta. Riesce a sentire le giovenche che pascolano nei boschi, anche se sono a sessanta leghe di distanza. Non c’è modo di sfuggirgli. Il combattimento non è alla pari.» Scosse il capo. «Gilgamesh, io ho un desiderio ardente di avventure, ma tu desideri tanto morire?»

«Pensi che lo desidero?»

«Tu hai intenzione di andare nella Terra dei Cedri.»

«Per amor dell’avventura, si. Per far battere più forte il mio cuore. Ma non desidero morire. È l’amore per la vita che mi attira verso la Terra dei Cedri, e non la voglia di morire. Tu lo sai.»

«Ma entrare nella tana di Huwawa…»

«No, Enkidu. Ho visto i cadaveri galleggiare sul fiume, e quel ricordo mi opprime l’anima. Mi opprime vederli e sapere che è anche il nostro destino. Io detesto la morte. La morte è mia nemica.»

«Allora perché andare…»

«Perché dobbiamo.»

«Ah, dobbiamo? Possiamo andare a nord! Possiamo andare a sud! Possiamo andare…»

«No,» dissi. Ormai mi ero infiammato. Mi addolorava vedere Enkidu così spaventato. La sua anima si era rammollita ad Uruk: ne sarebbe morto, se non l’avessi spinto ad agire. Per amor suo avremmo intrapreso quell’avventura, non importava quali ne fossero i rischi. «C’è solo un luogo dove possiamo andare, e questo luogo è la Terra dei Cedri.»

«Dove è probabile che moriremo.»

«Non ne sono così sicuro. Mai rifletti su questo, amico mio: solo gli Dei vivono in eterno sotto il sole, e anche loro assaggiano la morte di tanto in tanto. In quanto agli esseri mortali come noi, i nostri tentativi non sono altro che aria vuoto e soffio di vento. Ma noi dobbiamo tentare lo stesso, o almeno, credo.»

«E morire. Non sapevo che desideravi tanto morire, Gilgamesh. Non importa quello che dici, questa è la mia impressione.»

«No! No! Voglio schivare la morte fin quando mi è possibile. Ma non vivrò nella paura. Com’è possibile, Enkidu, che tu abbia paura?»

Questa volta la mia ironia non lo fece adirare. Distolse lo sguardo, con il volto accigliato, pallido.

«Io ho visto Huwawa,» disse cupamente.

Allora mi adirai io. Non era l’Enkidu che conoscevo.

«Ebbene,» gridai, «temilo, allora! Ma io non ne avrò paura. Stai dove ti senti sicuro. Vieni con me nella Terra dei Cedri: il viaggio ti darà nuove forze, l’aria fresca sveglierà il tuo animo. Ma, quando saremo nella foresta, camminerai dietro di me. Che cosa accadrà se mi ammazzerà? Se sarò ucciso da lui, ebbene, come minimo avrò fatto in modo che il mio nome duri in eterno. Si dirà di me: “Gilgamesh è stato ucciso dal feroce Huwawa”. Non è un disonore, non è vero? Quale disonore può esserci nell’essere uccisi da un Demone tanto spaventoso che mette paura perfino all’Eroe Enkidu?»

I suoi occhi incontrarono i miei. Fece un sorriso cattivo, e le narici gli si allargarono.

«Quanto sei astuto, Gilgamesh!»

«Io? Perché?»

«A dirmi che mi farai camminare dietro di te.»

«Sarà più sicuro per te, Enkidu.»

«Lo credi? E poi tutti ad Uruk diranno: “Quello è Enkidu, l’uomo che camminò dietro suo fratello nella foresta del Demone!”»

«Ma se il Demone ti spaventa…»

«Tu sai che io camminerò al tuo fianco quando saremo arrivati nel dominio di Huwawa.».

«Ah, non ti chiederei mai una cosa simile, non la chiederei mai a te che hai visto lo spaventoso Huwawa.»

«Risparmiami la tua derisione,» disse Enkidu in tono stanco. «Starò accanto a te. Tu lo sai, Gilgamesh, tu lo sapevi fin dall’inizio.»

«Se tu non vuoi andare…»

«Te lo ripeto, starò accanto a te!», strillò.

Poi scoppiammo a ridere, ci stringemmo in un forte abbraccio, e chiudemmo quel discorso. Io misi in giro la voce che presto sarei partito da Uruk per la Terra dei Cedri.

Non saprei dirvi quante volte, mentre facevamo i preparativi per il viaggio, chiesi ad Enkidu di descrivermi il Demone. Ogni volta mi disse le stesse parole. Mi parlò del ruggito, della bocca che era fuoco, del suo alito di tempesta. Ebbene, non credevo che mentisse: non c’era artificio in Enkidu, non aveva la minima capacità di ingannare. Era evidente che aveva visto il Demone, ed era evidente che il Demone non era un nemico di poco conto. Di tanto in tanto tutti vediamo Demoni, perché essi sono ovunque, stanno in agguato dietro le porte, nell’aria, sui tetti, sotto i cespugli. Io stesso spesso avevo visto dei Demoni, ma non ne avevo mai visto nessuno che stesse alla pari con Huwawa. Pure non avevo paura. La paura che aveva espresso Enkidu aveva solo rafforzato la mia decisione di andare a prendere i cedri della foresta di Huwawa. Scelsi cinquanta uomini che avrebbero dovuto accompagnarci. Tra loro c’era Bir-hurturre, ma non Zabardi-bunugga, perché gli avevo ordinato di restare al comando della città mentre ero lontano. Feci forgiare grandi asce per abbattere gli alberi, del peso di tre talenti ciascuna, con manici di salice e bosso. I miei artigiani ci fabbricarono spade degne di Eroi, con lame pesanti due talenti ciascuna, e foderi d’oro, e pomelli sull’elsa che solo un uomo robusto poteva afferrare.