«Il varo fu difficile: furono costretti a spostare la zavorra finché la nave non arrivò dove l’acqua era profonda. Poi il Re caricò nella nave tutto il suo oro e il suo argento, e fece salire a bordo tutta la sua servitù e tutti i suoi artigiani, e anche animali di ogni specie, presi a coppie, sia le bestie addomesticate dei pascoli sia le creature selvagge dei campi. L’ora del diluvio si stava avvicinando, Ziusudra lo sapeva.
«Il cielo si oscurò e il vento cominciò a soffiare. Ziusudra sali a bordo della nave e chiuse i portelli. All’alba una nuvola nera apparve all’orizzonte, cominciò a tuonare e a soffiare un forte vento. Gli Dei si scatenarono contro il mondo, e i fulmini lampeggiavano: erano le torce degli Dei, che infiammavano il mondo con i loro lampi. Le tempeste ruggivano e le piogge arrivarono violente. Il Paese fu distrutto come una pentola di coccio lanciata contro un muro.
«Tutto il giorno i venti della tempesta soffiarono da sud: più a lungo infuriavano, più terribili diventavano. Le acque dell’inondazione unirono le proprie forze e assalirono il Paese come un’armata conquistatrice. La luce del giorno scomparve, non si vedeva niente, le cime delle montagne furono sommerse. Gli Dei stessi si spaventarono del diluvio e si ritrassero, ascesero nel cielo più alto, quello del Padre del Cielo. Si acquattarono come cani, si accucciarono contro il parapetto esterno. Inanna, la Regina del Cielo, piangeva e gridava come una partoriente nel vedere il suo popolo precipitare nel mare. Gli Dei piangevano con lei. Umiliati e spaventati dalle forze che essi stessi avevano scatenato, sedevano curvi e tremanti, e piangevano.
«Sei giorni e sei notti il vento soffiò e la tempesta e la pioggia spazzarono il Paese. Il settimo giorno la tempesta si calmò: le acque dell’inondazione non si alzarono più, il turbolento mare diventò tranquillo. Ziusudra aprì il portello della nave e uscì sul ponte. Lo spettacolo che gli si presentò davanti agli occhi gli piegò le ginocchia per il terrore. Tutto era calmo. Ma egli non vedeva terre, solo l’acqua si stendeva in ogni direzione, fino all’orizzonte. Impaurito e intimorito, si coprì la testa e pianse, perché aveva capito che tutto il genere umano era tornato ad essere argilla, tranne coloro che egli aveva salvato a bordo della nave. Aveva capito che il mondo e tutto ciò che conteneva! era perito.
«Veleggiò su quella grande distesa di acque, in cerca di una costa. Dopo qualche tempo vide le pendici scure e massicce del Monte Nisir ergersi al di sopra delle acque. Si diresse verso di esse, e la nave si fermò. Era ben ancorata e non si muoveva. Tre giorni, quattro, cinque, sei, la nave restò ferma accanto alla montagna. Il settimo giorno, Ziusudra liberò una colomba, ma l’uccello non trovò nessun luogo dove posarsi, e tornò. Liberò una rondine, ma la rondine non aveva dove atterrare, e anch’essa tornò indietro. Poi Ziusudra liberò un corvo. L’uccello volò in alto e lontano, e vide che le acque avevano cominciato a ritirarsi: volò in un ampio cerchio, trovò qualcosa da mangiare, gracchiò, volò via e non tornò più alla nave. Allora Ziusudra aprì tutti i portelli ai quattro venti e alla luce del sole. Uscì e salì su una montagna. Offrì una libagione, offrì sette vasi santi, e altri sette. Bruciò canna, legno di cedro e mirto per gli Dei che lo avevano risparmiato. Gli Dei sentirono l’aroma del sacrificio e arrivarono per goderne. Inanna fu tra coloro che arrivarono, coperta di tutte le gemme del cielo, e gridò: «Sì, venite, o Dei! Venite. Ma Enlil non venga, perché è stato lui a colpire con il diluvio il mio popolo!»
«Ciononostante, Enlil arrivò. Si guardò intorno infuriato e chiese di sapere com’era possibile che qualche essere umano fosse sfuggito alla distruzione. “Dovresti chiederlo a Enki,” disse Ninurta, il Guerriero, il Dio dei pozzi e dei canali. E Enki fece un passo avanti e rispose con audacia a Enliclass="underline" “È stata un’azione insensata provocare questo diluvio. Nella tua ira hai distrutto il peccatore e l’innocente. È stato troppo. Se tu avessi mandato un lupo a punire i cattivi, o un leone, o anche un’altra carestia o una pestilenza… sì, avrebbe potuto essere sufficiente. Ma non questo terribile diluvio! Ora il genere umano è scomparso e il mondo è allagato. Solo quella nave e la sua gente si è salvata. Ed è accaduto solo perché Ziusudra, il Re saggio, ha visto in sogno i disegni degli Dei, e ha costruito la nave per salvare se stesso e la sua gente. Va’ da lui, Enlil. Parlagli. Perdonalo. Mostragli il tuo amore.”
«Il cuore di Enlil fu mosso a compassione. Aveva visto le devastazioni compiute dal diluvio, e il dolore lo aveva sopraffatto. Allora salì a bordo della nave di Ziusudra. Prese il Re per una mano e la moglie del Re per l’altra, li attirò a sé e sfiorò loro la fronte in segno di benedizione. Poi disse: “Eravate mortali, ma non siete più mortali. Da oggi in avanti sarete simili a Dei e vivrete lontani dal genere umano, alle foci dei fiumi, nella terra dorata di Dilmun.”
«Questa fu la ricompensa che ricevettero Ziusudra e la moglie. Nella terra di Dilmun essi vivono ancora ai giorni nostri, eterni, immortali. Grazie alla loro fede e alla loro perseveranza, il mondo rinacque in quei giorni in cui Enlil mandò il diluvio a distruggere il genere umano.»
Questo era il racconto che udii dall’arpista Ur-kununna, quando ero bambino nel palazzo di Lugalbanda.
30
Continuai a vagare, in preda alla disperazione e alla follia, ma adesso i miei vagabondaggi avevano uno scopo, per quanto folle e disperato fosse. Non saprei dirvi quanti mesi camminai, né quali steppe, valli e pianure percorsi.
A volte il sole era davanti a me, simile a un occhio enorme e rabbioso, che emanava abbaglianti onde di calore, e io barcollavo sotto i suoi raggi mentre avanzavo a fatica. A volte il sole era pallido e basso sull’orizzonte, ed era alle mie spalle, o alla mia sinistra. Non saprei dirvi quali direzioni fossero.
Trovai fiumi sul mio cammino, e li attraversai a nuoto. Dubito che fossero i Due Fiumi del Paese. Attraversai paludi e luoghi in cui la sabbia bagnata sembrava letame sotto i miei piedi. Attraversai dune e distese secche e desolate. Mi feci strada attraverso folti di canne spinose che mi sferzavano come nemici vendicativi.
Mi nutrivo di carne di lepre, di cinghiale, di castoro e di gazzella. Laddove mancavano tutti questi animali, mi cibavo di carne di leone, di sciacallo e di lupo. Quando poi non trovavo animali di nessuna specie, allora mangiavo ricci, nocciole e bacche. E, dove non c’era nulla da mangiare, non mangiavo niente, e non m’importava. Dentro di me c’era la forza divina. Il mio scopo era divino.
Dopo qualche tempo arrivai ad una montagna che doveva essere quella chiamata Mashu. Quella montagna ogni giorno sorveglia il sorgere e il tramontare del sole. Sapevo che era la montagna Mashu, perché le sue cime gemelle toccavano la volta celeste e i suoi seni toccavano in basso le porte degli Inferi. C’è solo una montagna come quella sulla Terra.
Si dice che a guardia di quella porta ci siano gli uomini scorpione, creature metà uomo e metà mostro, con la coda arcuata, snodabile, che dà una puntura fatale. Sono così temibili questi uomini-scorpione che il fulgore dei loro occhi è terrificante; da essi emana uno splendore che scintilla come un incendio in un dirupo. Il loro sguardo da solo uccide. Forse è vero. Non vidi nessun uomo scorpione quando salii sul Mashu. Per essere più precisi, incontrai alcune creature tristi e meschine che erano abbastanza mostruose, ma ben lontane dall’essere terrificanti. Può essere che altri, ricevutene le descrizioni di seconda o terza mano, li abbiano trasformati in mostri spaventosi. Succede spesso nei racconti dei viaggiatori, immagino.
Ma non negherò che ebbi un tremito di paura quando incontrai la prima di queste creature, a metà del Mashu, nella radura pianeggiante che si trova tra le due cime. Mi doveva già osservare da qualche tempo, visto che si trovava molto più sopra di me, con le braccia piegate con calma.