«Come è accaduto?», chiese l’uomo più anziano.
Il nuovo venuto rispose: «Grazie alla buona sorte. Ci siamo trovati al posto giusto nel momento giusto. Era l’epoca in cui Mesannepadda il Re va a Nippur per adorare Duranki e compiere il Rito del Piccone. Quest’anno aveva mille uomini con sé. Mentre si trovava a Nippur, il governatore della città si è ammalato. Sembrava in punto di morte, e il Sacerdote di Enlil è andato dal nostro Re e gli ha detto: «Il nostro governatore è moribondo, ne vuoi scegliere un altro?» Allora Mesannepadda ha pregato a lungo nel Tempio e infine ha dichiarato che Enlil gli era apparso e aveva ordinato a lui di assumere il governatorato di Nippur.»
«È stato così semplice?»
«Sì, è stato così semplice,» disse l’uomo più giovane, e entrambi scoppiarono a ridere. «La parola di Enlil… chi può contraddirla?»
«Soprattutto se si è appoggiati da mille uomini!»
«Sì, soprattutto in questo caso,» disse l’altro.
Strinsi la mano intorno al boccale di birra. Era un brutta notizia. Non avevo intrapreso nessuna azione quando Mesannepadda aveva detronizzato i figli di Agga e si era nominato Re di Kish e di Ur. Non mi era sembrata una minaccia a Uruk, e avevo altri problemi che mi preoccupavano, come ho già raccontato. Ma Nippur, che al tempo di Enmebaraggesi e di Agga aveva un patto di vassallaggio con Kish, era stata indipendente fino alla morte di Agga. Se Mesannepadda, dopo aver conquistato Kish, si era anche impossessato di Nippur, eravamo sulla buona strada per essere circondati da un impero in via di formazione. Non potevo certamente permettere che accadesse. Mi chiesi se a Uruk lo sapessero. Il popolo di Uruk stava aspettando che il Re Gilgamesh tornasse e li guidasse nella guerra contro Ur? Quali limiti avrebbero avuto le ambizioni di Mesannepadda, se Gilgamesh non vi avesse posto un freno?
E Gilgamesh… dov’era? Seduto in una taverna di Dilmun, in attesa di essere invitato all’isola di Ziusudra in modo da conquistarsi la vita eterna! Era in quel modo che doveva comportarsi un Re?
Non sapevo che cosa fare.
Ma il nuovo arrivato da Ur non aveva ancora finito con le notizie. Il vecchio Mesannepadda era morto. Suo figlio Gilgamesh era salito sul trono. E non aveva perso tempo a dimostrare che intendeva continuare la politica del padre. Mesannepadda aveva cominciato a Nippur la costruzione di un Tempio di Enlil. Il nuovo Re non solo si occupava del completamento di quel Tempio ma, al fine di dimostrare il suo profondo interessamento per il benessere di Nippur, aveva dato ordine di restaurare il grande centro rituale, il Tummal, caduto in rovina dopo la morte di Agga.
Sempre peggio! Quei Re di Ur trattavano Nippur come se si trattasse di una loro colonia! Non doveva succedere, pensai. Che costruiscano Templi ad Ur, se hanno voglia di costruire Templi! Che si preoccupino delle loro città, ma tengano le mani lontane da Nippur.
Feci il possibile per non balzare in piedi, afferrare quei sudditi di Ur, sbattere le loro teste una contro l’altra, e ordinargli di tornare subito nella loro città per dire al Re che Gilgamesh di Uruk era suo nemico e gli dichiarava guerra.
Ma restai seduto. Avevo qualcosa da fare con Ziusudra in quelle isole. Avevo fatto un lungo viaggio per arrivare a Dilmun, e non potevo andarmene proprio allora, non importava quali responsabilità mi richiamassero ad Uruk. Almeno così mi sembrò in quel momento. Forse mi sbagliavo, anzi, certamente mi sbagliavo. Ma penso che sia altrettanto giusto quello che feci. Se avessi deciso di tornare in quel momento nella mia città, non avrei mai raggiunto la saggezza che mi guida adesso.
Non chiusi occhio per tutta la notte. E riposai poco e male anche nei giorni seguenti. Pensavo solo all’arroganza di Meskiagnunna, che si pavoneggiava nei Sacri Recinti di Nippur, come se ne fosse stato il Re. Ma restai a Dilmun. E il quinto giorno, o forse era il sesto, il barcaiolo Sursunabu riapparve e mi disse nella sua solita maniera sgraziata: «Devi venire con me nell’isola dove vive Ziusudra.»
35
L’isola era bassa, piatta e sabbiosa, e — a differenza di Dilmun dalle alte mura — era completamente priva di difese. Chiunque avrebbe potuto tirare in secco la propria barca e recarsi direttamente alla casa di Ziusudra. Almeno, l’isola non aveva difese di tipo convenzionale. Ma quando Sursunabu tirò la barca sulla spiaggia, notai che lungo la spiaggia c’erano tre file di piccole colonne di pietra, simili a quelle che avevo fracassato nella mia stupida rabbia.
Gli chiesi che cosa fossero, e il barcaiolo mi rispose che erano i doni che Enlil aveva dato a Ziusudra all’epoca del Diluvio. Proteggevano l’isola dai nemici: nessuno avrebbe osato oltrepassare quelle colonne. Ogniqualvolta Sursunabu andava a Dilmun oppure sulla terraferma, ne prendeva sempre qualcuna con sé e la sistemava sulla barca in modo da proteggersi. Mi vergognai ancora di più al ricordo di aver rotto e buttato in acqua quelle colonnine come un toro selvaggio in preda all’ira. Ma evidentemente ero stato perdonato, visto che Ziusudra mi aveva invitato.
Vidi una costruzione che sembrava un Tempio al centro dell’isola: un lungo edificio con le mura bianche che brillavano nella calda luce del sole. Quando lo guardai, mi si rizzarono i capelli sulla nuca: mi venne in mente che all’interno di quella costruzione, a poche centinaia di passi da me, doveva trovarsi l’antico Ziusudra, il sopravvissuto del Diluvio, colui che aveva camminato con Enki e Enlil tanto tempo prima. L’aria era ferma, un grande silenzio sovrastava l’isola. C’erano dodici o quattordici edifici più piccoli intorno alla struttura principale, e qualche piccolo appezzamento coltivato. Questo era tutto. Sursunabu mi condusse verso uno dei fabbricati annessi, una piccola casa quadrata, di un sola stanza, completamente priva di mobili, e mi lasciò lì.
«Verranno a prenderti,» disse.
Si è in un tempo fuori dal tempo, quando si è nell’isola di Ziusudra. Non saprei dirvi quanto tempo restai in quella stanza: un giorno, tre, cinque…
Sulle prime ero irritato e perfino adirato. Pensavo di entrare nell’edificio centrale e di scovare il patriarca, ma sapevo che era assurdo e che avrebbe danneggiato il mio scopo. Percorsi a grandi passi la stanza, andando da un angolo all’altro. Ascoltai il rumore e il ronzio del mio stesso cervello, quell’incessante chiacchierio interiore. Guardai il mare e quasi mi accecai gli occhi nel fissare la scia di sole che splendeva nel suo grembo. Pensai a Meskiagnunna, Re di Ur, e a quello che stava tentando di fare. Pensai a Inanna che sicuramente a Uruk complottava contro di me. Pensai a mio figlio, il piccolo Ur-lugal, e mi chiesi se sarebbe mai diventato Re. Pensai a questo, pensai a quello.
Le ore passavano e nessuno veniva da me. A poco a poco, il grande silenzio dell’isola penetrò nella mia anima: cominciai a calmarmi. Era una sensazione meravigliosa. Il rumore e il ronzio del mio cervello si placarono, sebbene non cessassero del tutto. Dopo qualche tempo, ero calmo dentro così come tutto era calmo fuori. Allora non mi importò più che cosa stessero facendo Meskiagnunna, Inanna o Ur-lugal. Non mi importò più di restare in quella stanza per dodici giorni, per dodici anni, o per dodici secoli. Vivevo in un tempo fuori del tempo.
Ma poi mi passò anche quella calma meravigliosa, e ritornai ad essere adirato e impaziente. Quanto tempo mi avrebbe lasciato lì? Non sapevano che ero Gilgamesh, il Re di Uruk? Affari urgenti mi aspettavano a casa! Meskiagnunna, Re di Ur… Inanna… i bisogni del mio popolo… Meskiagnunna… la manutenzione dei canali… sarei tornato in tempo per la cerimonia dell’Accensione della Pipa?… per la processione della statua di An?… Meskiagnunna… Ziusudra… Inanna… ah, il balbettio, il chiacchierio della mente!
Alla fine vennero a prendermi, quando ero ormai frenetico come un cane rabbioso.
Erano in due. Per prima vidi una fanciulla snella e dall’aria solenne, con il corpo flessibile di una danzatrice, che non doveva avere più di quindici o sedici anni: sarebbe stata bella, se avesse sorriso. Indossava una semplice tunica di cotone bianco, non portava ornamenti, e in una mano aveva un bastone di legno nero inciso con misteriose iscrizioni. Per un momento restò sulla soglia della mia porta, guardandomi con calma, poi disse: «Se sei Gilgamesh di Uruk, vieni avanti.»