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Lei ebbe un’espressione imbronciata. «Hai dato altre lezioni ai tuoi studenti?» Anche Maria sapeva usare gli eufemismi.

Markov scrollò le spalle. Non erano affari suoi. E poi, nonostante sapesse tutto, lei si arrabbiava sempre quando ne parlava apertamente. “Che strana donna” rifletté. “Ormai dovrebbe essersi abituata alla situazione. Dopo tutto ha accettato i patti.”

«Perché hai dovuto lavorare fino a quest’ora?» le chiese, senza alzarsi dalla poltrona. Sapeva che Maria non gli avrebbe risposto. Non poteva rispondere. Buona parte del suo lavoro era talmente delicato che non poteva discuterne col marito. Ma in rarissime occasioni, quando giungeva a un punto morto con un codice o una traduzione, gli proponeva il problema. Markov aveva fallito spesso, ma a volte aveva fatto di sua moglie un eroe dell’Unione Sovietica.

Maria affondò nella poltrona più vicina alla stufa elettrica. Pozzanghere di neve che si scioglievano cominciarono a formarsi attorno ai suoi stivali, bagnando l’antico tappeto orientale. La donna guardò la stufa. «Quest’affare non funziona bene» brontolò.

«È il voltaggio, credo» disse Markov. «Avranno abbassato ancora il voltaggio per risparmiare energia.»

«E noi congeliamo.»

«È necessario, immagino.»

Lei lo scrutò, lo soppesò col suo sguardo cinico e circospetto da contadina. Markov capì che sua moglie si stava chiedendo se potesse fidarsi di lui. Leggeva il viso di lei come un sillabario.

«Vuoi davvero sapere perché tutte le sere resto al quartier generale fino a tardi?» gli chiese lentamente Maria.

Lui si inumidì le labbra. «No, se c’è di mezzo qualcosa che non devi dirmi.» E, tornando al libro che aveva in grembo: «Non lasciarti tentare a svelarmi segreti di stato.»

«So di potermi fidare di te… in certe cose.»

Markov si concentrò nella lettura.

«Kirill! Guardami quando ti parlo! Mi serve il tuo aiuto.»

Lui alzò gli occhi.

«Non è mai accaduto niente di simile.»

Era davvero sconvolta. Al di sotto della sua aria diffidente, lui vide sul suo volto qualcosa di molto vicino alla paura.

«Di cosa si tratta?» le chiese, togliendosi gli occhiali.

«Domani devi venire con me al quartier generale. Dovremo sottoporti a controlli rigorosi.»

«Controlli? Perché? Cos’ho fatto?»

Lei scosse la testa, gli occhi chiusi per la stanchezza. «No, niente del genere. Non impaurirti. È solo un normale controllo di sicurezza. Prima di mostrarti i dati, devi avere il nullaosta di sicurezza.»

Adesso il cuore di Markov galoppava, e i palmi delle mani erano sudati. «Quali dati? Se è una faccenda tanto delicata, perché volete coinvolgermi?»

«Per quello stupido libro che hai scritto. Vogliono parlarne con te.»

«Il mio libro sui linguaggi extraterrestri? Ma è stato pubblicato sei anni fa.»

Maria aprì gli occhi e lanciò al marito uno sguardo da gelare le ossa. «Non è mai accaduto niente di simile. Il problema ci è stato sottoposto dall’Accademia delle Scienze.»

«L’Accademia…?»

«Dall’accademico Bulacheff in persona. Il presidente.»

Gli occhiali scivolarono giù dal libro in grembo a Markov, caddero sul tappeto. Lui non accennò a raccoglierli.

«Kir» chiese Maria «sai dove si trova il pianeta Giove? Cos’è?»

«È il pianeta più grande del sistema solare. Molto più grande della Terra. Però è freddo, lontano dal Sole.»

«Stanno arrivando segnali radio da Giove» disse Maria, e chiuse ancora gli occhi, come nel tentativo di soffocare il problema. «Segnali radio. Tu devi dirci se costituiscono un linguaggio.»

«Un linguaggio?» La voce di Markov era stranamente stridula, come quella di un ragazzo spaventato.

«Sì. Questi segnali radio potrebbero essere un linguaggio. Di creature intelligenti. Abbiamo bisogno di te per studiarli.»

4

Adamo ed Eva erano astronauti provenienti dallo spazio, e arrivarono sulla Terra seimila anni fa.

Giunsero su un’astronave che riempì di meraviglia le primitive popolazioni dell’epoca, e da qui, per spiegare lo straordinario evento, è sorta la leggenda del Giardino dell’Eden.

È questa la stupefacente conclusione raggiunta dal dottor Irwin Ginsburgh, noto fisico, che ha studiato la Bibbia e gli antichi testi religiosi per trent’anni.

«Le mie ricerche dimostrano che Genesi non è un mito, bensì una brillante documentazione scientifica che ci racconta l’inizio della creazione» dice il dottor Ginsburgh, che ha pubblicato il libro sulle sue sconcertanti scoperte.

Ed Erich Von Daniken, un ricercatore noto in tutto il mondo che ha offerto le prove della presenza di antichi astronauti nel suo libro Chariots of the Gods?, ha dichiarato all’“Enquirer”: «Sono convinto che le conclusioni del dottor Ginsburgh sono vere.»

National Enquirer — 16 gennaio 1979

Il locale era piccolo, anche rispetto alla media delle palestre di scuola superiore, ma pieno zeppo di gente.

Gli spettatori, seduti su panche di legno, osservavano con attenzione e curiosità la figura snella e bionda sulla linea media del campo di basket.

Stringendo il microfono in mano, tenendolo talmente vicino alle labbra che ogni suo respiro riecheggiava sulle pareti di mattoni della palestra, Willie Wilson intonava la sua litania: «E qual è la cosa che Gesù odia?»

«Il peccato!» urlarono le voci eccitate della folla. Il grido esplose nella palestra, rimbalzò sulle pareti nude, rombò nelle orecchie.

«Cos’è?»

«“Il peccato!”» urlarono gli spettatori, più forte.

«Fatemelo sentire!»

«IL PECCATO!» ruggirono.

Fred Tuttle, vicecomandante della marina degli Stati Uniti, si coprì con le mani le orecchie indolenzite e sorrise. Era seduto nell’ultima fila di panche, con la schiena alla parete. A differenza del resto della folla, che portava jeans e maglietta, Tuttle indossava calzoni stirati alla perfezione e camicia. La giacca del vestito era accuratamente ripiegata sulle sue ginocchia.

«Questo mondo è pieno di peccato!» stava urlando Willie Wilson nel microfono. «Sta morendo per il peccato! E chi può salvare un mondo tanto peccaminoso? Chi è “l’unico” che possa salvare questo mondo moribondo?»

«Gesù!» strepitarono. «GESÙ!»

«Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore, giustissimo.» La voce di Wilson si abbassò a un sussurro roco, e gli echi che rimbalzavano lungo le pareti si spensero. La folla si protese in avanti, ansiosa di udire ogni parola di Wilson. «Però Gesù non può farlo da solo. Se volesse, potrebbe, ma non è così che Dio agisce. Non è così. Dio non fa le cose da solo. Se Dio avesse seguito da solo la Propria strada, non avrebbe mai creato l’uomo. Non avrebbe mai creato questa carne peccaminosa e questo mondo peccaminoso. Non avrebbe mai inviato il Suo unico figlio, il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, fra noi, a mostrarci il cammino. Vero?»

Un mormorio di: «Sì» passò tra la folla.

«Gesù Dio vuole salvare questo mondo. Vuole salvare voi! Egli vi ama. Vi ha creato a Propria divina immagine, ricordate? Vuole che voi siate come Lui, e con Lui, in paradiso per l’eternità.»

«Amen» urlò qualcuno.

«Amen a te, fratello» rispose Wilson, asciugandosi con la mano libera il sudore dalla fronte. «Gesù vuole salvarvi. Salvare il mondo. Però Gli serve il vostro aiuto. Non ha creato questo mondo per Sé. L’ha creato per voi, per ognuno di voi. Ed Egli non lo salverà se non Gli mostreremo, non Gli proveremo, che vogliamo essere salvati!»

Un uomo elegante, coi capelli castani tagliati corti, si fece strada fra gli ascoltatori rapiti e sedette vicino a Tuttle.

«È in mano nostra» disse, chinandosi a parlare direttamente all’orecchio di Tuttle.