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— E quella donna? — domandò Glair. — Che cosa sapete su di lei?

— È una giovane vedova con una bambina piccola.

— Tutto qui? Com’è? Perché ha dato rifugio a Vorneen?

— Non abbiamo avuto alcun contatto con lei — rispose Thuw con voce inespressiva. Poi guardò l’orologio. — Quando tornerà questo tuo terrestre, a proposito?

— Non prima delle quattro del pomeriggio.

— Ma allora…

— Lo so. Manca molto tempo. Io posso aspettare. Portatevi via il vostro Kranazoi e fate con lui tutto quello che dovete fare, poi tornate da me dopo le quattro. Non posso andarmene senza aver salutato Tom.

Thuw le rivolse uno sguardo indagatore. — È gratitudine, Glair, o c’è qualcos’altro?

— Qualcos’altro. Qualcosa di più profondo. Mi è molto caro.

— Ti sei innamorata di un terrestre, Glair?

— Thuw, fai la brava e non rivolgermi domande, d’accordo? Devi solo andare via e ritornare più tardi. Vieni alle cinque, ed allora io sarò pronta per partire.

— Molto bene. Intanto andremo a prendere Vorneen.

— Non fate neanche quello — disse Glair.

Thuw sembrò infastidita. — Perché no?

— Voglio essere io a prendere Vorneen. È il mio compagno, ricordi? Lo reclamo. E voglio anche parlare con la donna che ha vissuto insieme a lui. Limitatevi a tenervi alla larga da noi due, e ritornate più tardi.

— Davvero, Glair…

Glair la prese per un braccio e la sospinse gentilmente verso la porta. — Tesoro, è stato magnifico che tu e Sartak e Leenor siate riusciti a trovarci. Ma ci sono certe cose che dobbiamo sbrigare da soli. Ti prego: vai via e ritorna più tardi.

Thuw sembrava seccata da tutta quella faccenda. Ma se ne andò. Non appena fu uscita, Glair richiuse la porta e si lasciò cadere sul divano, tremando per la tensione.

Dunque era successo. L’avevano trovata. Del resto era inevitabile. E tra non molto lei sarebbe stata in un ospedale su Ganimede, dove l’avrebbero liberata dagli effetti postumi del suo naufragio sulla Terra. Bene.

Mirtin e Vorneen erano vivi. Splendido.

Ed ora… tutto ciò che le rimaneva da fare era dire addio a Tom…

Sarebbe stato penoso. Gli addii sono sempre penosi. Ma lui aveva già incominciato ad abituarsi all’idea che Glair doveva lasciarlo. Ciò che loro avevano costruito, quel ponte tra il terrestre e la Dirnana, era destinato a crollare.

Sapeva che tra poche settimane lo avrebbe ricordato semplicemente come un uomo gentile, angosciato, che l’aveva aiutata in un momento difficile. Quello che a lei era sembrato amore nei confronti del terrestre si sarebbe stemperato in semplice affetto, quando Glair fosse stata nuovamente con Vorneen e Mirtin, ai quali era unita dal più profondo dei legami. Ma che sarebbe stato di lui? Come avrebbe reagito? Sarebbe sprofondato di nuovo negli abissi della sua disperazione, ora che tutte le sue certezze erano state sgretolate da quell’incontro? Quando l’aveva trovata non aveva creduto nemmeno nei suoi tanto disprezzati Oggetti Atmosferici. Adesso ne sapeva sugli osservatori più di qualsiasi altro uomo sulla Terra, e sapeva per esperienza personale che cosa si provava a stringere fra le braccia una creatura venuta dalle stelle, e ad ascoltare le sue grida di piacere. Come avrebbe potuto, dopo tutto ciò, ritornare alla vita di tutti i giorni?

Glair credeva di conoscere un modo per aiutarlo. Valeva la pena di provarci, in ogni caso. Poteva guarirlo come nemmeno la loro stessa relazione avrebbe potuto fare.

Attese per un tempo interminabile.

E alla fine lui arrivò, aprì la porta, entrò in casa, la prese fra le braccia, e la strinse a sé quasi schiacciandola. Glair aspettò finché la ebbe baciata, finché si fu tolto di dosso il cappotto, finché si fu liberato di qualche centinaio di parole sulla stupidità e la cecità del SOA. Lo ascoltò, radiosa.

Poi gli disse, con voce fresca, tranquilla: — Tom, oggi la mia gente è venuta a prendermi. Torno a casa.

CAPITOLO VENTESIMO

Era caduta la notte. Jill aveva cenato ed ora dormiva; Vorneen, più agile che mai, stava saggiando la gamba ormai in via di guarigione; Kathryn aveva programmato la lavastoviglie e stava completando le ultime incombenze domestiche. La serata era tutta loro. Aveva cominciato a sentirsi di nuovo sposata, in un certo senso, e quel sentimento le piaceva. Adesso che erano cadute tutte le barriere tra lei e Vorneen, incluse quelle fisiche, Kathryn aveva smesso di temerlo e non poteva più negare di essere innamorata di lui.

Le sembrava terribilmente strano, certo, e così le sarebbe sempre sembrato, ogni volta che si fosse soffermata a pensare alla sua stranezza. Si rese conto che non c’era nessun modo di dimenticare che Vorneen era umano solo in apparenza, o che era nato prima di George Washington, o che aveva visto altri soli, altri mondi. Eppure si poteva passar sopra a quelle cose. Vorneen era lì, bello, troppo bello, tenero, affascinante, enormemente interessato a lei, un dio dell’amore disceso dalle stelle.

Si era sempre domandata se avrebbe provato un senso di colpa nei riguardi di Ted, la prima volta che si fosse innamorata di nuovo. Adesso aveva la risposta: non si sentiva in colpa. Amava ancora la memoria di Ted, e l’avrebbe sempre amata; ma la mano del suo defunto marito non la stringeva in una morsa gelida, come lei aveva temuto. Ted se n’era andato. Vorneen era con lei. Il solo pensare alla notte che l’attendeva trasmise un caldo fremito di eccitazione attraverso tutti i recessi della sua pelle.

L’aveva stupita il fatto che Vorneen potesse fare l’amore con lei; che quell’imitazione di corpo fosse in grado di agire e reagire come se fosse reale. Eppure era così. Oh, c’erano delle differenze, e mancavano dei particolari, sarebbero sempre mancati, ma non aveva molta importanza. Vorneen veniva fuori con una vitalità erotica prorompente. Kathryn sospettò che sul suo mondo d’origine dovesse essere un vero e proprio diavolo con le donne… se là avevano qualcosa che corrispondeva alle «donne».

In ogni caso, Kathryn era felice.

Non tentò di chiedersi quanto sarebbe durato. Sarebbe venuto il tempo in cui non avrebbe più potuto nascondere Vorneen a casa sua. Lui avrebbe dovuto adattarsi alla normale vita all’esterno, in qualche modo, se aveva intenzione di restare lì. E se non voleva restare…

La bocca di Kathryn si serrò in una linea sottile. Era assurdo pensare che sarebbe rimasto per sempre con lei. Ma adesso era lì, ed era ciò che contava. Vorneen era lì con lei.

Quando ebbe finito le sue faccende, Kathryn udì provenire dall’esterno il rumore di uno sportello di una macchina che si apriva e si richiudeva. Poi un suono di passi, ed infine il trillo del campanello.

L’analizzatore le mostrò il volto di una giovane donna bionda.

— Chi è? — domandò Kathryn.

— La signora Mason? Mi chiamo Glair. Sono un’amica di Vorneen. Posso entrare?

Glair. Un’amica di Vorneen.

Lui aveva pronunciato quel nome, quando era in preda al delirio. Kathryn udì il silenzioso sgretolarsi del suo mondo dentro la sua testa. Meccanicamente aprì la porta.

Glair era una bella ragazza dai seni pieni, non troppo alta. Sembrava una stella del cinema… una specie di equivalente femminile di Vorneen, a dire la verità, con lo stesso fascino radioso ed impeccabile. Aveva gli occhi caldi e dolci, e la carnagione bianca come il latte, e priva di imperfezioni. Kathryn sapeva che se avesse posato la mano sulla pelle di Glair l’avrebbe trovata morbida, gelida e disumana come quella di Vorneen.

Per un lungo momento le due donne si fronteggiarono. Poi Vorneen emerse dalla stanza da letto, sorreggendosi al suo bastone, e disse: — Kathryn, ho sentito suonare…

— Ciao, Vorneen.

— Glair. Sei tu.

Non corsero uno verso l’altra, come Kathryn aveva temuto. Si mantennero alla distanza di cinque metri e, seppure passò qualcosa tra di loro, fu qualcosa di tacito, di cui lei rimase inconsapevole. Per la prima volta Kathryn si rese conto che Glair si sosteneva ad un paio di bastoni di alluminio. In quel silenzio agghiacciante Kathryn disse, cercando di non gridare: — Immagino che sia venuta per portarlo via.