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Qualcosa però non stava andando per il verso giusto. Forse aveva invaso territori non suoi, forse conservava segreti ricattatori: Immacolata Capone venne uccisa nel marzo 2004 a Sant'Antimo, il paese del suo compagno. Era senza scorta. Non credeva forse di correre un pericolo. L'esecuzione avvenne al centro del paese, i killer si mossero a piedi. Immacolata Capone appena intuì di essere seguita iniziò a scappare, la gente intorno credeva fosse stata scippata e stesse inseguendo i ladri, ma la borsa l'aveva a tracolla. Correva tenendosi la borsa stretta al petto in un istinto che non permette di lasciare, di far cascare per terra ciò che rende più complicata la corsa per salvarsi la vita. Immacolata entrò in una polleria, ma non fece in tempo a rifugiarsi dietro al bancone. La raggiunsero e posarono la canna della pistola dietro la nuca. Due colpi secchi: il ritardo culturale, che evitava di toccare le donne, di cui aveva goduto Anna Mazza, venne così colmato. Il cranio sfondato dai proiettili e la faccia riversa nel sangue denso mostrarono il nuovo corso della politica militare dei clan. Nessuna differenza tra uomo e donna. Nessun presunto codice d'onore. Ma il matriarcato dei Moccia ha agito lentamente mantenendosi sempre pronto ai grandi affari, controllando un territorio con investimenti oculati e mediazioni finanziare di prim'ordine, egemonizzando l'acquisto di terreni, evitando faide e alleanze che avrebbero potuto ingerire nelle imprese di famiglia.

Ora su un territorio egemonizzato dalle loro ditte, si erge il più grande complesso Ikea d'Italia e il più esteso cantiere dell'alta velocità del mezzogiorno italiano partirà proprio da questa zona. Per l'ennesima volta, nell'ottobre 2005, il comune di Afragola è stato sciolto per infiltrazione camorristica. Le accuse sono pesanti, oltre duecentocinquanta assunzioni di persone, legate da stretti vincoli di parentela al clan Moccia, sono state chieste da un gruppo di consiglieri comunali di Afragola al presidente di una struttura commerciale.

Nella decisione di sciogliere il consiglio hanno pesato anche alcune concessioni edilizie date in violazione delle norme. Ci sono megastrutture sui terreni di proprietà dei boss e si parla anche dell'ospedale che dovrebbe essere costruito su terreni acquistati dal clan Moccia, proprio in concomitanza con i dibattiti in consiglio comunale. Terreni acquistati a prezzo basso, bassissimo e dopo esser divenuti suoli su cui edificare l'ospedale, venduti ovviamente a costi astronomici. Un guadagno del 600 per cento sul prezzo iniziale. Un guadagno che solo le donne dei Moccia potevano ottenere.

Donne in trincea per difendere i beni e le proprietà del clan, come fece Anna Vollaro, nipote del boss del clan di Portici, Luigi Vollaro. Aveva ventinove anni quando i poliziotti si presentarono per sequestrare l'ennesimo locale della famiglia, una pizzeria. Prese una tanica di benzina, se la versò addosso e con un accendino si diede fuoco. Per evitare che qualcuno tentasse di spegnere le fiamme iniziò a correre all'impazzata. Finì per sbattere contro il muro e l'intonaco si annerì come quando una presa della corrente va in cortocircuito. La Vollaro si fece ardere viva per protestare contro il sequestro di un bene acquistato con capitali illeciti che lei considerava soltanto il risultato di un percorso imprenditoriale normale, naturale.

Si crede che nella prassi criminale il vettore militare porti, una volta raggiunto il successo, al ruolo di imprenditore. Non è così, o almeno non sempre. Ne è un esempio la faida di Quindici, un paese in provincia di Avellino, che subisce da anni la presenza asfissiante e perenne dei clan Cava e Graziano. Le due famiglie sono da sempre in guerra, le donne costituiscono il vero fulcro economico. Il terremoto dell'80 distrugge la Valle di Lauro, la pioggia di miliardi di lire per la ricostruzione dà origine a una borghesia imprenditrice camorrista, ma a Quindici accade qualcosa di più e di diverso di quanto avviene in tutte le altre zone della Campania: non solo uno scontro tra fazioni, ma una faida familiare che nel corso degli anni fa registrare una quarantina di agguati feroci che seminano lutti tra i due nuclei contendenti. Si innesca una carica di odio insanabile che contagia come un morbo dell'anima tutti i rappresentanti delle due famiglie per diverse generazioni. Il paese assiste impotente all'arena in cui si scannano e massacrano le due fazioni. I Cava negli anni '70 rappresentano una costola dei Graziano. Lo scontro nasce quando piovono a Quindici, negli anni '80, cento miliardi di lire per la ricostruzione post-terremoto, una somma che innesca il conflitto per disaccordi circa le quote di appalti e tangenti da spartire. I capitali che arrivano faranno costruire a entrambe le famiglie, attraverso la gestione delle donne dei due clan, piccoli imperi edili. Un giorno mentre il sindaco del paese, fatto eleggere dai Graziano, è nel suo ufficio, un commando dei Cava bussa alla sua porta. Non spararono subito, e questo diede il tempo al sindaco di aprire la finestra, uscire dal suo ufficio, arrampicarsi sul tetto del municipio e scappare sui tetti delle case, sfuggendo all'agguato. Il clan Graziano ha avuto tra le sue fila cinque sindaci, di cui due morti assassinati e tre rimossi, dal Presidente della Repubblica, per rapporti con la camorra. Ci fu un momento in cui però le cose sembrarono poter mutare. Una giovane farmacista, Olga Santaniello, venne eletta sindaco. Solo una donna tenace poteva rispondere al potere delle donne dei Cava e dei Graziano. Tentò in tutti i modi di sciacquare il lereiume del potere dei clan, ma non ce la fece. Una gravissima alluvione il 5 maggio del 1998 investì tutto il Vallo di Lauro, le case si spugnarono d'acqua e fango, le terre divennero stagni melmosi e le vie dei canali inagibili. Olga Santaniello morì annegata. Quel fango che la soffocò divenne doppiamente prolifico per i clan. L'alluvione portò altri danari, e con i nuovi capitali aumentò il potere delle due famiglie. Ci fu l'elezione di Antonio Siniscalchi, riconfermato quattro anni dopo in maniera plebiscitaria. Dopo la prima vittoria elettorale di Siniscalchi, dalla sede dei seggi si snodò un corteo a piedi, al quale parteciparono sindaco, consiglieri e i loro più aperti sostenitori. Il corteo raggiunse la frazione Brosagro sfilando davanti all'abitazione di Arturo Graziano, detto "guaglione", ma non era a lui che i saluti erano rivolti. Erano destinati soprattutto alle donne dei Graziano che, in fila sul balcone in ordine di età, ricevevano gli omaggi del nuovo sindaco dopo che la morte aveva definitivamente eliminato Olga Santaniel-lo. Successivamente Antonio Siniscalchi venne arrestato in un blitz della DDA di Napoli nel giugno del 2002. Secondo le accuse della Procura Antimafia di Napoli, con i primi fondi della ricostruzione aveva dato in appalto i lavori per rifare il viale e la recinzione della villa bunker dei Graziano.