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"Euro, dollaro, yuan. Ecco la mia triade."

Xian sembrava sincero. Nessun'altra ideologia, nessuna sorta di simbolo e passione gerarchica. Profitto, business, capitale. Null'altro. Si tende a considerare oscuro il potere che determina certe dinamiche e allora lo si ascrive a un'entità oscura: mafia cinese. Una sintesi che tende a scacciare tutti i termini intermedi, tutti i passaggi finanziari, tutte le qualità d'investimento, tutto ciò che fa la forza di un gruppo economico criminale. Da almeno cinque anni ogni relazione della Commissione Antimafia segnalava "il pericolo crescente della mafia cinese" ma in dieci anni di indagini la polizia aveva sequestrato vicino a Firenze, a Campi Bisenzio, appena seicentomila euro. Qualche moto e una porzione di fabbrica. Nulla, rispetto a una forza economica che riusciva a spostare capitali di centinaia di milioni di euro, secondo quanto scrivevano quotidianamente gli analisti americani. L'imprenditore mi sorrideva.

"L'economia ha un sopra e un sotto. Noi siamo entrati sotto, e usciamo sopra."

Nino Xian prima di andare a dormire mi fece una proposta per l'indomani. "Ti alzi presto?"

"Dipende…"

"Se domani riesci a stare in piedi per le cinque, vieni con noi al porto. Ci dai una mano."

"A fare che?"

"Se hai una maglia col cappuccio, indossala, è meglio."

Non mi fu detto altro, né io tentai, troppo curioso di partecipare alla cosa, di insistere. Fare altre domande avrebbe potuto compromettere la proposta di Xian. Mi rimanevano poche ore per dormire. E l'ansia era troppa per riposare.

Alle cinque in punto mi feci trovare pronto, nell'androne del palazzo ci raggiunsero altri ragazzi. Oltre me e un mio coinquilino, c'erano due maghrebini con i capelli brizzolati. Ci ficcammo nel furgoncino ed entrammo nel porto. Non so quanta strada avremo fatto e per quali anfratti d'angiporto ci siamo infilati. Mi addormentai poggiato al finestrino del furgone. Scendemmo vicino a degli scogli, un piccolo molo si estendeva nell'anfratto. Lì c'era attraccato uno scafo con un enorme motore che pareva una coda pesantissima rispetto alla struttura esile e allungata. Con i cappucci tirati su sembravamo tutti una ridicola band di cantanti rap. Il cappuccio che credevo fosse necessario per non farsi riconoscere invece serviva solo per proteggerti dagli schizzi di acqua gelida e per tentare di scongiurare l'emicrania che in mare aperto a primo mattino si inchioda tra le tempie. Un giovane napoletano accese il motore e un altro iniziò a guidare lo scafo. Sembravano fratelli. O almeno avevano visi identici. Xian non venne con noi. Dopo circa mezz'ora di viaggio ci avvicinammo a una nave. Pareva che ci andassimo a impattare contro. Enorme. Facevo fatica a tirare su il collo per vedere dove terminava la murata. In mare le navi lanciano delle grida di ferro, come l'urlo degli alberi quando vengono abbattuti, e dei suoni cupi di vuoto che ti fanno deglutire almeno due volte un muco al sapore di sale.

Dalla nave una carrucola faceva calare a scatti una rete colma di scatoloni. Ogni volta che il fagotto sbatteva sui legni dell'imbarcazione, lo scafo beccheggiava al punto che mi preparavo già a galleggiare. Invece non finii in mare. Le scatole non erano pesantissime. Ma dopo averne sistemate a poppa una trentina, avevo i polsi indolenziti e gli avambracci rossi per il continuo sfregare con gli spigoli dei cartoni. Il motoscafo poi virò verso la costa, dietro di noi altri due scafi fiancheggiarono la nave per raccogliere altri pacchi. Non erano partiti dal nostro molo. Ma d'improvviso si erano accodati alla nostra scia. Sentivo la bocca dello stomaco ricevere schiaffi continui ogni qual volta lo scafo faceva battere la prua sul pelo dell'acqua. Poggiai la testa su alcune scatole. Tentavo di intuire dall'odore cosa contenessero, attaccai l'orecchio per cercare di capire dal rumore cosa ci fosse lì dentro. Iniziò a subentrare un senso di colpa. Chissà a cosa avevo partecipato, senza decisione, senza una vera scelta. Dannarmi sì, ma almeno con coscienza. Invece ero finito per curiosità a scaricare merce clandestina. Si crede stupidamente che un atto criminale per qualche ragione debba essere maggiormente pensato e voluto rispetto a un atto innocuo. In realtà non c'è differenza. I gesti conoscono un'elasticità che i giudizi etici ignorano. Arrivati al molo, i ma-ghrebini riuscivano a scendere dallo scafo con due scatolone sulle spalle. Per farmi barcollare mi bastavano solo le mie gambe. Sugli scogli ci aspettava Xian. Si avvicinò a un'enorme scatola, aveva già in mano una taglierina, solcò una fascia larghissima di scotch che chiudeva due ali di carta. Erano scarpe. Scarpe da ginnastica, originali, delle marche più celebri. Modelli nuovi, nuovissimi ancora non in circolazione nei negozi italiani. Temendo un controllo della Finanza, aveva preferito scaricare in mare aperto. Una parte della merce poteva così essere immessa senza la zavorra delle tasse, i grossisti le avrebbero prese senza le spese doganali. La concorrenza si vinceva sugli sconti. Stessa qualità di merce, ma quattro, sei, dieci per cento di sconto. Percentuali che nessun agente commerciale avrebbe potuto proporre e le percentuali di sconto fanno crescere o morire un negozio, permettono di aprire centri commerciali, di avere entrate sicure e con le entrate sicure le fideiussioni bancarie. I prezzi devono abbassarsi. Tutto deve arrivare, muoversi velocemente, di nascosto. Schiacciarsi sempre di più nella dimensione della vendita e dell'acquisto. Un ossigeno inaspettato per i commercianti italiani ed europei. Questo ossigeno entrava dal porto di Napoli.

Stipammo tutti i pacchi in diversi furgoni. Arrivarono anche gli altri scafi. I furgoni andavano verso Roma, Viterbo, Latina, Formia. Xian ci fece riaccompagnare a casa.

Tutto era cambiato negli ultimi anni. Tutto. D'improvviso. Repentinamente. Qualcuno intuisce il cambiamento, ma ancora non lo comprende. Il golfo fino a dieci anni fa era solcato da scafi di contrabbandieri, le mattine erano cariche di dettaglianti che si andavano a rifornire di sigarette. Strade affollate, macchine piene di stecche, angoli con sedia e banco per la vendita. Si giocavano le battaglie tra guardie costiere, finanzieri, e contrabbandieri. Si scambiavano quintali di sigarette in cambio di un arresto mancato, o ci si faceva arrestare per salvare quintali di sigarette stipate in qualche doppio fondo di scafo in fuga. Nottate, pali e fischi per avvertire strani movimenti di auto, walkie talkie accesi per segnalare allarmi, e file di uomini lungo la costa che si passavano velo-mente le scatole. Macchine che sfrecciavano dalla costa pugliese all'entroterra e dall'entroterra verso la Campania. Napoli-Brindisi era un asse fondamentale, la strada dell'economia florida delle sigarette a buon mercato. Il contrabbando, la FIAT del sud, il welfare dei senza Stato, ventimila persone che lavoravano esclusivamente nel contrabbando tra Puglia e Campania. Il contrabbando innescò la grande guerra di camorra dei primi anni '80.

I clan pugliesi e campani reintroducevano in Europa le sigarette non più soggette ai Monopoli di Stato. Importavano migliaia di casse al mese dal Montenegro, fatturando cinquecento milioni di lire a carico. Ora tutto si è spaccato e trasformato. Ai clan non conviene più. Ma in realtà ha verità di dogma la massima di Lavoisier: niente si crea, niente si distrugge, tutto si trasforma. In natura, ma soprattutto nelle dinamiche del capitalismo. I prodotti del quotidiano, e non più il vizio della nicotina, sono il soggetto nuovo del contrabbando. Sta nascendo la guerra dei prezzi, terribilmente spietata. Le percentuali di sconto degli agenti, dei grossisti, e dei commercianti, determinano la vita e la morte di ognuno di questi soggetti economici. Ma non basta. La merce prodotta a basso costo dovrà essere venduta su un mercato dove sempre più persone accedono con stipendi precari, risparmi minimi, attenzione maniacale ai centesimi. L'invenduto aumenta e allora le merci, originali, false, semifalse, parzialmente vere, arrivano in silenzio. Senza lasciare traccia. Con meno visibilità delle sigarette, poiché non avranno una distribuzione parallela. Come se non fossero mai state trasportate, come se spuntassero dai campi e qualche mano anonima le avesse raccolte. Se il danaro non puzza la merce invece profuma. Ma non del mare attraversato, non riporta l'odore delle mani che l'hanno prodotta, né butta il grasso delle braccia meccaniche che l'hanno assemblata. La merce sa di quello che sa. Questo odore non ha origine che sul bancone del negoziante, non ha fine che nella casa dell'acquirente.