Rivoluzione 101 per i Disorientati, decise cupo Leo, avrebbe dovuto essere il titolo del suo corso. O, peggio ancora, 050: Rivoluzione Correttiva.
Al cerchio di quad in attesa, che era sospeso attorno a lui nel modulo, si erano aggiunti gli equipaggi fuori servizio dei rimorchiatori e tutti i quad più grandi non di turno che Silver era riuscita a contattare di nascosto. Sessanta o settanta, in tutto. Il modulo dove si svolgeva la lezione era affollatissimo, e questo fece balzare la mente di Leo ai problemi di consumo di ossigeno e ai piani di riciclaggio per l’Habitat ristrutturato. L’aria era satura di tensione e ricca di anidride carbonica. Leo si rese conto che le voci si erano già sparse, e Dio solo sapeva in quale forma distorta. Era arrivato il momento di sostituire le voci con i fatti.
Silver diede il segnale di via libera, voltando tutti e quattro i pollici verso l’alto e sorridendo a Leo, mentre un ultimo quad in maglietta si affrettava a entrare. Le porte stagne si chiusero, e lei rimase fuori per fare da guardia nel corridoio.
Leo assunse la sua posizione di insegnante nel centro. Il centro, il mozzo della ruota, dove si concentrano tutte le tensioni. Dopo qualche gomitata, spinta e sussurro, tutti tacquero, ascoltandolo in un silenzio che quasi spaventava tanto era carico di attenzione. Si udiva persino il loro respiro. Avremmo bisogno di te, anche se tu non fossi un ingegnere, Leo gli aveva fatto notare Silver. Siamo troppo abituati a prendere ordini dalle persone con le gambe.
Stai dicendo che vi serve un uomo di paglia? aveva chiesto lui divertito.
Si chiama così? Lo sguardo di lei era freddamente pragmatico.
Stava diventando troppo vecchio, il suo cervello andava in corto circuito al ritmo di qualche lontana musica rock, e ritornava ai ritmi più rumorosi della sua adolescenza. Lascia che sia il tuo uomo di paglia, tesoro. Chiamami Leo. Chiamami in ogni momento, di giorno e di notte. Lascia che ti aiuti. Gettò un’occhiata alle porte stagne chiuse. L’uomo che agitava il bastone in prima fila, nella parata, guidava il corteo… o veniva spinto davanti ad esso? Ebbe la spiacevole premonizione che presto avrebbe avuto la risposta. Trasse un gran respiro e riportò la propria attenzione sui suoi studenti.
— Come alcuni di voi avranno già sentito — esordì, e le parole caddero come sassi in uno stagno ammutolito, — una nuova tecnologia per la gravità è stata sviluppata sui pianeti esterni. Pare che sia basata su una variazione delle equazioni di Necklin dei tensori di campo, le stesse che sono alla base della tecnologia che usiamo per attraversare quelle pieghe dello spazio-tempo che chiamiamo corridoi. Non sono ancora riuscito ad avere le specifiche tecniche, ma pare che sia già stata sviluppata fino allo stadio della commerciabilità. Strettamente parlando, la possibilità teorica non era certo nuova, tuttavia non mi sarei aspettato di vederne le applicazioni pratiche durante il corso della mia vita. Evidentemente non se lo aspettavano neppure coloro che hanno creato voi quad.
«C’è una strana simmetria in tutto ciò. Il balzo in avanti nell’ingegneria genetica che ha reso possibile la vostra creazione era basato sul perfezionamento di una nuova tecnologia: il simulatore uterino, sviluppato sulla Colonia Beta. Ora, solo una generazione più tardi, la nuova tecnologia che vi rende obsoleti arriva dalla stessa fonte. Perché è questo che siete diventati, ancor prima di entrare in servizio… tecnologicamente sorpassati. Almeno dal punto di vista della GalacTech. — Leo prese fiato, osservando le loro reazioni.
— Ora, quando una macchina diventa obsoleta, la scartiamo. Quando l’addestramento di un uomo è superato, lo rimandiamo a scuola. Ma la vostra obsolescenza è connaturata in voi. Si tratta di un errore crudele, o… - e si interruppe, per dare enfasi alle sue parole, — della più grande opportunità per diventare un popolo libero.
— Non… non prenderei appunti — disse con voce soffocata, quando le teste si chinarono automaticamemte sulle lavagnette, evidenziando le sue parole con le penne luminose a mano a mano che scorrevano sullo schermo. — Questa non è una lezione, è vita vera. — Dovette interrompersi un attimo per ricomporsi. Era certo che qualcuno di loro, nelle ultime file, stesse ancora sottolineando «niente appunti… vita vera» a causa di un riflesso condizionato.
Pramod, che galleggiava lì vicino, sollevò lo sguardo, con gli occhi scuri carichi di agitazione. — Leo? Circola la voce che ci porteranno tutti sul pianeta, per poi spararci addosso, come a Tony.
Leo fece un sorriso acido. — Questa è l’eventualità meno probabile. Vi porteranno sul pianeta, certo, ma per rinchiudervi in una specie di campo di concentramento. Ma è così che si perpetra un genocidio mantenendo la coscienza pulita. Un amministratore vi passerà all’altro, e così via. Diventerete una spesa di routine nell’inventario; e le spese aumenteranno, come fanno sempre. Come contromisura, gli impiegati a terra assegnati come appoggio verranno gradualmente ritirati, perché la Compagnia vi avrà definito autosufficienti. L’equipaggiamento vitale si deteriorerà con il tempo. I guasti si faranno sempre più frequenti, la manutenzione e i rifornimenti sempre più saltuari.
«Poi, una notte, senza che nessuno dia un ordine o prema un grilletto, si verificherà un guasto critico. Allora invierete una richiesta di aiuto. Nessuno però saprà chi siete. Nessuno saprà cosa fare. Quelli che vi avevano sistemati laggiù se ne saranno andati ormai da un pezzo. Nessun eroe prenderà l’iniziativa, perché lo spirito d’iniziativa sarà stato nel frattempo prosciugato da lagnanze amministrative e allusioni scoraggianti. L’ispettore incaricato delle indagini, dopo aver contato i corpi, scoprirà con sollievo che siete solo delle giacenze di magazzino. Senza rumore, si chiuderanno i libri del Progetto Cay. Finis. Chiuso. Ci vorranno vent’anni, forse solo dieci o anche cinque. Semplicemente, verrete dimenticati fino alla vostra morte.
Pramod si portò una mano alla gola, come se già sentisse gli effetti dell’aria tossica di Rodeo. — Penso che preferirei farmi sparare.
— Oppure - Leo alzò la voce, — potete prendere in mano le vostre vite. Venite con me e rischiate il tutto per tutto. Una grande scommessa per una grande ricompensa. Lasciate che vi parli — e deglutì, cercando di trovare il coraggio, facendo appello alla megalomania, perché di certo solo un maniaco avrebbe potuto portare al successo quell’impresa, — lasciate che vi parli della Terra Promessa…
CAPITOLO NONO
Leo si sporse per guardare dall’oblò del rimorchiatore la Stazione di Trasferimento che si stava rapidamente avvicinando. Maledizione. La nave passeggeri settimanale proveniente da Orient IV era già attraccata al centro della ruota. Giunta da poco, si trovava ancora nella fase di scarico, ma Leo pensò che nessuno avrebbe fatto caso a un pilota, o ex-pilota, come Ti, che fosse salito presto a bordo per curiosare.
La nave a balzo scomparve alla vista quando girarono attorno alla stazione per raggiungere il portello d’attracco assegnato alla navetta. La quad che pilotava il rimorchiatore, una ragazza dai capelli scuri e dalla carnagione ramata di nome Zara, che indossava la maglietta e i calzoncini color porpora dell’equipaggio dei rimorchiatori, allineò abilmente la propria nave e la inserì nelle ganasce del punto di atterraggio. Leo cominciò a credere ai massimi voti che ella aveva ottenuto tra i piloti di rimorchiatori, nonostante le remore per la sua giovane età di appena quindici anni.