Il debole vettore di accelerazione provocato dalla rotazione della stazione fece sentire i suoi effetti sul corpo di Leo, e il suo sedile imbottito ruotò sui giunti cardanici, portandosi nella posizione verticale stabilita. Zara lanciò a Leo un sorrisetto di sbieco, chiaramente eccitata da quella sensazione. Silver, sistemata nella cuccetta di accelerazione per i quad accanto a Zara, sembrò più dubbiosa.
Zara completò le formalità con il controllo del traffico della Stazione di Trasferimento e spense i sistemi. Leo si lasciò sfuggire un illogico sospiro di sollievo per il fatto che il controllo del traffico non avesse fatto domande sullo scopo del loro viaggio, definito con parole molto vaghe sul piano di volo: «Prelievo di materiale per l’Habitat Cay». Ma non c’era ragione perché dovessero farne. Leo non aveva superato i limiti della sua autorizzazione. Non ancora.
— Guarda, Silver — disse Zara, e lasciò cadere dalle dita una penna luminosa. Questa scivolò lentamente sulle strisce imbottite di quello che adesso era il pavimento, e rimbalzò descrivendo un aggraziato arco. La mano inferiore di Zara lo raccolse a mezz’aria.
Leo attese rassegnato che anche Silver ci provasse una volta, poi disse: — Andiamo, dobbiamo trovare Ti.
— Giusto — Silver si issò puntando le mani superiori al poggiatesta del sedile e liberando quelle inferiori, poi esitò. Leo si tolse i pantaloni grigi che aveva portato apposta con sé e la aiutò ad infilarli sulle braccia inferiori, fino all’altezza del torace. Lei agitò le mani nei pantaloni, alle prese con le estremità afflosciate. Accennò a una smorfia, sentendosi impacciata da quella massa di stoffa a cui non era abituata.
— Va bene, Silver — disse Leo, — ora le scarpe che ti sei fatta prestare da quella ragazza dell’Idroponica.
— Le ho date a Zara perché le nascondesse.
— Oh! — esclamò Zara, portandosi una delle mani superiori alla bocca.
— Che cosa c’è?
— Le ho lasciate nella stiva di carico.
— Zara!
— Mi dispiace…
Silver sospirò contro il collo di Leo. — Magari le tue scarpe, Leo — suggerì.
— Non so… — si liberò delle scarpe, e Zara aiutò Silver a farvi scivolare dentro le mani inferiori.
— Come stanno? — chiese ansiosa Silver.
Zara arriciò il naso. — Sono troppo grandi.
Leo si spostò per vedere il riflesso nel vetro dell’oblò: erano assurde. Si guardò i piedi come se non li avesse mai visti prima. Sembravano tanto assurde anche indosso a lui? Improvvisamente le calze gli parvero enormi vermi bianchi. I piedi erano appendici senza senso. — Lascia perdere le scarpe. Ridammele. Copri le mani con il fondo dei pantaloni.
— E se qualcuno mi chiede che cosa mi è successo ai piedi? — chiese preoccupata.
— Dirai che ti sono stati amputati — suggerì Leo, — a causa di un congelamento sofferto durante una vacanza nell’Antartide.
— Ma non si trova sulla Terra? E se cominciano a farmi domande sulla Terra?
— Allora io… allora li rimprovererò per la loro maleducazione. Ma la gente prova molta riluttanza a fare domande del genere. Possiamo sempre ricorrere alla storia che avevamo inventato, della tua sedia a rotelle che è andata persa e che stiamo cercando di ritrovare. Ci crederanno. Andiamo — Tornò verso di lei. — Tutti a bordo — Lei gli passò le braccia superiori intorno al collo, circondandogli i fianchi con quelle inferiori in una stretta un po’ incerta e spaventata, affidandogli tutto il nuovo e inaspettato peso del suo corpo. Il suo respiro caldo gli solleticava l’orecchio.
Leo percorse il tubo flessibile, entrando nella Stazione di Trasferimento vera e propria e si diresse verso gli ascensori che percorrevano in su e in giù tutta la lunghezza del raggio fino al bordo dove erano dislocati i cubicoli di riposo per i viaggiatori di passaggio.
Leo aspettò una cabina vuota. Questa continuava a fermarsi, facendo salire altra gente. Ebbe un attimo di paura al pensiero che Silver potesse attaccare discorso con qualcuno (avrebbe dovuto dirle di non rivolgere la parola agli estranei), ma lei mantenne un atteggiamento di timido riserbo. Il personale della Stazione di Trasferimento lanciò alcuni imbarazzanti sguardi di sottecchi, ma Leo continuò a fissare la parete con espressione gelida e nessuno tentò di rompere il silenzio.
Uscendo dall’ascensore sul bordo esterno dove la spinta di gravità raggiungeva il suo massimo livello, Leo cominciò a barcollare. Per quanto gli piacesse poco ammetterlo, tre mesi a gravità zero facevano sentire i loro effetti. Ma a mezza gravità, come adesso, i loro due pesi sommati non raggiungevano neppure il suo peso effettivo sulla Terra, osservò con decisione. Trascinando i piedi, si allontanò più in fretta che poté dal salone affollato.
Leo bussò alla porta numerata di un cubicolo. Questa si aprì e una voce maschile disse: — Sì, che cosa c’è? — Era la voce di Ti. Leo si stampò un sorriso amichevole sul viso ed entrarono.
Ti era seduto sul letto, con indosso un paio di pantaloni scuri, una maglietta e le calze, intento a guardare oziosamente un visore portatile. Leggermente irritato, sollevò lo sguardo su Leo, che non conosceva, poi spalancò gli occhi vedendo Silver. Leo la lasciò cadere senza tante cerimonie sul letto come un gatto e si infilò nell’unica sedia del cubicolo per riprendere fiato.
— Ti Gulik. Devo parlarle.
Ti era indietreggiato contro la parete, ignorando il visore che era rotolato in un angolo. — Silver! Che cosa diavolo ci fai, qui? E chi è quel tizio? — Indicò Leo con un pollice.
— L’insegnante di saldatura di Tony, il signor Graf — rispose Silver con voce melliflua. A titolo di esperimento, Silver si girò, raddrizzando il torace con le mani superiori. — Che sensazione strana — sollevò in alto le braccia, tenendosi in equilibrio su quelle inferiori, in tutto e per tutto simile a una foca su di un trespolo, pensò Leo. — Uh! — Riportò le braccia superiori sul letto per sostenersi, mettendosi carponi, con i capelli appiccicati alla testa, e tutta la sua grazia annullata dalla gravità. Non c’erano dubbi, i quad appartenevano a un solo mondo: gravità zero.
— Ci serve il suo aiuto, tenente Gulik — esordì Leo, appena ne fu in grado, — disperatamente.
— Chi rappresentate, esattamente? — chiese Ti sospettoso.
— I quad.
— Ah! — fu l’oscuro commento di Ti. — Bene, la prima cosa che voglio sottolineare è che non sono più il tenente Gulik. Sono semplicemente Ti Gulik, disoccupato, e molto probabilmente per sempre. Grazie ai quad. O almeno, a una quad. — E guardò Silver corrugando la fronte.
— Gli ho detto che non era colpa tua — disse lei, — ma non hanno voluto ascoltarmi.
— Almeno avresti potuto coprirmi — protestò Ti in tono petulante. — Quello me lo dovevi.
Dall’espressione che comparve sul viso di Silver, fu come se lui le avesse dato uno schiaffo.
— Chiuda la bocca, Gulik — ringhiò Leo. — Silver è stata drogata e torturata per poterle estorcere quella confessione. A me sembra che se ci sono debiti qui, siano dall’altra parte.
Ti arrossì. Leo trattenne la propria rabbia. Non potevano permettersi di mandare al diavolo il pilota, avevano troppo bisogno di lui. E poi, quella conversazione non stava andando come Leo se l’era immaginata. Ti avrebbe dovuto fare follie per gli occhi splendenti di Silver, la psicologia della compensazione e tutto il resto… sicuramente non sarebbe rimasto insensibile a un appello per il bene di Silver. Se il giovane mascalzone non la apprezzava, allora non la meritava… Leo si costrinse a riportare la mente alle faccende urgenti.
— Ha sentito parlare della nuova tecnologia del campo di gravità artificiale?
— Sì, ho sentito qualcosa — ammise Ti, cauto.
— Be’, ha decretato la fine il Progetto Cay. La GalacTech sta mollando il programma dei quad.