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— Avrete quasi ventiquattro ore per stabilire un piano di attacco, accelerando fino a gravità uno per metà del viaggio e poi rallentando per il resto del tragitto. Silver si affiderà alla conoscenza che lei possiede delle supernavi. Abbiamo già discusso vari sistemi per sfruttare il fattore sorpresa, e Silver la metterà al corrente.

— Oh, viene anche lei?

— Silver — lo informò gentilmente Leo, — ha il comando.

Il viso di Ti passò attraverso tutta una serie di espressioni, fissandosi infine sull’incredulità. — Tutto a monte. Faccio ancora in tempo a tornare indietro e prendere la mia nave…

— E quella - lo prevenne Leo, — è precisamente la ragione per cui Silver è al comando. La cattura dell’astronave da carico sarà il segnale della sollevazione dei quad qui sull’Habitat. E quella sollevazione sarà anche la loro sentenza di morte. Quando la GalacTech scoprirà di non controllare più i quad, si spaventerà al punto di tentare di sterminarli tutti con un’azione di forza: la fuga deve essere assicurata prima di fare la prima mossa. La nave che dovete catturare è da quella parte. — E Leo indicò con la mano. — E posso fare affidamento su Silver perché se ne ricordi. Lei — e fece un piccolo sorriso, — non è peggiore degli altri.

A quelle parole Ti si arrese, anche se a malincuore.

Silver, Zara, Siggy, un quad particolarmente robusto di nome Jon che indossava la divisa dell’equipaggio dei rimorchiatori, e infine Ti. Cinque persone pigiate in una nave che era stata costruita per un equipaggio di due, e comunque non progettata per passarci una notte. Leo sospirò. Le supernavi portavano due persone, un pilota e un meccanico. Cinque contro due non era male, ma Leo avrebbe voluto poter aumentare ancora di più le probabilità in favore dei quad.

In fila indiana, percorsero il tubo flessibile per entrare nel rimorchiatore. Silver, che era l’ultima, si fermò per abbracciare Pramod e Claire che erano rimasti per vederli partire.

— Riavremo Andy — mormorò a Claire, — vedrai.

Claire annuì e la abbracciò con forza.

Poi Silver si voltò verso Leo, che stava fissando con aria dubbiosa il tubo in cui erano entrate le sue reclute.

— Pensavo che i quad sarebbero stati il punto debole di questa operazione di sequestro — commentò con aria nervosa Leo, — ma ora non ne sono più così sicuro. Non lasciarti mettere i piedi in testa da Ti, eh, Silver? Non lasciare che ti scoraggi. Dovete farcela.

— Lo so. Ci proverò, Leo… perché hai pensato che Ti fosse innamorato di me?

— Non so… eravate così intimi… forse è stato il potere della suggestione, tutti quei romanzi.

— Ti non legge romanzi, lui legge I Ninja delle Stelle Gemelle.

— Tu non eri innamorata di lui? Al principio, almeno?

Lei corrugò la fronte. — Era eccitante infrangere le regole insieme a lui. Ma Ti è… be’, è Ti. L’amore che leggi nei libri… ho sempre saputo che non era davvero reale. Quando mi guardavo in giro, e osservavo i terricoli, nessuno era così. Immagino di essere stata stupida ad amare tanto quelle storie.

— Immagino che non siano realistiche… nemmeno io le ho lette, a dire la verità. Ma non è stupido desiderare qualcosa di meglio, Silver.

— Meglio di che cosa?

Meglio che essere sfruttati da una massa di sciacalli egocentrici e muniti di gambe, ecco che cosa. Non siamo tutti così… vero? Perché, dopotutto, si sentiva spinto proprio ora a scaricarle quel fardello sulle spalle, proprio nel momento in cui lei aveva bisogno di tutta la concentrazione per il difficile compito che l’attendeva? Leo scosse il capo. — In ogni caso, cerca anche di evitare che Ti confonda il suo Ninja vattelapesca con quello che state tentando di fare.

— Credo che nemmeno Ti potrebbe confondere una nave della Compagnia con la Lega Nera di Eridani — disse Silver.

Leo avrebbe desiderato che la sua risposta avesse un tono più sicuro. — Be’… — si schiarì la gola, chissà perché sentendosi imbarazzato, — fai attenzione. Non farti male.

— Fai attenzione anche tu. — Non lo abbracciò, come aveva fatto con Pramod e Claire.

— Va bene.

E non pensare mai, le gridò mentalmente, mentre lei scompariva nel tubo flessibile, che nessuno possa amarti, Silver… ma era troppo tardi per esprimere ad alta voce quelle parole. Il portello stagno si richiuse con un sibilo, che parve quasi un sospiro di rimpianto.

CAPITOLO DECIMO

La stazione per il carico dei traghetti mercantili era gelida. Claire si sfregò tutte le mani per scaldarle. Solo le mani erano fredde, perché il suo cuore batteva, ardente di aspettativa e timore. Gettò un’occhiata a Leo, che galleggiava apparentemente imperturbabile come sempre accanto al portello stagno.

— Grazie per avermi levata dal turno di lavoro e portata qui ad aspettare l’arrivo di Tony — disse Claire. — Sei sicuro che non avrai guai, quando lo scoprirà Van Atta?

— E chi dovrebbe dirglielo? — disse Leo. — E poi penso che Bruce si stia stufando di tormentarti. Tutto è così futile, il che va a nostro vantaggio. Comunque anch’io voglio parlare con Tony, e immagino che avrò più probabilità di ottenere la sua attenzione dopo che vi sarete scambiati baci e abbracci. — Le rivolse un sorriso rassicurante.

— Chissà in che condizioni si trova?

— Stai tranquilla che di certo si sente molto meglio, altrimenti il dottor Minchenko non lo avrebbe sottoposto al disagio del viaggio, anche solo per poterlo tenere d’occhio di persona.

Un tonfo e il ronzio stridente dei macchinari suggerirono a Claire che la navetta era attraccata, agganciandosi alle ganasce. Tese le mani e poi le ritrasse, con un gesto inconscio. Il quad nella cabina di controllo fece un cenno agli altri due che si trovavano nella stiva ed essi collegarono i tubi flessibili, sigillandoli. Il tubo riservato al personale fu il primo ad aprirsi, e il meccanico della navetta cacciò fuori la testa per controllare, poi rientrò, scomparendo alla vista. Claire aveva il cuore oppresso e la gola secca.

Alla fine comparve il dottor Minchenko, che rimase sospeso per un attimo, aggrappandosi a un appiglio accanto al portello. Un uomo vigoroso, con la pelle simile al cuoio, e i capelli bianchi come la divisa del servizio medico della GalacTech che indossava in quel momento. Era stato un uomo imponente, ma ora il suo corpo aveva un po’ l’aspetto di un frutto rinsecchito, per quanto fosse in ottima salute. Claire aveva l’impressione che sarebbe bastato reidratarlo per farlo tornare come prima.

Il dottor Minchenko si staccò dall’appiglio e attraversò la stiva, dirigendosi verso di loro e atterrando con molta precisione accanto alle maniglie disposte intorno alle porte stagne. — Oh, salve, Claire — disse in tono sorpreso. — E, ah… Graf — lo salutò con scarsa cordialità. — Giusto lei. Lasci che le dica che non mi piace per niente ricevere pressioni per autorizzare la violazione di precise disposizioni mediche. Per tutta la durata della proroga lei dovrà passare il doppio del tempo in palestra, mi ha capito?

— Sì, dottor Minchenko, grazie — rispose prontamente Leo, che per quello che ne sapeva Claire, in quei giorni non metteva neppure piede in palestra. — Dov’è Tony? Vuole che l’aiutiamo a portarlo in infermeria?

— Ah… capisco — disse guardando attentamente Claire. — Tony non è con me, cara, è ancora giù in ospedale.

Claire trattenne un moto di sorpresa. — Oh, no… è peggiorato?

— Niente affatto. Io avevo tutte le intenzioni di portarlo con me. A parer mio, gli serve l’assenza di peso per completare la guarigione. Il problema è… uhm… amministrativo, non medico. E sto proprio andando a risolverlo.