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— Oh! Ma cosa possiamo fare?

— Devono essere recise.

Pramod strinse le labbra preoccupato. — Questo rallenterà le cose.

— Già. E dovremo anche avere un sistema di ripiego per riagganciare tutti i collegamenti nella nuova configurazione… ci serviranno altre ganasce o qualcosa che si possa usare allo scopo. Vai a radunare tutta la tua squadra fuori servizio. Faremo una riunione d’emergenza.

Leo si fermò, chiedendosi dapprima se sarebbe sopravvissuto alla Grande Ribellione, mentre poi cominciò a chiedersi se sarebbe sopravvissuto fino alla Grande Ribellione. Pregò con fervore perché almeno a Silver le cose andassero un po’ meglio.

Dal canto suo, Silver sperava ardentemente che le cose a Leo andassero meglio che a lei.

Si rigirò nella cuccetta di accelerazione, sempre più a disagio dopo le prime otto ore di volo, e appoggiò la guancia sull’imbottitura per osservare il suo equipaggio, ammassato nella cabina del rimorchiatore. Gli altri quad erano abbattuti e provati come lei; solo Ti sembrava a suo agio nell’accelerazione costante, con i piedi sollevati e la schiena appoggiata all’indietro nel sedile.

— Ho visto quel grandioso olovideo — Siggy agitò entusiasta un po’ di mani, — sì, quello con la scena d’abbordaggio. I marines usavano le mine magnetiche per bucare come un formaggio svizzero i fianchi dell’astronave madre e poi si precipitavano dentro. — Aggiunse un ululato micidiale a mo’ di colonna sonora. — Gli alieni scappavano da tutte le parti e poi oggetti di ogni tipo venivano risucchiati insieme all’aria nel vuoto…

— L’ho visto anch’io — disse Ti, — Distruzione nel Covo, giusto?

— Ce l’hai procurato tu — gli ricordò Silver.

— Lo sapevi che c’è un seguito? — disse Ti rivolto a Siggy: — La vendetta del Covo.

— No, davvero? Pensi…

— Prima di tutto — disse Silver, — nessuno ha ancora scoperto creature aliene intelligenti, ostili o no, e in secondo luogo, noi non abbiamo mine magnetiche, grazie al cielo, e, in terzo luogo, non credo che Ti voglia vedere bucherellati i fianchi della sua nave.

— Be’, no — ammise Ti.

— Entreremo attraverso il portello — proseguì Silver in tono fermo, — che è stato progettato proprio a questo scopo. Penso che l’equipaggio dell’astronave sarà già abbastanza spaventato quando li infileremo tutti quanti nella capsula di salvataggio e la lanceremo, senza bisogno di terrorizzarli a morte con urla selvagge. Anche se nell’olovideo il colonnello Wayne ha condotto le sue truppe in battaglia con il grido dei ribelli che risuonava negli auricolari, non credo che i marines veri facciano altrettanto. Interferirebbe con le comunicazioni. — E guardò Siggy con un cipiglio severo, costringendolo a rientrare nei ranghi.

— Faremo come ha suggerito Leo — proseguì Silver, — punteremo contro di loro le saldatrici laser. Non ci conoscono e non potranno sapere se spareremo o no. — E, dopo tutto, come potevano degli sconosciuti sapere quello che neppure lei stessa sapeva? — Il che mi fa venire in mente: come sapremo quale supernave… — annaspò in cerca del termine, — tagliar fuori dal gruppo? Dovrebbe essere più facile ottenere il permesso di salire a bordo se nell’equipaggio vi fosse qualcuno che conosce bene Ti. D’altra parte, potrebbe anche essere più difficile… — si interruppe, cercando di non pensare a quella possibilità, — soprattutto se cercheranno di resistere.

— Jon potrebbe costringerli a cedere — fu il commento di Ti. — Dopo tutto, è per questo che è venuto.

Il robusto Jon gli rivolse un’occhiata afflitta. — Pensavo di essere qui come pilota di riserva del rimorchiatore. Costringili tu, se vuoi, sono amici tuoi. Io impugnerò la saldatrice.

Ti si schiarì la gola. — In ogni caso, se c’è, preferirei prendere il D771. Ma non credo che avremo molta scelta. Probabilmente non ci saranno più di due navi alla volta da questa parte del corridoio. In linea di massima, prenderemo qualunque nave che abbia appena compiuto il balzo da Orient IV, che abbia inoltre sganciato le capsule vuote e non abbia ancora cominciato a caricare quelle piene. Questo ci darà una possibilità di fuga più rapida. Non ci sono da fare grandi piani, semplicemente ci dirigiamo su quella.

— I guai — disse Silver, — cominceranno quando avranno capito che cosa abbiamo in mente di fare in realtà, e allora cercheranno di riprendere il controllo della nave.

Seguì un silenzio tetro e, per una volta, nemmeno Siggy aveva dei suggerimenti.

Leo trovò Van Atta nella palestra per i terricoli, intento a camminare con determinazione sul nastro scorrevole. Il nastro scorrevole era un congegno medico simile ad una ruota di tortura, ma al contrario. Delle cinghie dotate di molle tiravano il soggetto verso la superficie dove i suoi piedi spingevano per un’ora o più al giorno, secondo la prescrizione medica: era un esercizio studiato per rallentare, se non proprio fermare, il decondizionamento della parte inferiore del corpo e la demineralizzazione delle ossa di coloro che vivevano in assenza di peso.

A giudicare dall’espressione del viso di Van Atta, quel giorno egli stava insistendo sull’attrezzo con una notevole dose di rancore personale. Rinfocolare l’irritazione era in effetti un modo per raccogliere le energie necessarie a portare a termine quel dovere noioso ma imprescindibile. Dopo una veloce riflessione, Leo decise che era meglio tentare un approccio obliquo e casuale. Si tolse la tuta e l’attaccò alla striscia di velcro sulla parete, tenendo solo la maglietta e i pantaloncini, poi si spostò, infilandosi nelle cinghie della macchina vuota vicina a quella di Van Atta.

— Hanno lubrificato questi aggeggi con la colla? — sbuffò, aggrappandosi alle maniglie e sforzandosi di mettere in moto il nastro.

Van Atta voltò la testa, con un sorriso sardonico. — Che cosa succede, Leo? Minchenko, il mini-dittatore medico, ha forse ordinato una piccola vendetta psicologica nei suoi confronti?

— Già, qualcosa del genere… — finalmente riuscì a metterla in moto, piegando le gambe per prendere il ritmo. Era davvero fuori esercizio, negli ultimi tempi. — Gli ha parlato da quando è risalito?

— Sì. — Le gambe di Van Atta spinsero contro la macchina e gli ingranaggi risposero con un sordo ronzio.

— Gli ha già detto che cosa ne sarà del Progetto?

— Purtroppo ho dovuto farlo. Avevo sperato di poterlo tenere all’oscuro fino all’ultimo, come gli altri. Minchenko è probabilmente il più arrogante fra quelli della Vecchia Guardia di Cay; non ha mai fatto mistero che sarebbe dovuto toccare a lui succedergli come responsabile del progetto, invece di nominare un estraneo, e cioè me. Se non andasse in pensione tra un anno, avrei già fatto dei passi per liberarmi di lui prima che accadesse questo.

— Ha per caso, ehm, sollevato obiezioni?

— Vuol dire se ha ululato come un maiale ferito? Può scommetterci. Si è comportato come se io fossi responsabile dell’invenzione di quella maledetta gravità artificiale. Non ho bisogno di questa cretinata. — Il nastro scorrevole di Van Atta gemette, come se stesse rispondendo alla sue parole.

— Se è nel Progetto fin dall’inizio, allora penso che i quad rappresentino il suo lavoro di tutta una vita — fu il ragionevole commento di Leo.

— Mmm — Van Atta riprese a marciare. — Non gli dà però il diritto di comportarsi in quel modo; persino lei, alla fine, ha dimostrato più buon senso. Se non dà segni di voler assumere un atteggiamento di maggior collaborazione dopo che avrà avuto la possibilità di calmarsi e riflettere sull’inutilità della cosa, allora sarebbe meglio prolungare il turno di Curry e rimandare a terra Minchenko.