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Prese accuratamente la mira con il laser ottico, ma poi si fermò un attimo in preda all’ansia. Tante cose potevano andare male… aveva controllato e ricontrollato più volte, ma poi viene il momento in cui si devono abbandonare tutti i dubbi e passare all’azione. Si raccomandò a Dio e premette il bottone.

Un lampo muto e brillante, una nuvola di vapore ribollente, e la forma di ghiaccio esplose in mille frammenti che schizzarono in ogni direzione. L’effetto era davvero affascinante. Con uno sforzo, Leo distolse lo sguardo e abbassò in fretta la testa dietro il modulo. Sulla retina continuava a danzare l’immagine color verde e magenta. Le mani ricoperte dai guanti, che erano appoggiate sul rivestimento del modulo, percepirono delle forti vibrazioni quando dei cubi di ghiaccio lanciati a tutta velocità andarono a cozzare contro l’altro lato del modulo e rimbalzarono nello spazio.

Leo rimase piegato in due per qualche istante, fissando Rodeo, ma senza vederlo. — Adesso ho paura di guardare.

Pramod accese i jet e girò intorno al modulo. — È tutto d’un pezzo, comunque. Sta roteando, è difficile vedere quale forma abbia.

Leo inspirò. — Andiamo a prenderlo, ragazzi. E vediamo com’è.

Ci vollero pochi minuti per catturare il pezzo. Leo si rifiutava di chiamarlo «riflettore di vortice», perché infatti poteva ancora rivelarsi un pezzo di metallo inservibile. I quad fecero scorrere i vari rivelatori sulla superficie grigia ricurva.

— Non trovo fratture, Leo — disse Pramod ansimando. — In alcuni punti è troppo spesso di qualche millimetro, ma in nessun punto è troppo sottile.

— Lo spessore possiamo eliminarlo durante la lucidatura finale col laser. Se fosse troppo sottile, non potremmo porvi rimedio, preferisco che sia spesso — rispose Leo.

Bobbi passò e ripassò il laser ottico sulla superficie curva, controllando le letture che apparivano sul display. — È nei parametri! Leo, è nei parametri! Ce l’abbiamo fatta!

Lo stomaco di Leo sembrava un ammasso di cera sciolta. Esalò un lungo e stanchissimo sospiro di felicità. — Va bene, ragazzi, portiamolo dentro. Al… al… dannazione, non possiamo continuare a chiamarlo Riconfigurazione D-620-Habitat.

— Ah, no di certo.

— E allora che nome gli diamo? — Un ventaglio di possibili definizioni guizzò nella mente di Leo:… L’Arca… La Stella della Libertà… La Follia di Graf…

— Casa — disse Tony dopo un momento, — andiamo a casa, Leo.

— Casa. — Leo soppesò quel nome sulla punta della lingua: aveva un sapore gradevole, anzi un ottimo sapore. Pramod accennò di sì e Bobbi batté sul casco salutando la scelta.

Leo ammiccò. Senza dubbio era qualche irritante vapore infiltratosi nella tuta che gli faceva lacrimare gli occhi e gli opprimeva il petto. — Sì, ragazzi, portiamo a casa il nostro riflettore di vortice.

Bruce Van Atta si fermò nel corridoio antistante l’ufficio di Chalopin al Porto Tre, cercando di riprendere fiato e di controllare il tremito che lo scuoteva. Sentiva anche una fitta in un fianco. Non sarebbe stato per nulla sorpreso se tutto quel pasticcio gli avesse fatto venire un’ulcera. Il recente fiasco sul lago asciutto lo aveva mandato su tutte le furie. Preparare la strada per lasciare poi che dei subordinati combinassero pasticci e rovinassero tutto… era assolutamente esasperante.

Era stato un puro caso che, dopo essere ritornato nel suo alloggio a terra per una doccia e un meritato riposo, si fosse svegliato per andare in bagno e avesse chiamato il Porto Tre per avere notizie. Altrimenti non avrebbe neppure saputo dell’atterraggio della navetta! Anticipando la mossa seguente di Graf, si era vestito in gran fretta e si era precipitato all’ospedale; se fosse arrivato solo qualche istante prima avrebbe potuto intrappolare Minchenko.

Aveva già strapazzato a dovere il pilota dell’elijet, rivoltandolo come un calzino per la sua pavidità che gli aveva impedito di bloccare il decollo della navetta, e poi per essere arrivato in ritardo al lago. Il pilota, rosso in viso, aveva stretto la mascella e i pugni ma non aveva replicato, senza dubbio perché si vergognava profondamente di se stesso. Ma il vero fallimento era imputabile alle alte sfere… proprio dietro le porte di quell’ufficio. Picchiò sui comandi e le porte scivolarono di lato.

Chalopin, il capitano della Sicurezza Bannerji, e la dottoressa Yei erano chini sull’oloschermo del computer di Chalopin. Il capitano stava indicando qualcosa con un dito. — Possiamo entrare qui. Ma quanta resistenza incontreremo?

— Certo li spaventerete a morte — disse la dottoressa.

— Uhm. Non muoio dalla voglia di chiedere ai miei uomini di andare lassù armati di storditori e affrontare gente disperata munita di armi molto più letali. Qual è la situazione reale di quei cosiddetti ostaggi?

— Grazie a lei — ringhiò Van Atta, — il rapporto ostaggi è ora di cinque a zero. Sono riusciti a portarsi via Tony, maledizione a loro. Perché non ha predisposto una sorveglianza ventisette ore su ventisette a quel quad, come le avevo chiesto? Avremmo dovuto sorvegliare anche la signora Minchenko.

Chalopin sollevò la testa e gli rivolse uno sguardo privo di espressione. — Signor Van Atta, mi sembra che lei abbia le idee confuse sul numero delle mie forze di sicurezza, qui. Io ho solo dieci uomini per coprire tre turni, sette giorni la settimana.

— Più altri dieci provenienti da ciascuno degli altri due porti, che fanno trenta. Adeguatamente armati, sarebbero una consistente forza d’attacco.

— Ho già preso in prestito sei uomini dagli altri due porti per svolgere le nostre operazioni normali, mentre tutte le mie forze si dedicano a quest’operazione.

— Perché non li ha impiegati tutti?

— Signor Van Atta, la Rodeo Operazioni è una grossa compagnia, ma una città molto piccola. Ci sono non meno di diecimila impiegati della GalacTech più un ugual numero di impiegati che non sono alle dipendenze della GalacTech. La mia Sicurezza è una forza di polizia, ma non militare. Devono svolgere le loro normali funzioni, agire come squadre di emergenza, ricerca e salvataggio ed essere pronti ad assistere il Controllo Incendi.

— Maledizione… Con la faccenda di Tony vi avevo aperto uno spiraglio: perché non l’avete seguito attaccando subito l’Habitat?

— Avevo una forza di otto uomini pronta ad andare lassù — disse acida Chalopin, — dietro sua assicurazione che una parte dei suoi quad avrebbero collaborato. Ma non siamo stati in grado di aver conferma di questa collaborazione dall’Habitat. Sono immediatamente tornati al silenzio radio. Poi abbiamo individuato la nostra navetta trasporto che tornava, per cui abbiamo inviato una forza a catturarla… prima un veicolo e poi, come lei stesso ha chiesto a gran voce non più di due ore fa, un elijet.

— Bene, rimettetela insieme e speditela in orbita, maledizione!

— In primo luogo, lei ha lasciato tre di loro sul lago — fece notare Bannerji. — Il sergente Fors ha appena fatto rapporto, sostenendo che il loro veicolo era stato distrutto. Stanno tornando con il fuoristrada abbandonato della signora Minchenko. E in secondo luogo, come più volte ha fatto notare la dottoressa Yei, non abbiamo ancora ricevuto l’autorizzazione per un attacco armato.

— Avrete di certo qualche clausola riguardante la necessità di un inseguimento immediato — ribatté Van Atta. — Quello - e indicò verso l’alto, riferendosi agli avvenimenti in corso in orbita attorno a Rodeo, — è un furto su vasta scala, a dir poco. E non dimenticate che hanno già sparato a un dipendente della GalacTech!

— Non ho trascurato la cosa — mormorò Bannerji.

— Ma — intervenne la dottoressa Yei, — poiché abbiamo chiesto al Quartier Generale l’autorizzazione per usare la forza, ora siamo obbligati ad attendere una risposta. E se, dopo tutto, ci negassero l’autorizzazione?