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I risultati, nelle applicazioni della civiltà lithiana, erano peculiari, agli occhi di un Terrestre. Quegli esseri simili a rettili alti quattro metri, o quasi, avevano costruito numerosi generatori elettrostatici di grandi dimensioni, e miriadi di piccoli, ma non avevano nulla che assomigliasse da vicino o da lontano a un telefono. Sapevano molte cose, dal punto di vista pratico, sull’elettrolisi, ma trasportare una corrente a grande distanza (anche un chilometro e mezzo) sembrava loro un vero prodigio tecnico. Non avevano motori elettrici, secondo l’accezione terrestre, ma erano capaci di eseguire voli intercontinentali con apparecchi a reazione azionati dall’elettricità statica. Cleaver sosteneva di capire come fosse possibile realizzare na simile impresa, ma Ruiz-Sanchez non lo capiva davvero, e dopo la descrizione fattagli da Cleaver (plasma elettroionici riscaldati da induzione a radio-frequenza) si era accorto di essere più all’oscuro di prima.

Possedevano una rete meravigliosa di radiotrasmittenti, che, tra l’altro, forniva al pianeta intero un sistema di navigazione «viva» imperniato (e qui stava forse la prova più impressionante del genio lithiano per il paradosso) su di un albero. Tuttavia, non erano mai riusciti a produrre una normale valvola termoionica, e la loro teoria atomica non andava più in là di quel che fosse stata la teoria atomica di Democrito!

Questi paradossi naturalmente si spiegavano in parte con la mancanza su Lithia di certe materie. Come ogni altra grande massa in rotazione, Lithia aveva un suo campo magnetico, ma un pianeta quasi del tutto privo di ferro non offre ai suoi abitanti le migliori condizioni per giungere alla scoperta del magnetismo. La radioattività era praticamente sconosciuta su Lithia fino all’arrivo dei terrestri, cosa che spiegava la pochezza delle sue teorie atomiche. Come i Greci, i Lithiani avevano scoperto che la frizione di un pezzo di seta contro un altro di vetro produce una specie di energia o carica, e la frizione della seta con l’ambra un’altra. A partire da questo punto, erano arrivati ai generatori Van de Graaf, all’elettrochimica e al motore a reazione basato sull’elettricità statica, ma senza materiali adatti erano stati incapaci di creare accumulatori al piombo, o di far più che studiare l’elettricità in movimento.

Nei campi in cui avevano beneficiato di indizi sufficienti avevano compiuto enormi progressi. Malgrado la costante nebulosità del cielo e la continua acquerugiola, la loro astronomia descrittiva era notevole, grazie alla presenza di una piccola luna che aveva attirato la loro attenzione verso lo spazio. Ciò a sua volta aveva permesso di fare progressi considerevoli nel campo dell’ottica e, per conseguenza, di acquistare una prodigiosa specializzazione nell’arte di lavorare il vetro. La loro chimica aveva tratto pieno vantaggio tanto dagli oceani quanto dalle giungle. Dagli oceani estraevano prodotti vari, come l’agar, lo iodio, sali metallici e numerose forme di sostanze commestibili. Le giungle, poi, fornivano quasi ogni altra cosa di cui abbisognassero: resine, caucciù, legname d’ogni grado di durezza, oli commestibili e industriali, grassi vegetali, corde e altre fibre, noci e frutti d’ogni genere, tannino, tinture, medicamenti, sughero, carta. Il solo prodotto della foresta che essi non utilizzassero era la selvaggina, e per ragioni difficili a comprendersi. A Padre Ruiz-Sanchez, il motivo era parso essere religioso, ma i Lithiani non avevano religione alcuna e si nutrivano di numerose creature marine senza il minimo scrupolo di coscienza.

Con un sospiro, il Gesuita si lasciò cadere la tuta sulle ginocchia, sebbene il dente dalla forma di pop-corn non avesse ancora ritrovato, dopo un certo lavoro di forbici, il suo aspetto primitivo. Fuori, nell’oscurità densa di umidità, Lithia dava il suo concerto notturno. Era un brusio vivo, fresco, insolito, che occupava quasi tutto lo spettro sonoro che un Terrestre potesse udire. Proveniva dalle miriadi d’insetti del pianeta. Molti di questi emettevano suoni trillanti, armoniosi, un po’ come il cinguettio degli uccelli. Cosa fortunata, in un certo senso, dato che su Lithia non esistevano uccelli.

Ruiz-Sanchez si chiese se il Paradiso Terrestre non avesse echeggiato di suoni come quelli, prima che lo spirito del male si diffondesse sul mondo. In verità, il suo Perù natio non cantava una simile canzone…

I dubbi di coscienza: questo era, in definitiva, il suo vero lavoro, più che non i labirinti della biologia sistematica, che già erano intricati in modo quasi insolubile sulla Terra, ancor prima che fosse giunto il volo interstellare ad aggiungere con ogni nuovo pianeta un nuovo strato di labirinti, e una nuova dimensione di labirinti con ogni nuova stella. Sì, era interessante sapere che i Lithiani erano bipedi discendenti da una specie affine ai rettili terrestri, muniti di marsupi e di un sistema circolatorio pteropside; ma era vitale che avessero dubbi di coscienza, sempre che ne avessero.

Il suo sguardo cadde sul calendario. Era un calendario «artistico» che Cleaver aveva tratto dal suo bagaglio appena arrivato su Lithia; e la ragazza seminuda che lo illustrava era divenuta pudica senza averne l’intenzione, sotto le grandi macchie di umidità arancione. Segnava la data del 19 aprile 2049. Quasi Pasqua… e ciò costituiva il modo più adatto per ricordargli come, rispetto alla vita interiore, il corpo fosse soltanto un abito. Ma per Ruiz-Sanchez, personalmente, anche l’anno era altrettanto importante perché l’anno successivo, il 2050, sarebbe stato un Anno Santo.

La Chiesa aveva ristabilito l’antico costume (riconosciuto per la prima volta ufficialmente nel 1300 dal pontefice Bonifacio III) di proclamare il Grande Perdono una volta ogni mezzo secolo. Se Ruiz-Sanchez non avesse potuto trovarsi a Roma l’anno seguente, quando si fosse aperta la Sacra Porta, non l’avrebbe vista aprirsi mai più in vita sua.

Sbrigati, sbrigati! gli mormorava all’orecchio un suo demonietto personale. O si trattava della voce della sua coscienza? Erano dunque così pesanti i suoi peccati (peccati ch’egli ancora non conosceva) da condurlo al mortale bisogno del pellegrinaggio? O si trattava, viceversa, di una tentazione, veniale, a peccare d’orgoglio?

Fosse come fosse, non poteva affrettare troppo il suo lavoro. Era venuto con gli altri tre uomini su Lithia per stabilire se il pianeta fosse adatto come scalo della Terra, senza il rischio di effetti dannosi tanto per i terrestri quanto per i Lithiani. Gli altri tre membri della Commissione erano fondamentalmente degli scienziati, come lo era Ruiz-Sanchez; ma lui sapeva che in definitiva la sua decisione sarebbe dipesa più dalla sua coscienza che dalle classificazioni biologiche.

E, come la creazione, la coscienza non può fare le cose in fretta.

Non la si può nemmeno pianificare in base a orari e progetti.

Abbassò lo sguardo sulla tuta ancora da riparare, con aria turbata, e rimase così fino al momento in cui udì Cleaver gemere fioco. Poi si alzò e lasciò la stanza alle fiammelle sulla parete, che sibilavano piano.

CAPITOLO SECONDO

Dalla finestra, ovale, posta sulla facciata della casa dove Cleaver e Ruiz-Sanchez erano sistemati, si vedeva il terreno allontanarsi digradando con insidiosa dolcezza verso la linea indistinta della costa meridionale della Baia Inferiore, compresa nel Golfo di Sfath. Come quasi tutte le linee costiere di Lithia, il terreno era costituito in massima parte da acquitrini salmastri. Con l’alta marea la pianura era ricoperta fino a mezza via dalla casa da circa un metro d’acqua. A marea bassa, come quella sera, la sinfonia della giungla era accresciuta dai lugubri latrati di una sorta di pesci polmonati o dipnoi, spesso a gruppi d’una ventina per volta. Occasionalmente quando la piccola luna appariva piena nel cielo e le luci della città erano particolarmente fulgide, si poteva vedere la sagoma saltellante di qualche anfibio o il procedere sinuoso di un coccodrillo lithiano all’inseguimento di una preda più veloce di lui, ma che nondimeno sarebbe riuscito a catturare, prima o poi.