«Impossibile naturalmente attaccare il Conte che non era informato di nulla. (A proposito, avete letto l’ultimo articolo di "H.O. Petard"? Molto notevole: grazie a una modifica alle equazioni di Haertel egli dimostra che è possibile vedere aggirando il normale spaziotempo, oltre che viaggiare. Teoricamente si potrebbe fotografare una stella e ottenere un’immagine contemporanea, non vecchia di molti anni luce. Un altro colpo alle teorie del povero vecchio Einstein.) Ma non è già più Procuratore di Canarsie, e se non strapperà in tempo i suoi quattrini dalle mani della Contessa finirà per ritrovarsi nei panni comuni di un troglodita medio. E per il momento nessuno sa dove si trovi e a meno che non abbia già letto i giornali è ormai troppo tardi perché egli possa intraprendere un’azione decisiva. In ogni caso, che egli agisca o non agisca, la Contessa resterà "persona non grata" nel suo ambiente fino al suo ultimo giorno di vita.
«Anche ora, sono incapace di decidere se Egtverchi abbia agito intenzionalmente o se tutto ciò non sia stato che un incidente causato da un eccesso d’impulsività. Egli annuncia che la settimana prossima risponderà agli attacchi dei giornali parlando alla televisione (questa settimana nessuno può vederlo, per ragioni che egli si rifiuta di render note) ma non vedo che cosa potrà dire che gli faccia recuperare una frazione minima della benevolenza di cui godeva prima della festa. È già parzialmente convinto che le leggi terrestri non sono che capricci istituzionalizzati, e il suo pubblico è composto per buona metà di bambini!
«Vorrei che foste il tipo d’uomo solito dire: "Ve l’avevo detto!" Avrei almeno la malinconica consolazione di assentire. Ma è troppo tardi ormai, per tutto questo. Se avete un po’ di tempo libero, scrivetemi, vi prego, per consigliarmi e inviate una lettera espresso. Siamo nei guai fino al collo.
Mike
«P.S. Liu e io ci siamo sposati ieri. Prima di quanto avessimo deciso, ma entrambi abbiamo sentito una inspiegabile necessità di far presto, un’urgenza disperata. Come se qualche evento d’importanza cruciale stesse per verificarsi. Penso che qualcosa infatti stia per accadere. Ma che cosa? Scrivetemi, vi prego. M.»
Ruiz-Sanchez emise un gemito involontario, attirando su di sé gli sguardi distratti dei suoi compagni di viaggio: un polacco con una giubba di pelle di montone, che aveva passato la totalità del viaggio a divorare un formaggio mostruoso e graveolente, un barbuto vedantista hollywoodiano in sandali e tunica di iuta, le cui occupazioni a Roma in un Anno Santo sembravano almeno problematiche.
Il Gesuita chiuse gli occhi per non vederli. Il sole splendeva con un fulgore quasi intollerabile. E dire che Mike perfino la mattina delle nozze non aveva cessato di pensare a quei problemi! Non c’era da stupire che la sua lettera fosse così difficile a leggersi. Riaprì gli occhi: per un attimo vide un boschetto d’olivi fuggire dietro le colline di terra bruciata che si stagliavano sul cielo di un azzurro incredibilmente luminoso. Poi bruscamente, le colline si ammassarono per incombere sopra di lbro, e poi con un fischio il treno si avventò entro una galleria.
Ruiz riprese le lettera, ma le zampe di gallina si confusero penosamente e una fitta improvvisa gli attraversò l’occhio sinistro. Dio Onnipotente, che stesse per divenir cieco? Ma no, che assurdità! Non aveva altro che un po’ di stanchezza agli occhi. Il dolore era dovuto a un’infiammazione del seno sfenoidale sinistro, disturbo che l’aveva colpito fin dalla partenza da Lima per l’umido Nordamerica, e che si era aggravato durante la permanenza su Lithia.
Il suo guaio era la lettera di Michelis, questo era chiaro. Era inutile cercare di accusare gli occhi o la sinusite, che soltanto sostituivano quelle mani che non portavano neppure l’anfora in cui Egtverchi era stato portato al mondo. Nulla rimaneva del suo dono, se non la lettera.
E che risposta poteva dare?
Be’, soltanto ciò che Michelis, ovviamente, stava cominciando a capire da solo: che il motivo della popolarità e del comportamento di Egtverchi risiedevano nel fatto che il Lithiano era mentalmente ed emotivamente un disadattato grave. Era stato privato della normale educazione lithiana, che gli avrebbe insegnato come sia importante sopravvivere in una società essenzialmente predace. Quanto alle norme e alle credenze della Terra, non le aveva assimilate che a metà, e poi Michelis lo aveva costretto a passare direttamente dallo stato di scolaro a quello di cittadino. Ora che aveva avuto occasione di vedere con quale ipocrisia alcune di quelle norme fossero rispettate, esse, per la mentalità rigorosamente logica del Lithiano, non potevano rappresentare nulla di più d’una specie di gioco. (Anche il concetto di gioco era una sua acquisizione terrestre; su Lithia il concetto non esisteva.) Ma non aveva nessun codice morale lithiano su cui ripiegare come alternativa o rifugio, dato ch’era totalmente ignaro della civiltà lithiana, così come era ignaro dei mari, delle savane e delle giungle di Lithia.
Insomma, un bambino lupo.
Il rapido sbucò dalla galleria con la stessa violenza con cui vi era entrato; e di nuovo il bagliore del sole costrinse il Gesuita a chiudere gli occhi. Quando li riaprì, ne fu compensato dalla vista di un’estesa vigna a terrazza. Il treno doveva essere ora nei paraggi di Terracina. Tra breve, con un po’ di fortuna, Ruiz avrebbe potuto vedere il monte Circeo; ma per il momento, quelli che lo interessavano erano i vigneti.
Da quel che aveva potuto osservare finora, le regioni italiane erano molto meno interrate del resto del mondo, e gli italiani passavano in superficie una gran parte della loro esistenza. In complesso, questa situazione era stata causata dalla povertà: nel suo insieme, l’Italia non era stata abbastanza ricca per partecipare alla corsa ai Rifugi su una scala pari a quella degli Stati Uniti. C’era tuttavia un enorme Rifugio a Napoli, e quello che si stendeva nel sottosuolo di Roma era il quarto del mondo; se questo era stato scavato, lo si doveva ai fondi pervenuti da tutto il mondo occidentale, oltre che a una mano d’opera volontaria, soprattutto dopo che i primi scavi profondi avevano rivelato incredibili ricchezze archeologiche.
In parte era anche ostinazione. La popolazione italiana, la quale non aveva conosciuto altra vita che al sole e per il sole, non s’era mai convinta della necessità di trasformarsi in un popolo di talpe. E ciò aveva fatto sì che di tutte le nazioni facenti parte del Rifugio (da cui erano esclusi soltanto i paesi irrimediabilmente depressi o scarsamente popolati) l’Italia fosse la meno compiutamente interrata.
Roma doveva essere dunque la più sana, e di gran lunga, tra le capitali del mondo. Eventualità, pensò ad un tratto Ruiz-Sanchez, che nessuno avrebbe previsto, trattandosi di un complesso fondato nel 753 a.C. da un bambino lupo.
Che ciò fosse soprattutto vero per il Vaticano, il Gesuita non ne aveva mai dubitato, ma la Città del Vaticano non era Roma. Questa riflessione gli ricordò che egli doveva essere ricevuto il giorno dopo in udienza speciale dal Santo Padre, avanti la cerimonia del bacio dell’anello: prima delle dieci, dunque, e probabilmente verso le sette del mattino, dato che il Santo Padre era molto mattutino e in un anno come quello Santo doveva dare udienze quasi ventiquattr’ore su ventiquattro. Ruiz aveva avuto quasi un mese per prepararsi, perché l’ordine gli era giunto a poca distanza da quello del Collegio, di presentarsi all’Inquisizione; ma si sentiva meno preparato che mai. Si chiese da quanto tempo un Papa non esaminasse personalmente un Gesuita caduto in una palese eresia, e che cosa avesse potuto dire il reo; senza dubbio la trascrizione era conservata nel Vaticano, così com’era stata scritta da qualche cerimoniere papale (assiduo come sempre nel suo dovere verso la storia, come tutti i suoi predecessori) ma Ruiz non avrebbe certamente avuto il tempo di leggerla.