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E tuttavia, a un tratto, ci fu una voce.

— … possente collegamento con l’Albero — disse la voce in limpido, freddo lithiano. — Con chi sono collegato? Mi sentite? Non comprendo la direzione dalla quale proviene la vostra onda portante. Parrebbe dall’interno dell’Albero, il che è impossibile. Potete sentirmi?

Silenziosamente, il conte mise un microfono in mano al Gesuita. Questo si accorse di essere tutto un tremito.

— Vi sentiamo — disse in lithiano, con voce incerta. — Noi siamo sulla Terra. Potete udirmi?

— Distintamente — rispose la voce. — Ci risulta che ciò che dite è impossibile. È vero comunque che non sempre ciò che dite è esatto, come abbiamo potuto constatare. Che cosa volete?

— Vorrei parlare a Chtexa — disse Ruiz-Sanchez. — Parla Ruiz-Sanchez, che si trovava a Xoredeshch Sfath l’anno scorso.

— Possiamo chiamarlo — disse la voce fredda e distante. Poi: — Sempre che lui desideri parlare con voi.

— Ditegli che anche suo figlio Egtverchi desidera parlargli.

— Ah — fece la voce dopo una lunga pausa. — Verrà senza dubbio, allora. Ma non potrete parlare a lungo su questa lunghezza d’onda. La direzione da cui proviene mette a repentaglio il mio equilibrio mentale. Potreste ricevere un segnale modulato dal suono, se riuscissimo a emetterne uno?

Michelis mormorò una richiesta di spiegazioni al conte, che assentì, indicando l’altoparlante.

— È con questo sistema che vi riceviamo — disse Ruiz. — E voi come trasmettete?

— Non posso spiegarvelo. Non posso ora parlarvi più a lungo, diversamente ne riceverò grave danno. Chtexa è stato chiamato.

La voce tacque e seguì un lungo silenzio. Ruiz-Sanchez si asciugò la fronte ricoperta di sudore col dorso della mano.

— Telepatia? — mormorò Michelis alle sue spalle. — No, corrisponde a qualche parte dello spettro elettromagnetico. Ma quale? Quante cose ignoriamo di quell’Albero!

Il conte fece un cenno d’assenso, malinconicamente, gli occhi fissi sui quadranti indicatori, i quali non parevano indicargli nulla ch’egli già non sapesse.

— Ruiz-Sanchez — disse l’altoparlante. Ramon sussultò. Era la voce di Chtexa, chiara e forte.

Ruiz fece un cenno verso il fondo della stanza ed Egtverchi venne avanti lentamente. C’era quasi dell’insolenza in quel suo modo di avanzare.

— Sono Ruiz-Sanchez — disse Ruiz. — Vi parlo dalla Terra: un nostro scienziato ha inventato un nuovo mezzo di comunicazione. Ho bisogno del vostro aiuto, Chtexa.

— Sarò lieto di fare tutto quanto sarà in mio potere. Mi è dispiaciuto non vedervi tornare qui con l’altro terrestre. Il vostro ex compagno, invece, non è stato affatto il benvenuto. Lui e i suoi amici hanno raso al suolo una delle nostre più belle foreste, presso Gleshchtehk Sfath, e costruito degli edifici orribili, proprio qui, nel cuore della città.

— È dispiaciuto anche a me — rispose Ruiz. La risposta era poco adeguata, ma spiegare quale fosse la vera era impossibile, e anche illegale. — Spero di poter venire un giorno. Ma ora vi ho chiamato in rapporto a vostro figlio.

Ci fu una breve interruzione, durante la quale l’altoparlante emise una serie di rumori molto anomali, irriconoscibili. Evidentemente il circuito audio dei Lithiani aveva captato dei rumori di fondo, provenienti dall’interno dell’Albero o dai suoi dintorni. La trasmissione era sorprendentemente chiara: pareva impossibile che l’Albero distasse da loro cinquanta anni luce.

— Egtverchi deve essere adulto, ormai — disse la voce di Chtexa. — E ha visto tutte le meraviglie del vostro mondo. È lì con voi?

— Sì. Ma non parla la vostra lingua, Chtexa. Tenterò di farvi da interprete — disse Ruiz-Sanchez, che aveva i sudori freddi.

— Questo è strano — osservò Chtexa. — Ma posso sempre sentire la sua voce, almeno. Domandategli quando conta di ritornare alla sua casa. Avrà molte cose da dirci.

— Io non ho casa che possa dir mia — osservò Egtverchi con indifferenza, quando Ruiz gli ebbe tradotto la domanda.

— Non posso dirgli una cosa come questa, Egtverchi. Cerca di rispondere qualche cosa d’intelligibile, in nome del Cielo. Devi la tua esistenza a Chtexa, lo sai.

— Può darsi che un giorno vada su Lithia — disse Egtverchi, gli occhi velati a tratti dalla membrana nittitante. — Ma non ho fretta. C’è ancora molto da fare sulla Terra.

— L’ho udito — disse Chtexa. — La sua voce è acuta; non è così alto come i suoi caratteri ereditari esigerebbero, a meno che non sia malato. Che cosa ha risposto?

Ruiz-Sanchez si limitò a tradurre alla lettera dall’inglese in lithiano. Non c’era tempo di riformulare la frase.

— Ha dunque cose importanti a cui provvedere — disse Chtexa. — È buono e generoso da parte della Terra. Mio figlio fa bene a non affrettarsi. Che cosa fa?

— Semino la discordia — rispose Egtverchi, dilatando il suo sorriso. Ruiz non poté tradurre la parola, dato che non esisteva il concetto corrispondente in lithiano. Dovette ricorrere a tre lunghe frasi per dare a Chtexa una vaga idea della risposta.

— Oh, ma allora è malato — osservò Chtexa. — Avreste dovuto dirmelo, Ruiz-Sanchez. Dovete rimandarcelo. Non siete in grado di curarlo in modo adeguato.

— Non è malato e non vuole abbandonare la Terra — rispose Ruiz prudentemente. — È cittadino della Terra e non possiamo andare contro la sua volontà. Ecco perché vi ho chiamato. Egli rappresenta una preoccupazione per noi, Chtexa. Ci fa del male. Avevo sperato che voi poteste ricondurlo alla ragione, noi non possiamo far nulla.

Si udirono alcune interferenze, una specie di sibilo metallico; poi scomparvero di colpo.

— Non è normale né naturale — disse Chtexa. — Voi non riconoscete la sua malattia. Nemmeno io posso diagnosticarla, ma non sono medico. Dovete mandarlo qui. M’accorgo che ho commesso un errore dandovelo. Ditegli che gli ordiniamo di ritornare in nome della Legge del Tutto.

— Non ho mai sentito parlare della Legge del Tutto — disse Egtverchi, quando queste parole gli furono tradotte. — Dubito perfino della sua esistenza. Sono io che mi faccio le mie leggi. Ditegli che mi fa pensare a Lithia come a un mondo terribilmente noioso e che se continua farò un punto d’onore per me non porvi mai piede.

— Per tutti i diavoli, Egtverchi… — intervenne Michelis con uno scoppio di voce.

— Zitto, Mike! Egtverchi, finora sei stato disposto a collaborare; almeno sei venuto con noi fin qua. Lo hai forse fatto per il gusto di offendere tuo padre, di sfidarlo? Chtexa è molto più saggio di te; perché non la smetti di comportarti come un cucciolo e non gli dai retta?

— Perché ho deciso di non dargli retta — rispose Egtverchi. — E non sarà con le moine che mi farete cambiare idea. Non sono stato io a scegliere di nascere lithiano, non ho scelto nemmeno di vivere sulla Terra, e ora che sono libero intendo prendere io le mie decisioni, senza doverne render conto a nessuno.

— Allora perché sei venuto qui?

— Sebbene non ci sia nessuna ragion perché debba spiegarlo, ve lo dirò lo stesso. Sono venuto qui per sentire la voce di mio padre. Ora, l’ho sentita. Non comprendo quello che dice e ciò che voi traducete non sembra molto sensato. Ecco tutto. Ora ditegli addio da parte mia, e che non desidero più parlargli…

— Che cosa dice? — domandò la voce di Chtexa.

— Che non riconosce la Legge del Tutto e non vuole ritornare su Lithia — rispose Ruiz nel microfono divenuto viscido nella sua palma sudata. — Mi ha incaricato anche di dirvi addio.

— Addio, dunque — disse Chtexa. — E addio anche a voi, Ruiz-Sanchez. Ho commesso un errore e ciò mi colma di tristezza; ma è troppo tardi. Può darsi che non vi parli mai più, nemmeno attraverso il vostro meraviglioso apparecchio.