Выбрать главу

«Ma perché prendersela proprio con me? Anche se mi credono, uh, sleale, non sono importante fino a questo punto.»

Il dottor Jefferson esitò, e poi disse:

«Don, non so per quanto tempo potremo parlare. Per il momento possiamo parlare liberamente, perché la sospensione dell’energia blocca loro come blocca noi. Ma non appena l’energia sarà ritornata, non potremo più parlare, e io ho molte cose da dire. Quando sarà tornata l’energia, non potremo dire una parola neppure qui.»

«Perché?»

«Il pubblico non dovrebbe saperlo, ma ciascuno dei tassi ha un microfono sistemato all’interno. La frequenza di controllo del tassi può percepire e ritrasmettere le modulazioni sonore del discorso umano senza che questo interferisca nei circuiti elettronici. Così, non appena sarà tornata l’energia, non saremo più al sicuro. Sì, lo so; è una cosa vergognosa. Non ho osato parlare nel ristorante, anche quando l’orchestra stava suonando. Avrebbero potuto piazzare nelle nostre vicinanze un microfono a isolamento acustico.

«E ora, ascoltami attentamente. Noi dobbiamo assolutamente rintracciare quel pacco che io ti ho spedito… non c’è altra scelta! Voglio che tu lo consegni a tuo padre… o meglio, quello che c’è dentro al pacco. Punto numero due: tu devi salire su quell’astronave-traghetto domattina, a ogni costo, anche se cadesse il cielo. Punto numero tre: stanotte non resterai a casa mia, dopotutto. Dolente, ma credo che sia meglio così. Numero quattro: quando tornerà l’energia, andremo un po’ in giro, come se volessimo visitare la città, senza parlare di niente in particolare, e senza mai menzionare dei nomi. Dopo un poco, farò in modo di fermarci vicino a una cabina pubblica, dalla quale potrai chiamare l’Hilton. Se il pacco è arrivato là, ci saluteremo, tu ritornerai alla stazione, prenderai le valige, e andrai subito in albergo, dove ti registrerai e ritirerai la posta. Domattina prenderai l’astronave, e lascerai definitivamente la Terra. Non devi chiamarmi. Neppure per un saluto. Hai capito bene tutto?»

«Uh, credo di sì, signore.» Don aspettò un momento, e poi non riuscì a trattenersi, «Ma perché? Forse parlo a sproposito, però mi sembra che dovrei sapere per quale motivo lo facciamo.»

«Che cosa vuoi sapere?»

«Be’… cosa c’è nel pacco?»

«Lo vedrai. Potrai aprirlo, esaminarlo, e decidere da solo. Se decidi di non consegnarlo a tuo padre, puoi farlo; la decisione spetta a te. In quanto al resto… quali sono le tue convinzioni politiche, Don?»

«Be’… non è facile dirlo, signore.»

«Uhm… nemmeno le mie erano chiare, quando avevo la tua età. Mettiamola così: sei disposto ad assecondare i tuoi genitori, almeno per il momento? Fino a quando non ti sarai formato un’opinione precisa?»

«Be’, certo!»

«Non ti è parso un po’ strano che tua madre insistesse tanto, perché tu venissi a trovarmi? Non è il momento per essere educati… So benissimo che un giovane che arriva nella grande città non va a trovare delle persone più o meno estranee per sua decisione. Ho avuto anch’io la tua età; anche se sono sempre stato un ragazzo di città, e, come posso dire, i costumi sono diversi da quelli della scuola-fattoria… ma non importa. Be’, in ogni caso… tua madre pensava certamente che fosse importante venirmi a trovare. Vero?»

«Penso di sì.»

«Vogliamo lasciare le cose a questo punto? Tu non puoi dire quello che non sai… e non potrai metterti nei guai.»

Don rifletté su quelle parole. Le parole del dottore parevano sensate, eppure era chiaramente contrario al buonsenso accettare di fare qualcosa di misterioso, senza conoscere i motivi e la situazione. D’altra parte, se lui avesse ricevuto semplicemente il pacco, lo avrebbe certamente consegnato ai suoi genitori, senza neppure pensarci troppo. La situazione era cambiata, ma la realtà restava.

Stava per fare delle altre domande, quando le luci tornarono, e la piccola automobile cominciò a ronzare. Il dottor Jefferson disse:

«Ecco qua; si va, finalmente!» si piegò sulla tastiera di comando, e formò rapidamente un codice di destinazione. Il tassi automatico si mosse. Don fece per parlare, ma il dottore scosse il capo.

L’automobile percorse numerose gallerie, scese una rampa e si fermò in una grande piazza sotterranea. Il dottor Jefferson pagò l’importo della corsa, e guidò Don attraverso la piazza, fino a un ascensore per pedoni. La piazza era gremita di gente, e si poteva avvertire la tensione frenetica di tutti, a causa dell’allarme d’incursione spaziale, anche se era stata solo una simulazione. Furono costretti ad aprirsi la strada a spintoni, attraverso una massa di persone radunate intorno a un gigantesco teleschermo pubblico, situato proprio al centro della piazza. Don fu lieto di salire a bordo dell’ascensore, benché la vasta piattaforma fosse anch’essa gremita di gente.

L’immediata destinazione di Jefferson fu un’altra fermata di tassi, in una piazza molti livelli più in alto. Salirono su un tassi, e si allontanarono; questo nuovo veicolo li condusse per diversi minuti attraverso la città, poi si fermarono, percorsero un breve tragitto, e salirono su un altro tassi. Don era completamente confuso, a questo punto, e non avrebbe più saputo dire dov’era il nord, dov’era il sud, oppure l’alto, il basso, l’est e l’ovest. Il dottore guardò il suo orologio, quando scesero dall’ultimo tassi, e disse:

«Abbiamo già passato il tempo a sufficienza. Qui, guarda.» Indicò una cabina videofonica che si trovava vicinissima.

Don entrò nella cabina, e chiamò l’Hilton. Era arrivata posta per lui? No, non era arrivata. Allora spiegò che non era registrato all’albergo, ma che aveva dato il recapito in vista del suo arrivo; l’impiegato controllò di nuovo. No… dolente, signore.

Don uscì dalla cabina, e disse al dottor Jefferson la notizia. Il dottore si mordicchiò il labbro.

«Figliolo, ho commesso un gravissimo errore di giudizio.» Si guardò intorno; nelle vicinanze non c’era nessuno. «E ho sprecato del tempo prezioso.»

«Posso fare qualcosa, signore?»

«Eh? Sì, penso di sì… ne sono certo.» Fece un’altra pausa, immerso nelle proprie riflessioni. «Torneremo nel mio appartamento. Dobbiamo farlo. Ma non rimarremo là. Troveremo qualche altro albergo… non l’Hilton… e ho paura che dovremo lavorare per tutta la notte. Te la senti?»

«Oh, certamente!»

«Io ho delle pillole antisonno; potranno servirci. Ascolta, Don, qualunque cosa succeda, tu dovrai assolutamente salire a bordo di quell’astronave, domani mattina. Capito?»

Don assentì. Lui intendeva prendere l’astronave in ogni caso, e non riusciva a scorgere alcun motivo per non farlo. Intimamente, cominciava a domandarsi se il dottor Jefferson fosse completamente a posto di cervello.

«Bene. Andremo a piedi; non è lontano.»

Mezzo miglio di galleria e una discesa a bordo di una piattaforma-ascensore li condussero all’appartamento. Quando svoltarono nella galleria che ospitava la porta dell’appartamento di Jefferson, l’uomo guardò dappertutto, furtivamente; la galleria era deserta. Attraversarono in fretta e raggiunsero la porta. Il dottore lo precedette. Aprì la porta. Due sconosciuti erano seduti tranquillamente nel soggiorno. Ciascuno occupava una poltrona posta lateralmente, rispetto alla porta.