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Quando, nel corso del suo lavoro, Don si trovò obbligato a parlare a un drago, spesso domandò se quel particolare cittadino della nazione dei draghi conoscesse o meno il suo amico ‘Sir Isaac’… usando per questi interrogatori, naturalmente, il vero nome di ‘Sir Isaac’. Scoprì che coloro che non potevano dichiarare una conoscenza personale, almeno lo conoscevano di nome; e scoprì, anche, che dichiarando di essere conoscente del drago, il suo prestigio personale veniva notevolmente accresciuto. Ma non cercò di inviare alcun messaggio a ‘Sir Isaac’; non c’era più alcuna occasione per farlo… non aveva bisogno di tentare di arrangiare un trasferimento in un’Alta Guardia che non esisteva più.

Cercò senza soste, ripetutamente, di scoprire quello che era accaduto a Isobel Costello… attraverso i profughi, attraverso i draghi, e attraverso i sempre più numerosi combattenti dell’esercito clandestino di resistenza, che potevano muoversi abbastanza liberamente da un punto all’altro del territorio. Malgrado tutti i suoi sforzi, non riuscì a trovarla. Una volta, gli dissero che era stata rinchiusa nel campo di concentramento di Promontorio Est; qualcun altro gli disse che la ragazza e suo padre erano stati deportati sulla Terra… ma non poté trovare conferma a queste voci. Così, con un senso di vuoto, di dolore, sospettò che Isobel Costello fosse stata uccisa durante il primo attacco della Federazione.

Il suo dolore era per Isobel… non per l’anello che le aveva lasciato in custodia. Aveva cercato di indovinare cosa potesse esserci, in quell’anello, di tanto importante da fare inseguire lui, Don Harvey, da un pianeta all’altro, e da renderlo così prezioso agli occhi dell’I.B.I. e perfino dello scaltro signor Bankfield. Non era riuscito a trovare una risposta plausibile, e aveva raggiunto la conclusione secondo la quale Bankfield, malgrado tutti i suoi atteggiamenti da superuomo, aveva commesso un errore; la cosa importante doveva essere stata la carta che aveva avvolto l’anello, ma l’I.B.I. era stata troppo stupida per immaginare il trucco e trovare una soluzione. Dopo qualche tempo, cessò totalmente di pensare alla faccenda; l’anello non c’era più, e quel che era stato era stato.

Dopotutto, apparteneva al passato.

In quanto ai suoi genitori che si trovavano su Marte… certo, certo, un giorno! Un giorno, quando la guerra fosse finita, e le astronavi avessero ripreso le loro rotte nel silenzio dello spazio, tra i pianeti… ora c’erano le paludi e gli acquitrini, gli arbusti e le boscaglie, le notti profonde e gli attacchi e le lunghe marce di trasferimento con l’acqua fino al ginocchio, e le sanguisughe del fango che si aggrappavano alla carne, e producevano piaghe infette… lo spazio era nascosto dietro una coltre di nubi, e non esisteva più qualcosa di simile a Circum-Terra, e Marte era lontano milioni e milioni di chilometri… sarebbe venuto il suo turno, al momento giusto, ma ora perché doveva rodersi per la preoccupazione, quando sapeva che per il momento non c’erano possibilità?

La sua compagnia si trovava, in quel periodo, disseminata sugli isolotti dell’arcipelago, a sud-sud-ovest di Nuova Londra; da tre giorni i soldati erano accampati su quattro degli isolotti, e si trattava della sosta più lunga che mai avessero fatto in un posto solo. Il continuo spostamento era una delle anni migliori a disposizione dell’esercito di resistenza.

Essendo assegnato al quartier generale, Don si trovava sulla stessa isola nella quale il capitano Marsten aveva fissato la sua residenza, e, in quel momento, era tranquillamente disteso sulla sua amaca, che aveva teso tra due tronchi, al centro di una macchia di alberi di palude.

La staffetta del quartier generale della compagnia lo trovò in quella posizione, e lo strappò bruscamente al meritato riposo… restandosene a buona distanza, e limitandosi a scuotere con forza la corda dell’amaca. Don si svegliò bruscamente e completamente, e come per magia un coltello gli balenò in mano.

«Calma!» lo avvertì la staffetta. «Il Vecchio vuole vederti.»

Don fece un suggerimento rettorico, e piuttosto scurrile, sull’uso che il capitano avrebbe dovuto fare dei suoi ordini, e scese silenziosamente dall’amaca, posando i piedi sul suolo umido. Indugiò per un momento, per arrotolare l’amaca e infilarsela in tasca… essa pesava soltanto poche decine di grammi, ed era stata pagata alla Federazione con un notevole saldo di danni e vite umane, quando Don se ne era impadronito. L’amaca veniva usata da Don con estrema prudenza; il precedente proprietario l’aveva usata con imprudenza, e ora non ne aveva più bisogno. Prima di muoversi, Don prese anche le sue armi.

Il comandante della compagnia era seduto a un tavolo da campo, sotto una tettoia naturale di foglie. Don si fermò davanti a lui, e aspettò. Finalmente Marsten sollevò il capo, e disse:

«C’è un lavoro speciale per te, Harvey. Devi partire immediatamente.»

«Un cambiamento nei piani?»

«No, tu non farai parte dell’incursione di questa notte. Un alto papavero dei draghi vuole un interprete. Tu dovrai andare da lui. Immediatamente.»

Don rifletté su quanto gli era stato detto.

«Accidenti, capitano, non vedevo l’ora che arrivasse l’assalto di questa notte. Posso partire domani… a quella gente il tempo non interessa in modo particolare; sono pazienti.»

«Basta così, soldato. Da questo momento, ti pongo in congedo; secondo il messaggio ricevuto dal quartier generale, probabilmente starai via per un bel po’ di tempo.»

Don sollevò il capo, e fissò il suo comandante con attenzione:

«Se mi viene dato l’ordine di partire, non si tratta di congedo; ma di servizio distaccato.»

«In fondo al cuore, tu sei un avvocato da mensa, Harvey.»

«Sì, signore.»

«Consegna le tue armi, e togliti i gradi; la prima parte del viaggio la farai come un garzone di una risaia in cerca di lavoro. Larsen ti trasporterà in barca. È tutto.»

«Sissignore.» Don si voltò, ma prima di andarsene aggiunse, «Buona caccia per stanotte, capitano.»

Marsten sorrise, per la prima volta:

«Grazie, Don.»

La prima parte del viaggio fu fatta attraverso un labirinto di canali così stretti e tortuosi che gli apparecchi elettronici di visione non potevano vedere più in là di quanto vedesse l’occhio umano. Don dormì per quasi tutto il tragitto, con la testa appoggiata a un sacco di semi di frumento locale. Non si preoccupava del lavoro che lo aspettava… senza dubbio l’ufficiale al quale lui doveva fare da interprete, chiunque fosse, si sarebbe presentato all’appuntamento, e gli avrebbe dato istruzioni sul da farsi.

Nelle prime ore del pomeriggio successivo, essi raggiunsero i bordi del Grande Mare del Sud, e Don fu trasferito a bordo di un ‘Vagone pazzo’, definizione che si applicava sia all’imbarcazione che all’equipaggio… un piatto disco fornito di jets, largo circa cinque metri, guidato da due giovani estroversi che non temevano né l’uomo né il fango. La parte superiore della barca era coperta da un basso cono levigato di metallo, il cui scopo era quello di riflettere le onde radar orizzontali, deviandole verso l’alto, o viceversa. Non poteva proteggere da un’osservazione dal cielo, da quella posizione a forma di cono, come il riflettore, dove il riflesso sarebbe rimbalzato direttamente alle stazioni di origine… ma in ogni caso, la barca si affidava soprattutto alla velocità.