Don rimase sdraiato sul fondo dell’imbarcazione, aggrappandosi alle apposite maniglie, e riflettendo sui superiori vantaggi del volo a bordo di razzi, mentre il ‘vagone pazzo’ rollava e scivolava e ondeggiava sulla superficie del mare. Cercò di non riflettere su quel che sarebbe accaduto se l’imbarcazione lanciata alla massima velocità avesse urtato un tronco galleggiante, o uno dei più grossi cittadini delle acque. Coprirono circa trecento chilometri in poco meno di due ore, poi l’imbarcazione, scivolando sull’acqua placida, rallentò, e si fermò.
«Fine della corsa,» annunciò il capitano. «Preparate i vostri bagagli. Pronti all’ispezione. Donne e bambini usino l’ascensore centrale.» Il coperchio antiradar si alzò.
Don si alzò in piedi, e scoprì di avere le gambe che tremavano.
«Dove siamo?»
«Dragonville-Sul-Fango. Laggiù c’è il tuo comitato di benvenuto. Attento a dove metti i piedi.»
Don cercò di vedere qualcosa, attraverso la fitta coltre di nebbia. Le parole del capitano del ‘vagone pazzo’ non parevano completamente scherzose. Gli sembrò di vedere un buon numero di draghi fermi sulla spiaggia. Scavalcò il bordo dell’imbarcazione, si trovò immerso nella fanghiglia fin quasi alla sommità degli stivali, e finalmente, percorrendo qualche passo, salì su di un terreno più solido. Dietro di lui, il ‘vagone pazzo’ abbassò il coperchio, e partì immediatamente come un proiettile, sparendo alla vista mentre ancora stava accelerando.
’Almeno, avrebbero potuto farmi un cenno di saluto’, brontolò tra sé Don, scontento come ogni buon soldato, e girando le spalle al mare nebbioso, si rivolse ai draghi.
La situazione non era come l’aveva prevista, e Don cominciava a provare una notevole perplessità. A quanto pareva, non c’erano esseri umani, nelle vicinanze, e lui non aveva ricevuto istruzioni di alcun genere. Si domandò se per caso l’ufficiale, o la personalità del governo clandestino, che si era aspettato di trovare ad accoglierlo, non fosse stato vittima di qualche incidente… avrebbe già dovuto trovarsi in quel luogo, e quando, in guerra, qualcuno non si presentava a un appuntamento, non c’erano molte alternative ottimistiche da prendere in considerazione, per dare una spiegazione.
I draghi erano sette, e si stavano muovendo verso di lui. Li guardò, e sibilò un cortese saluto, riflettendo sul fatto che tutti i draghi si assomigliavano, ed era un’ardua impresa distinguerli l’uno dall’altro. Poi il drago che si trovava proprio al centro dei sette gli parlò, in un accento inconfondibilmente albionico, un accento che Don non avrebbe mai dimenticato.
«Donald, mio caro ragazzo! Come sono felice di vederla qui! Shucks!»
CAPITOLO XIV
L’ANELLO DEL DOTTOR JEFFERSON
Don deglutì, sbarrò gli occhi, e per poco non dimenticò le buone maniere.
«Sir Isaac! Sir Isaac!» Incespicando, corse verso di lui.
Non è pratico stringere la mano a un drago, baciarlo, o abbracciarlo. Don si accontentò di battere i pugni sui fianchi corazzati di Sir Isaac, cercando, nel frattempo, di recuperare una parte del suo autocontrollo. Molte emozioni per troppo tempo soffocate lo scossero, togliendogli voce e vista a un tempo. Era il momento dei ricordi, il momento in cui gli ultimi momenti della sua vecchia vita ritornavano vividi alla memoria. Dopotutto, dall’ultima volta in cui aveva visto Sir Isaac, erano accadute molte, troppe cose. In quel momento, parevano volere esplodere tutte nella sua gola. Sir Isaac aspettò pazientemente che quel momento di emozione passasse, e poi disse:
«E ora, Donald, se posso presentarle la mia famiglia…»
Don cercò di riprendersi, si riscosse, si schiarì la gola, e inumidì il suo fischietto. Nessuno degli altri possedeva un voder; era possibile che nessuno di loro capisse l’inglese.
«Che tutti loro possano morire in maniera sublime!»
«Noi la ringraziamo.»
Una figlia, un figlio, una nipote, un nipote, una bisnipote, e un bisnipote… contando anche Sir Isaac, un benvenuto di quattro generazioni, appena una in meno del massimo protocollo dei draghi; Don si sentì sopraffatto. Sapeva che Sir Isaac gli era amico, ma decise che questo alto grado di cerimoniale doveva essere un complimento per i suoi genitori.
«Mio padre e mia Madre vi ringraziano tutti per la grande cortesia che avete usato al loro uovo.»
«Tale il primo uovo, tale l’ultimo. Siamo molto felici di averla qui, Donald.»
Un ospite drago, onorato da una scorta, avrebbe compiuto una lenta avanzata fino alla residenza della famiglia, con a fianco i componenti della famiglia. Ma una lenta avanzata di un drago è più rapida almeno del doppio di un’andatura da marciatore di un essere umano. Sir Isaac si acquattò al suolo, e disse:
«Mio caro ragazzo, che ne direbbe se io le prestassi le mie gambe? Abbiamo da percorrere una distanza considerevole.»
«Oh, posso camminare!»
«La prego… insisto.»
«Be’…»
«’Via gli ormeggi’, allora… se ricordo correttamente l’idioma.»
Don s’arrampicò a bordo, e si sistemò subito dietro l’ultimo paio di occhi a peduncolo; i peduncoli ruotarono lentamente, e gli occhi lo fissarono. Scoprì che Sir Isaac aveva avuto la cortesia di fare sistemare due anelli, nelle piastre del collo, in modo da offrirgli un supporto.
«Tutto a posto?»
«Sì, grazie!»
Il drago si rizzò di nuovo in piedi, e cominciò a camminare; al centro della processione, Don si sentì come Toomai-degli-Elefanti.
Percorsero un affollato sentiero per draghi, così antico che era impossibile stabilire se fosse stato costruito, o se si trattasse di una formazione naturale. La strada costeggiava la spiaggia per circa un miglio; passarono davanti a molti draghi al lavoro nei loro campi acquosi, poi il sentiero cambiò direzione, piegando verso l’interno. Ben presto, nelle alteterre asciutte, la processione abbandonò il traffico, entrando in una galleria. Questa galleria era decisamente frutto dell’arte, e non della natura; si trattava di una speciale galleria, nella quale il pavimento scivolava silenziosamente e rapidamente nella direzione che era seguita da chi la percorreva (a patto che colui che la percorreva fosse un drago, o pesasse quanto un drago); la loro andatura veniva moltiplicata per un fattore considerevole. Si trattava di una brillante prova dell’ingegno della razza dominante di Venere, e si trattava anche di una notevole comodità, che già Don aveva potuto controllare in più occasioni, nei suoi rapporti con le creature venusiane. Don non fu in grado di valutare la reale velocità della loro avanzata, né la misura della distanza percorsa.
Finalmente giunsero in un vasto salone, vastissimo anche per i criteri di valutazione dei draghi; il pavimento mobile si mescolò al pavimento solido del salone, senza che fosse possibile discernere la transizione, e si fermò. Un attimo prima essi avevano continuato ad avanzare in quella specie di fluido fiume di pietra; un attimo dopo si trovarono fermi, nel titanico salone. E là erano radunati gli altri componenti della tribù, che erano stati rappresentati dai sette che erano venuti ad accoglierlo alla spiaggia. Ma in quel momento non fu richiesto a Don di cercare nel proprio cervello dei complimenti e delle formalità da usare nei confronti degli altri componenti della famiglia di Sir Isaac; invece, in stretta applicazione dell’etichetta, venne immediatamente condotto nelle sue stanze, per riposarsi del viaggio e rinfrescarsi.