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«Voi chi siete? Identificatevi.»

La risposta venne amplificata dall’altoparlante, che si trovava sul quadro di comando, sopra la testa del capitano.

«Identificatevi, o apriremo il fuoco.»

Rhodes lanciò un’altra occhiata a Conrad, che era troppo indaffarato per restituire lo sguardo. Rhodes parlò nel microfono:

«Questo è il caccia Little David, Repubblica di Venere, reparto guerra spaziale. Arrendetevi immediatamente.»

Don sforzò di nuovo la vista. Gli parve di vedere tre nuove ‘stelle’, proprio davanti a lui.

La risposta giunse immediatamente.

«Ammiraglia della Federazione Pacificatore a nave pirata Little David: arrendetevi, o sarete immediatamente distrutti.»

Alla muta domanda di Khodes, Conrad rivolse al comandante un viso distorto dall’incertezza.

«È ancora troppo lontano. Potrei sbagliare.»

«Non c’è tempo! Proceda!»

Adesso Don poteva vederli… grandi incrociatori siderali, che ingrandivano incredibilmente nello spazio. E poi, improvvisamente, uno diventò un globo argenteo, poi il secondo… poi il terzo. Un grappolo di incredibili, colossali ornamenti natalizi, apparve là dove si erano trovati tre possenti incrociatori da guerra… e i globi continuarono a ingrandire, a dilatarsi, deviarono a sinistra, e passarono accanto al traghetto… la ‘battaglia’ era finita.

Conrad sospirò, e stava tremando visibilmente in tutto il corpo.

«È tutto, capitano.» Si voltò, e disse, «Don, ci faresti sentire tutti molto più a nostro agio se chiudessi quell’interruttore. Non ne avremo bisogno.»

Marte galleggiava nel cosmo sconfinato, sotto di loro, sanguigno e rugginoso e splendido. La Stazione Schiaparelli, la potente radio interplanetaria della I.T. T., era già coperta da un ‘cappello’ d’argento, che avrebbe conservato il segreto sul loro colpo di mano; il capitano Rhodes aveva parlato con una stazione minore, avvertendoli del loro arrivo. Tra meno di un’ora sarebbero sbarcati vicino a Da Thon… perfino Malath era uscito dal suo frigorifero, non più stanco e malato e logoro, ma agile e svelto come un grillo, desideroso di sfidare l’aria calda, umida, densa della cabina, per poter dare il primo sguardo alla sua patria.

Don salì di nuovo sulla sua ‘sella’, dietro i sedili di pilotaggio, per poter vedere meglio lo spettacolo grandioso, lo spettacolo infinito, indescrivibile, maestoso di un grande pianeta che nuotava all’infinito nello spazio senza frontiere. I favolosi canali erano già perfettamente visibili a occhio nudo; poteva vederli scorrere, tagliare le grandi regioni colorate… alcune di un verde tenero, morbido, ma soprattutto dell’onnipresente color arancio, e di un vivido rosso mattone. Era inverno, nell’emisfero meridionale; la calotta polare sud era grande e brillante, pareva che il pianeta la indossasse come un allegro cappello da cuoco. Fantasticando di fronte a quella splendida immagine, l’associazione mentale riportò alla mente di Don il ricordo del Vecchio Charlie; pensò a lui con dolce, quieta malinconia, e l’aspra violenza del ricordo era addolcita dai tanti eventi che erano sopravvenuti da allora.

Marte, finalmente… splendido globo rossigno nei cieli stellati… avrebbe rivisto i suoi genitori, forse, ancor prima del tramonto… e allora avrebbe dato l’anello a suo padre. Certamente, non era questo il modo in cui lo avevano immaginato, all’inizio.

La prossima volta, avrebbe cercato di evitare la strada più lunga e tortuosa.

FINE