Mi misi a scrutare intorno, passando dallo stadio della realtà ordinaria a quello del Crepuscolo. Non riuscivo a distinguere nulla, i miei poteri erano insufficienti. Ma percepii. Attraverso una nebbiolina grigia baluginò un mucchio di lucine fioche. Come se tutto l'ufficio si fosse radunato lì…
— Eccoli…
Ora, trovandomi nella realtà ordinaria, non potevo scorgere i colleghi. Calpestavo la grigia neve di città in direzione del giardino tra i caseggiati e il viale sommerso da montagne di neve. Rari alberelli gelati, sequenze di orme che parevano quelle di ragazzini che avessero ruzzolato sulla neve o di ubriachi in cerca di una scorciatoia.
— Fa' un segno con la mano, ti hanno visto — mi suggerì Ol'ga.
Riflettei un po' e seguii il suo consiglio. Pensassero pure che sapevo benissimo passare con la vista da uno stadio di realtà a un altro.
Dopo essermi guardato intorno soprattutto per rispettare la procedura, creai il Crepuscolo e vi entrai.
C'era l'intero ufficio al completo. Tutta la sezione di Mosca.
Al centro stava Boris Ignat'evič. Vestito leggero, con un berrettino di pelo, ma chissà perché con la sciarpa. Lo vidi scendere dalla sua BMW, marcato stretto dalle guardie del corpo.
Accanto a lui c'erano gli operativi. Igor' e Garik: due perfetti guerrieri. Musi di pietra, spalle squadrate, facce ottuse e impenetrabili. Si capiva subito: avevano alle spalle otto classi, l'istituto e le squadre speciali di polizia. Nel caso di Igor' era vero alla lettera. Garik aveva invece due lauree. Malgrado la somiglianza esteriore e il comportamento pressoché identico nella sostanza, differivano decisamente. Il'ja sembrava un intellettuale raffinato, ma era difficile che qualcuno si lasciasse ingannare dagli occhiali dalla montatura sottile, dalla fronte alta e dallo sguardo innocente. Semën era un tipo esaltato: basso, tarchiato, con lo sguardo scaltro, indossava una logora giacca di nylon. Un provinciale giunto nella capitale. Per di più negli anni Sessanta, da uno dei tanti colcos modello. Erano agli antipodi. In compenso ciò che li accomunava era una splendida abbronzatura e un'espressione mesta del viso. Erano stati strappati dallo Sri Lanka nel bel mezzo delle ferie e non sembravano affatto godersela nella Mosca invernale. Ignat, Danila e Farid non c'erano, anche se potevo ancora sentire le loro tracce fresche. In compenso dietro le spalle del Capo stavano, senza mimetizzarsi affatto, ma quasi indistinguibili a una prima occhiata, i mutantropi Orso e Tigrotto. Quando li notai, mi sentii a disagio. Non erano dei semplici guerrieri. Erano dei grandissimi guerrieri. Non li convocavano per cose da poco.
E di specialisti l'ufficio ne aveva parecchi.
Nella sezione analitica ce n'erano cinque. Nel gruppo scientifico erano tutti specialisti, salvo Julja che però aveva solo tredici anni. Nell'archivio non ce n'erano e non se ne sentiva il bisogno.
— Salve! — dissi.
Uno accennò un saluto, qualcun altro sorrise. Ma ora erano altre le mie preoccupazioni. Boris Ignat'evič mi ordinò con un gesto di avvicinarmi, dopodiché proseguì il discorso che aveva evidentemente interrotto: — … non è nel loro interesse. E questo ci rallegra. Non ci daranno nessun aiuto… e va bene, è magnifico…
Era chiaro. Parlavano dei Guardiani del Giorno.
— Possiamo rintracciare la ragazza senza essere ostacolati e Danila e Farid ce l'hanno quasi fatta. Credo che sia questione di cinque-sei minuti… Eppure ci è stato inviato un ultimatum.
Afferrai lo sguardo di Tigrotto. Oh, il suo sorriso non faceva sperare nulla di buono… Era di sesso femminile. Tigrotto era in realtà una ragazza, ma il soprannome "Tigre" era decisamente inadatto a lei.
I nostri operativi non amavano quella parola, "ultimatum"!
— Il mago nero non è dei nostri. — Il Capo avvolse tutti nel suo sguardo annoiato. — Chiaro? Dobbiamo trovarlo per neutralizzare il vortice malefico. Dopodiché lo consegneremo alle Forze delle Tenebre.
— Lo consegneremo? — sottolineò incuriosito Il'ja.
Il Capo rifletté per un istante.
— Già, è giusto sottolinearlo. Noi non lo elimineremo e non gli impediremo di mettersi in contatto con le Forze delle Tenebre. Da quanto ho capito, neppure loro sanno chi è.
I volti degli operativi s'inacidirono. Qualunque mago nero nel territorio controllato era per noi una bella seccatura. Fosse pure registrato e rispettasse il Patto. Un mago di tale forza poi…
— Avrei preferito un'altra evoluzione degli eventi — disse Tigrotto in tono soave. — Boris Ignat'evič, durante lo svolgimento del nostro incarico potrebbero verificarsi delle situazioni indipendenti dalla nostra volontà…
— Temo che non si possano consentire situazioni simili — tagliò corto il Capo, che così, d'istinto, senza intenzione alcuna, simpatizzava per Tigrotto. Ma la ragazza subito tacque.
Anch'io avrei taciuto.
— Direi che è tutto… — Il Capo mi fissò. — È bene che tu sia venuto, Anton. Intendevo proprio parlarne in tua presenza…
Senza volere, mi irrigidii.
— Ieri ti sei comportato in modo corretto. Già, per la verità ti avevo incaricato di cercare i vampiri al solo scopo di sorvegliarli. Non è soltanto per le tue doti operative, Anton… è che ormai da un pezzo la tua situazione si è fatta complicata. Per te uccidere un vampiro è molto più difficile che per chiunque di noi.
— Sbaglia a pensarla così, Capo — dissi.
— Sono felice di sbagliarmi. Accetta la riconoscenza di tutti i Guardiani della Notte. Hai ucciso un vampiro e hai eliminato la traccia della vampira. E una traccia molto marcata. La tua esperienza nel lavoro d'indagine resta inadeguata. Persino con questa ragazza. La situazione era fuori norma, ma tu hai fatto una scelta umana… e così hai perso tempo. E l'impronta dell'aura era straordinaria. Ho capito fin dal primo istante dove cercarla.
Ero sconvolto. Nessuno che sorridesse, sogghignasse o mi fissasse con un sorrisetto maligno. Eppure mi sentivo umiliato. La civetta bianca, che nessuno vedeva, sussultò sulla mia spalla. Inspirai l'aria del Crepuscolo, fresca, inodore, un'aria che non era aria. Chiesi: — Boris Ignat'evič, per quale motivo mi ha dirottato sulla linea circolare, se già sapeva qual era il quartiere giusto?
— Potevo sempre sbagliarmi — replicò lui con una nota di stupore. — E poi te lo ripeto… quando si esegue un lavoro d'indagine è meglio non fidarsi dell'opinione del superiore più alto in grado. In guerra si è sempre soli.
— Ma io non ero solo — dissi piano. — E per la mia partner questo incarico è estremamente importante, lei lo sa meglio di me. Mandandoci a controllare dei quartieri che già si sapeva che erano vuoti… lei l'ha privata della sua occasione di riabilitarsi.
Il volto del Capo era di pietra: non trapelava nulla se lui non lo voleva.
— Il vostro incarico non è ancora concluso — replicò. — Anton, Ol'ga… resta ancora la vampira che deve essere neutralizzata. Qui nessuno ha il diritto di turbare il vostro lavoro: lei ha violato l'accordo. E poi c'è il ragazzo che ha mostrato una straordinaria resistenza alla magia. Occorre ritrovarlo e convogliare la sua forza a favore della Luce. Al lavoro!
— E la ragazza?
— È già stata localizzata. Gli specialisti cercheranno di neutralizzare il vortice. Se non si riuscirà, e sarà così, allora scopriremo chi ha lanciato la maledizione. Ignat, è compito tuo!
Mi voltai: Ignat era già accanto a lui. Alto, prestante, un bel giovane biondo, con la figura di un Apollo e il viso da star del cinema. Si muoveva senza farsi notare anche se questo nella realtà ordinaria non lo salvava dall'attenzione pressante che gli tributava il gentil sesso. Del tutto eccessiva.
— Non rientra nella mia qualifica — disse cupo Ignat. — Non è che sia il mio orientamento preferito!
— Con chi dormire lo sceglierai quando non sei in servizio — tagliò corto il Capo. — Ma in servizio decido io per te su tutto. Persino su quando andare al gabinetto.