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— Mi utilizzano con tutte le guerre. — Ol'ga sorrise gentilmente. — Quando le guerre sono gravi. Altrimenti mi è proibito assumere sembianze umane.

— Ma ora non c'è nessuna guerra.

— Vorrà dire che ci sarà.

Questa volta non sorrise. Cercai di allontanare quella maledizione con un segno.

— Vuoi fare una doccia?

— Volentieri.

— Non ho abiti femminili. Un paio di jeans e una camicia ti vanno bene?

Annuì. Si alzò goffamente, tenendo in modo buffo le braccia e si fissò stupita i piedi nudi. Se ne andò nel bagno, come se non fosse la prima volta che faceva una doccia da me.

Mi fiondai nella camera da letto. Non doveva avere molto tempo.

I jeans erano vecchi, ma erano di una misura in meno rispetto a quelli che portavo adesso. Le sarebbero andati comunque grandi… E la camicia? No, meglio un maglioncino leggero. La biancheria… Eh, sì… come no, come no.

— Anton!

Feci una pila dei vestiti, agguantai un asciugamano pulito e tornai a razzo. La porta del bagno era aperta.

— Che rubinetti che hai…

— Sono d'importazione… Sto arrivando.

Entrai. Ol'ga stava nella vasca da bagno, con la schiena voltata verso di me e girava assorta la maniglia del rubinetto ora a destra ora a sinistra.

— Verso l'alto — le dissi. — Alzala, a sinistra scende acqua fredda, a destra calda.

— Chiaro, grazie.

Non provava il minimo imbarazzo per la mia presenza. Era comprensibile, se si pensava alla sua età e al suo rango… insomma, al rango che aveva avuto.

Ma io mi sentivo confuso. E per questo diventai cinico.

— Eccoti i vestiti. Forse troverai qualcosa che fa al caso tuo. Sempre se ne hai bisogno, naturalmente.

— Grazie, Anton… — Ol'ga mi fissò. — Non farci caso. Sono stata per ottant'anni dentro un corpo d'uccello. E ho trascorso la maggior parte del tempo in letargo, ma ora ne ho abbastanza.

Aveva occhi profondi, magnetici. Pericolosi.

— Ormai non mi sento più né un essere umano, né un Altro, né una donna. E neppure una civetta. Solo… una vecchia, abominevole idiota asessuata che qualche volta è in grado di parlare.

L'acqua della doccia la colpì. Ol'ga sollevò lentamente le braccia, si rigirò con piacere sotto i getti scroscianti.

— Togliermi questa fuliggine di dosso per me è molto più importante che… turbare un simpatico giovane.

Dopo aver incassato il "giovane", senza ulteriori polemiche, uscii dal bagno. Scossi la testa, presi il cognac e stappai la bottiglia.

Almeno una cosa era chiara: lei non era un mutantropo. Un mutantropo non avrebbe tenuto sul corpo dei vestiti. Ol'ga era una maga. Una maga, una donna di circa duecento anni, che ottant'anni fa era stata punita con la privazione del corpo. Era una specialista in scambi magnetici, l'ultima volta che era stata reclutata per una missione risaliva a cinquant'anni prima…

C'erano dati sufficienti per una ricerca nei computer della base. Non avevo accesso a tutti i file, non avevo il grado. Ma, per fortuna, i superiori non potevano neppure immaginare quante informazioni si ottenevano da una ricerca incrociata.

Naturalmente, se avessi davvero voluto scoprire l'identità di Ol'ga.

Versato il cognac nei bicchieri, mi misi in attesa. Ol'ga uscì dal bagno cinque minuti dopo, asciugandosi i capelli con la salvietta. Indossava i miei jeans e il mio maglione.

Non si può dire che si fosse trasformata del tutto… però era diventata più gradevole.

— Grazie, Anton. Non puoi immaginare con che piacere…

— Lo immagino.

— Immaginare non basta. L'odore, Anton… l'odore di bruciato. Io mi sono quasi abituata dopo mezzo secolo. — Ol'ga sedette goffamente sullo sgabello. Sospirò. — È brutto, ma sono felice dell'attuale crisi. Non importa che sia perdonata, purché abbia la possibilità di lavarmi…

— Puoi rimanere con queste sembianze? Esco a comprarti degli abiti adatti.

— Non è il caso. Ho solo mezz'ora al giorno.

Appallottolato l'asciugamano, Ol'ga lo gettò sul davanzale. Sospirò: — Potrei anche non riuscire a lavarmi la prossima volta. E neppure a bere il cognac… Alla tua salute, Anton!

— Alla tua!

Il cognac era buono, lo sorseggiai con piacere, malgrado la totale confusione nella mia testa. Ol'ga lo bevve d'un fiato, corrugò la fronte, ma commentò con cortesia: — Non è male.

— Perché il Capo non ti permette di assumere sembianze normali?

— Non è in suo potere.

Era chiaro. La punizione non arrivava dall'ufficio distrettuale, ma dai vertici superiori.

— Ti auguro buona fortuna, Ol'ga. Qualunque azione tu abbia commesso, sono certo che la tua colpa è già stata espiata da un pezzo.

La donna si strinse nelle spalle.

— Vorrei crederlo. Capisco che posso suscitare compassione, ma il castigo era giusto. Del resto… parliamone seriamente.

— Parliamone.

Ol'ga si allungò attraverso il tavolo verso di me. Disse con un misterioso sussurro: — Te lo dico con franchezza: mi sono stufata. Ho nervi saldi, ma così non si può vivere. La mia unica chance è quella di compiere una missione talmente importante che ai capi non resti altra via d'uscita che perdonarmi.

— E dove la troviamo una missione simile?

— L'abbiamo già. E consiste di tre tappe: proteggiamo il ragazzino e lo facciamo diventare un alleato delle Forze della Luce. La vampira la eliminiamo.

Ol'ga aveva un tono sicuro di sé e a un tratto le credetti. Proteggeremo lui ed elimineremo lei. Senza problemi.

— Solo che si tratta di inezie, Anton. A te un'azione simile consentirà di salire di grado, ma io non verrò salvata. L'importante è la ragazza col vortice malefico.

— Di lei si stanno già occupando, Ol'ga. Io… noi siamo stati esclusi dall'incarico.

— Non importa. Non se la caveranno da soli.

— Davvero? — chiesi con ironia.

— Non se la caveranno. Boris Ignat'evič è un mago potente. Ma in altri campi. — Ol'ga socchiuse gli occhi beffardamente. — E io è tutta la vita che mi occupo di catastrofi infernali.

— Ecco che cosa c'entrava la guerra! — esclamai.

— Naturalmente. Simili esplosioni d'odio in tempo di pace non avvengono. Quel bastardo di Adolf… ne aveva di seguaci, eppure l'avrebbero fatto fuori già nel primo anno di guerra. Insieme a tutta la Germania. Quella di Stalin era una situazione diversa: era circondato da un'adorazione abnorme… uno scudo potente. Anton, io sono una semplice donna russa… — un fugace sorriso sottolineò ciò che Ol'ga intendeva con la parola "semplice" — e ho trascorso tutta l'ultima guerra a proteggere i nemici del mio paese dalle maledizioni. Anche solo per questo mi meriterei il perdono, non credi?

— Sì, lo credo. — Avevo la sensazione che si fosse sbronzata.

— Un lavoro fetente… a tutti noi capita di dover andare contro la natura umana, ma giungere fino a tal punto… È così, Anton. Loro… non se la caveranno. Io… posso provarci. Anche se non ne ho la completa certezza.

— Ol'ga, se è una cosa così seria, devi fare rapporto…

La donna scosse la testa, aggiustandosi i capelli bagnati: — Non posso. Mi è proibito comunicare con chiunque, eccetto che con Boris Ignat'evič e il mio partner nell'incarico. A lui ho già detto tutto. Ora posso solo aspettare. E sperare di riuscire a cavarmela all'ultimo minuto.

— E il Capo non lo capisce questo?

— Al contrario, penso che lo capisca.

— E allora… — mormorai.

— Siamo stati amanti. Per molto tempo. E per di più siamo anche amici, il che succede assai di rado… E quindi, Anton, oggi risolviamo la questione del ragazzino e della vampira psicopatica. E domani aspetteremo. Aspetteremo finché non ci sarà una catastrofe infernale. Sei d'accordo?