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— Devo riflettere, Ol'ga.

— Perfetto, pensaci. È ora, voltati.

Non feci in tempo. Forse non era stata colpa di Ol'ga. Non aveva calcolato bene il tempo che le era concesso.

Fu uno spettacolo disgustoso. Ol'ga prese a tremare, s'inarcò. Il corpo fu scosso da un'onda sussultoria: le ossa si piegarono, come fossero di gomma. La pelle cadde, mettendo a nudo i muscoli irrorati di sangue. Di lì a un istante la donna si trasformò in un ammasso di carne sgualcita, in una sfera informe. E la sfera si rattrappiva sempre di più, coprendosi di morbide piume bianche.

La civetta delle nevi spiccò il volo dallo sgabello con un grido un po' uccellesco e un po' umano. Si fiondò verso il suo posto prediletto sul frigorifero.

— Diavolo! — gridai, dimenticando ogni regola e insegnamento. — Ol'ga!

— Bello, eh? — La voce della donna era ansimante, ancora provata dal dolore.

— Perché, perché deve succedere proprio così?

— Fa parte del castigo, Anton.

Allungai la mano e sfiorai l'ala dispiegata e tremante.

— Ol'ga, sono d'accordo con te: risolviamo la questione del ragazzino e della vampira.

— Allora al lavoro, Anton!

Annuendo, uscii nel corridoio. Spalancai l'armadio con l'equipaggiamento, entrai nel Crepuscolo perché altrimenti non avrei visto nulla se non abiti e vecchia paccottiglia.

Un corpicino leggero si posò sulla mia spalla: — Che cos'hai?

— Ho esaurito l'amuleto di onice. Puoi ricaricarlo?

— No. mi hanno privato di quasi tutti i poteri. Mi è rimasto solo quello che serve per neutralizzare l'inferno. E anche la memoria, Anton… mi rimane ancora la memoria. Come pensi di uccidere la vampira?

— Non è registrata — dissi io. — Ho solo dei rimedi popolari.

La civetta ridacchiò.

— Il paletto di frassino si usa ancora?

— Io non ce l'ho.

— Capisco. E per via dei tuoi amici, vero?

— Sì. Non voglio che si spaventino, varcando la soglia.

— E allora che cosa usiamo?

Da un nascondiglio scavato tra i mattoni presi una pistola. Mi piegai sulla civetta. Ol'ga studiò attentamente l'arma.

— L'argento? Per i vampiri è molto nocivo, ma non letale.

— Dentro ci sono proiettili deflagranti. — Estrassi il caricatore dalla Desert Eagle. — Proiettili d'argento deflagranti. Calibro 044. Bastano tre colpi e si riempie di buchi, e il vampiro non è più in grado di reagire.

— E poi?

— Rimedi popolari.

— Non credo nella tecnica — mi fece eco Ol'ga. — Ho visto un lupo mannaro riprendersi dopo che era stato fatto a pezzi da una carica.

— E si è ripreso in fretta?

— Dopo tre giorni.

— E io che sto dicendo?

— D'accordo, Anton. Se non ti fidi dei miei poteri…

Era contrariata, lo capivo. Ma io non sono un operativo. Io sono un dipendente del quartier generale.

— Andrà tutto bene — la rassicurai. — Credimi. Su, concentriamoci sulla ricerca dell'esca.

— Andiamo.

— Ecco, è accaduto tutto qui — riferii a Ol'ga. Stavamo nell'androne. Naturalmente nel Crepuscolo.

Di tanto in tanto passava qualcuno, che cercava comicamente di scansarmi, sebbene fossi invisibile.

— Qui tu hai ucciso il vampiro. — Il tono di Ol'ga era molto professionale. — Già… Capisco, amico mio. Hai eliminato nel modo sbagliato i rifiuti… Ma non fa nulla…

Ai miei occhi non restava più alcuna traccia del vampiro defunto. Ma non stetti a discutere.

— Qui c'era una vampira… e tu l'hai colpita… no, hai fatto schizzare della vodka… — Ol'ga scoppiò a ridere piano. — Lei se n'è andata… I nostri operativi stanno perdendo smalto. La traccia è evidente anche adesso!

— Si è trasformata — dissi cupo.

— In un pipistrello?

— Sì, Garik ha detto che c'è riuscita all'ultimo momento.

— Male. La vampira è più forte di quanto sperassi.

— Ma non è selvatica. Beveva sangue vivo e uccideva. Non ha esperienza, ma di forza ne ha a bizzeffe…

— La elimineremo — disse in tono perentorio Ol'ga.

Continuavo a tacere.

— Ah, ecco qui la traccia del ragazzino. — La voce di Ol'ga si addolcì. — Però… ha un ottimo potenziale. Andiamo a vedere dove vive.

Uscimmo dall'androne, ci incamminammo lungo il marciapiede. Il cortile era grande, circondato da case da tutti i lati. Percepivo anch'io l'aura del ragazzino, anche se debole e confusa: doveva passare di qui regolarmente.

— Avanti — ordinò Ol'ga. — Gira a sinistra. Diritto. A destra. Alt…

Mi arrestai davanti a una via lungo la quale avanzava lento un tram. Dal Crepuscolo non ero ancora uscito.

— In questa casa — comunicò Ol'ga. — Avanti. Lui si trova là.

Era un casermone mostruoso. Piatto, altissimo. Sembrava poggiare su delle zampe e a una prima occhiata ricordava un gigantesco monumento a una scatola di fiammiferi. Alla seconda, un'esibizione patologica di megalomania.

— In una casa così si può uccidere — dissi — o impazzire.

— Occupiamoci di tutte e due le questioni — propose Ol'ga. — Sai, ho una grande esperienza in queste cose.

Egor non voleva uscire di casa. Quando i genitori erano andati al lavoro e la porta si era richiusa di colpo, lui subito si era sentito in preda alla paura. E sapeva che oltre i confini del suo appartamento vuoto quella paura si sarebbe trasformata in autentico terrore.

Non aveva scampo. In nessun luogo e in nessun modo. Ma la casa creava almeno un'illusione di sicurezza.

Il mondo si era spezzato, il mondo era crollato la notte prima. Egor aveva sempre ammesso onestamente, sebbene non davanti a tutti ma solo con se stesso, di non essere coraggioso. Del resto non era neppure un vigliacco. Vi erano cose delle quali si poteva e si doveva avere paura: teppisti, maniaci, terroristi, catastrofi, incendi, guerre, malattie incurabili. Ma si poteva fare di tutta un'erba un fascio e soprattutto erano pericoli lontani. Esistevano, erano reali, ma fuori della vita di tutti i giorni. Bastava rispettare le regole essenziali: non girare di notte, non introdursi in quartieri che non si conoscevano, lavarsi le mani prima di mangiare, non saltare sui binari. Sì, si poteva aver timore delle disgrazie, ma si capiva anche che le possibilità di rimanere inguaiati erano scarse.

Ora tutto era cambiato.

C'erano fenomeni ai quali era impossibile sfuggire. Fenomeni che non esistono e non possono esistere al mondo.

Esistevano i vampiri.

Rammentava distintamente — il terrore non l'aveva privato della memoria — ciò su cui aveva confidato ieri mentre correva a casa e, contro le sue abitudini, aveva attraversato la strada senza guardarsi intorno. E nutriva la timida speranza che al mattino ciò che aveva veduto in sogno non si avverasse.

Era la verità. Una verità impossibile. Ma…

Era accaduto ieri. Era accaduto a lui.

Era rincasato tardi, d'accordo, ma gli succedeva di tornare anche più tardi. Persino i suoi genitori, che secondo la ferma convinzione di Egor ancora non accettavano che lui avesse quasi tredici anni, erano tranquilli su questo punto.

Quando era uscito dalla piscina con gli altri ragazzi… erano già le dieci. Tutti insieme si erano infrattati da McDonald's e si erano fermati là una ventina di minuti. Di solito dopo l'allenamento chi poteva permetterselo andava da Mac. Poi… poi avevano raggiunto tutti insieme il metrò. Non era lontano. La strada illuminata. In sette o otto.

Allora era ancora tutto normale.

Nel metrò chissà perché aveva cominciato a sentirsi inquieto. Aveva guardato l'orologio e scrutato la gente intorno. Non c'era niente di sospetto.