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— Trascinalo! — Ol'ga prese il comando della situazione. — Trascinalo, presto! Non si sveglierà da solo!

Era la cosa più difficile. Avevo seguito delle lezioni di pronto soccorso, ma non mi era mai capitato di trascinar fuori qualcuno dal Crepuscolo.

— Egor, torna in te! — Lo schiaffeggiai sulle guance. Prima piano, poi assestandogli sonori ceffoni. — E allora, ragazzo? Stai uscendo dal Crepuscolo! Svegliati!

Diventava sempre più leggero, svaniva tra le mie braccia. Il Crepuscolo gli aveva prosciugato la vita, tolto le ultime deboli forze, stava modificando il suo corpo e lo trasformava in uno dei suoi abitanti. Che cosa avevo combinato?

— Mettiti al riparo! — La voce di Ol'ga era fredda, severa. — Mettiti al riparo con lui… Guardiano!

Di solito impiegavo più di un minuto a creare la sfera. Ora me la cavai in cinque secondi. Un'esplosione di dolore, come se nella testa mi fosse scoppiata una minuscola carica. La sfera di protezione fuoriuscì dal mio corpo, avvolgendomi in una bolla iridata, che cresceva, si gonfiava, inglobando suo malgrado dentro di sé anche me e il ragazzino.

— Adesso trattienila! Io non posso aiutarti in nessun modo, Anton! Trattieni la sfera!

Ol'ga aveva torto. Coi suoi suggerimenti mi era già stata di aiuto. Con tutta probabilità sarebbe venuto in mente anche a me di creare la sfera, ma avrei perso altri secondi preziosi.

A un tratto tornò la luce. Il Crepuscolo continuava a prosciugare le nostre forze, da me stentatamente, dal ragazzino copiosamente, però ora aveva a disposizione solo qualche metro cubo di spazio. Qui le normali leggi fisiche non esistevano, ma ce n'erano di analoghe. Ora nella sfera si stava stabilendo un equilibrio tra i nostri corpi vivi e il Crepuscolo.

O il Crepuscolo si dissolveva liberando la sua preda, o il ragazzino si sarebbe trasformato in un abitante del mondo crepuscolare. Per sempre. È ciò che succede ai maghi che si concedono incondizionatamente, per imprudenza o per necessità. E capita anche ai neofiti privi delle cognizioni adeguate per difendersi dal Crepuscolo e che gli si sono concessi più del dovuto.

Guardai Egor: il suo viso ingrigiva. Si stava allontanando nelle infinite distese del mondo delle ombre.

Spostando il ragazzino sul braccio destro, col sinistro tolsi dalla tasca il temperino. Estrassi la lama con i denti.

— È pericoloso — mi avvertì Ol'ga.

Non risposi. Mi colpii sui polsi.

Il Crepuscolo sfrigolò, come una padella arroventata, quando sprizzò il sangue. La vista mi si offuscò. Il problema non era tanto la perdita di sangue, quanto la vita che defluiva insieme a esso. Avevo violato il mio sistema di autodifesa nel Crepuscolo.

In compenso il Crepuscolo aveva ricevuto una dose di energie che non sarebbe stato più in grado di assimilare.

Il mondo s'illuminò, la mia ombra crollò sul pavimento e io l'attraversai. L'iridata membrana della sfera di protezione cadde, espellendoci nel mondo ordinario.

Capitolo 5

Un rivolo sottile di sangue era schizzato sulla moquette. Il ragazzo, che mi si era accasciato tra le braccia, era ancora privo di sensi, ma il suo viso cominciava a riprendere colore. Il gatto strillò dall'altra stanza, come se lo stessero scannando.

Deposi Egor sul divano. Gli sedetti accanto. E dissi: — Ol'ga, una benda…

La civetta spiccò il volo dalla mia spalla e sfrecciò in cucina. Evidentemente durante il tragitto doveva essere entrata nel Crepuscolo, perché dopo qualche secondo era già di ritorno con la benda nel becco.

Neanche a farlo apposta Egor aprì gli occhi proprio mentre mi fasciavo la mano. Chiese: — Chi è?

— Una civetta. Non lo vedi?

— Che cosa mi è successo? — La voce non gli tremava quasi più.

— Sei svenuto.

— Perché? — Il suo sguardo percorreva spaventato le tracce di sangue sul pavimento e sui miei vestiti. Egor aveva trovato il modo di non sporcarsi.

— Il sangue è mio — gli spiegai. — Mi sono inavvertitamente tagliato. Egor, nel Crepuscolo si deve entrare con cautela. È una dimensione diversa, anche per noi, che siamo Altri. Quando siamo nel mondo crepuscolare dobbiamo perdere continuamente le forze per alimentarlo con la nostra energia viva. Gradualmente. Ma se non si controlla questo processo, il Crepuscolo ti prosciuga tutta l'energia vitale. Non ci puoi fare niente, è il prezzo da pagare.

— Io ho pagato più di quello che avrei dovuto?

— Più di ciò che possedevi. E hai rischiato di rimanere nel mondo crepuscolare per sempre. Non è come la morte, forse è peggio.

— Aspetti, l'aiuto… — Il ragazzino si mise a sedere e per un istante corrugò la fronte: evidentemente gli girava la testa. Allungai la mano e lui cominciò a bendarmi il polso, con movimenti goffi, ma con impegno. L'aura del ragazzino non era cambiata, era cangiante e neutra come prima. Lui era già stato nel Crepuscolo, ma il Crepuscolo non aveva fatto ancora in tempo a lasciargli il suo marchio.

— Lo credi che ti sono amico? — gli chiesi.

— Non so. Certo non mi è nemico. O forse non può farmi nulla!

Allungai la mano e sfiorai il collo del ragazzino: lui subito si irrigidì. Sganciai la catenina e gliela tolsi.

— Hai capito?

— Significa che non è un vampiro — mormorò.

— Sì. Ma non perché ho potuto accostarmi all'aglio e all'argento. Egor, questi non sono impedimenti per un vampiro.

— Ma in tutti i film…

— In tutti i film i ragazzi buoni vincono i cattivi. Ragazzo, le superstizioni sono pericolose, inducono a coltivare false speranze.

— Ma esistono speranze autentiche?

— No, non è nella loro natura. — Mi alzai, toccai la fasciatura. Niente male, era avvolta strettamente e piuttosto spessa. Tra una mezz'ora avrei potuto fare un incantesimo sulla ferita, ora le forze non mi bastavano.

Il ragazzo mi fissava dal divano. Si era un po' tranquillizzato. Ma non si fidava ancora di me. Era curioso che non rivolgesse la minima attenzione alla civetta bianca che sonnecchiava con aria innocente sul televisore. Pareva che Ol'ga tutto sommato fosse stata assimilata dalla sua coscienza. E ciò era positivo: spiegare chi era quella civetta bianca parlante sarebbe stato a dir poco arduo.

— Hai del cibo? — gli chiesi.

— Che cosa?

— Qualunque cosa. Del tè con lo zucchero. Un pezzo di pane. Ho perso anch'io molte energie.

— Qualcosa troveremo. E come ha fatto a ferirsi?

Non diedi spiegazioni dettagliate, ma neppure gli mentii.

— L'ho fatto apposta. Bisognava fare così per trascinarti fuori dal Crepuscolo.

— Se questa è la verità, grazie.

Certo la sfacciataggine non gli mancava, ma mi piacque.

— Non c'è di che. Se tu ti fossi dileguato nel Crepuscolo, i miei capi mi avrebbero tagliato la testa.

— Hmm… — bofonchiò il ragazzo, e si alzò. Cercava in ogni caso di tenersi a distanza. — E come sono i suoi capi?

— Severi. Be', non mi versi il tè?

— Per una brava persona si fa questo e altro. — Già, continuava a resistere. E dissimulava la paura con una leggera e disinvolta strafottenza.

— Tengo a precisare che non sono una persona. Sono un Altro. E anche tu sei un Altro.

— E qual è la differenza? — Egor gettò su di me un'occhiata a mo' di esemplificazione. — A guardarla non si direbbe!

— Finché non mi darai il tè, starò zitto. Non ti hanno insegnato come trattare gli ospiti?

— Gli ospiti non invitati? Come ha fatto a entrare?

— Dalla porta. Più tardi ti farò vedere.

— Andiamo. — Alla fine, dunque, si era deciso a offrirmi il tè.