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Con un baluginio verde le cifre dell'orologio passarono a indicare le cinque. Ecco che si mettevano al lavoro i primi portinai: era un quartiere prestigioso nella parte più antica di Mosca, alla pulizia ci tenevano moltissimo. Per fortuna non pioveva e la neve non c'era più: l'inverno era finito, finalmente, e aveva fatto posto alla primavera, con tutti i suoi problemi e le sue aspettative troppo elevate…

Si sentì sbattere la porta di un ingresso. Sul marciapiede apparve una ragazza, che si fermò ad aggiustarsi la borsa sulla spalla, a una decina di metri da lui. Erano stupide quelle case, tutte senza cortile, non era comodo lavorarci e nemmeno viverci, probabilmente: che senso aveva tutta quell'aria di prestigio se poi appena marciva un tubo i muri spessi si coprivano di muffa e probabilmente appariva anche qualche spettro?

Maksim sorrideva leggermente uscendo dalla macchina. Il suo corpo gli ubbidiva facilmente, i muscoli non sembravano provati dall'immobilità notturna, anzi si sentiva come attraversato da una nuova forza. E quello era un segnale sicuro.

No, gli interessava comunque: ma gli spettri esistono?

— Galja! — gridò. La ragazza si girò. Anche quello era un altro segnale, altrimenti si sarebbe subito messa a correre. In fondo c'è qualcosa di sospetto e di pericoloso in un uomo che ti aspetta sotto casa alle cinque del mattino…

— Io non la conosco — disse la ragazza. Tranquillamente, con una sfumatura di curiosità.

— Vero — convenne Maksim. — Io però la conosco.

— Chi è lei?

— Io sono Colui che giudica.

Gli piaceva proprio quella forma, arcaica, enfatica, solenne. Colui che giudica! Colui che ha il diritto di giudicare.

— E chi ha intenzione di giudicare?

— Lei, Galja. — Maksim era concentrato e sbrigativo. Lo sguardo cominciava a offuscarsi, e anche quello era un segno.

— Davvero? — Lei gli lanciò un'occhiata rapida e Maksim colse nelle sue pupille un lampo giallo. — E ci riuscirà?

— Ci riuscirò — rispose Maksim, alzando un braccio. Il pugnale l'aveva già nascosto nel palmo della mano, un pugnale di legno stretto, sottile, un tempo chiaro, ma che nel corso degli ultimi tre anni, impregnandosi, si era scurito…

La ragazza non emise suono quando la lama di legno le penetrò nel petto, appena sotto il cuore.

Come sempre Maksim provò un momento di terrore, una breve e bruciante vampata di orrore… E se, nonostante tutto, avesse commesso un errore? Se…?

Con la mano sinistra toccò la crocetta, la semplice crocetta di legno, che portava sempre al collo. E rimase così, con il pugnale di legno in una mano e la crocetta stretta nell'altra, in piedi, finché la ragazza non cominciò a trasformarsi…

Avvenne molto rapidamente. Avveniva sempre rapidamente: la trasformazione in animale e poi di nuovo in essere umano. Per alcuni istanti sul marciapiede ci fu una belva, una pantera nera con gli occhi vitrei, i denti digrignati: un trofeo di caccia, elegante nel suo abbigliamento severo, completo di calze e scarpe… Poi il processo si rimise in moto nel senso inverso, come se il pendolo oscillasse un'ultima volta.

Maksim si stupì non tanto di quella breve e come sempre tardiva trasformazione, quanto del fatto che sul corpo della ragazza non fosse rimasta nessuna ferita. Il breve istante della trasformazione l'aveva guarita, rendendola di nuovo integra. Rimaneva solo il taglio sulla giacca e sulla camicetta.

— Gloria a Te, Signore — mormorò Maksim, guardando il cadavere del mutantropo. — Gloria a Te, Signore.

Non aveva nulla contro il ruolo che gli era stato assegnato in questa vita.

Solo che era un po' troppo impegnativo per uno come lui, che non aveva mai avuto un livello di aspettative troppo elevato.

Capitolo 1

Quella mattina capii che la primavera era davvero arrivata.

Ancora la sera prima il cielo era diverso. Nuvole grigie fluttuavano sulla città, e c'era odore di vento umido e freddo e di neve imminente. Si aveva voglia soltanto di ficcarsi in poltrona il più comodamente possibile, infilare nel videoregistratore la cassetta di un film demenziale e vivace (cioè americano), bere un sorso di cognac e addormentarsi così.

Quella mattina invece il gesto magico di un prestigiatore aveva lanciato sulla città un fazzoletto azzurro, e l'aveva passato su strade e piazze, ripulendole dagli ultimi rimasugli di inverno. E gli ultimi mucchietti di neve sudicia rimasti in qualche avvallamento o in qualche angolo in ombra sembravano, più che una svista della primavera ormai arrivata, un indispensabile elemento decorativo. Un ricordo…

Mentre camminavo per raggiungere la metropolitana, sorridevo.

Certe volte è molto bello essere uomini. Adesso, per esempio, era già una settimana che conducevo questa vita: quando arrivavo al lavoro, non salivo mai oltre il primo piano, trafficavo un po' col server che di colpo aveva preso tutta una serie di brutte abitudini, installavo alle ragazze dell'ufficio contabilità i nuovi programmi Office, la cui utilità non era chiara né a me né a loro. La sera andavo a teatro, allo stadio, in certi baretti e ristorantini da niente. Dovunque ci fosse gente, e rumore. Essere un uomo della folla era ancora più interessante che essere semplicemente un uomo.

Naturalmente nell'ufficio della Guardia della Notte, un vecchio edificio di tre piani che ci aveva affittato la nostra filiale, di uomini non c'era neppure l'ombra. Perfino le tre vecchiette che facevano le pulizie erano Altre. Perfino gli insolenti ragazzotti addetti alla sicurezza, il cui compito era stare all'ingresso e spaventare piccoli delinquenti e commessi viaggiatori, avevano un certo potenziale magico. Perfino il tecnico dell'impianto igienico, il classico tecnico degli impianti igienici moscovita, alcolista incallito, era un mago… e un mago niente male, che sapeva cosa fare dello spirito che ingurgitava.

Comunque i primi due piani avevano sempre avuto un'aria assolutamente normale. Qui si permetteva di entrare anche agli agenti della finanza, ai partner in affari appartenenti alla razza umana, ai banditi del nostro clan… Che il clan lo controllasse pure personalmente il Capo, ma perché farlo sapere ai quattro venti?

E anche i discorsi che si facevano erano dei più banali. Si parlava di politica, di tasse, di acquisti, del tempo, dei flirt degli altri e delle proprie avventure amorose. Le fanciulle tagliavano i panni addosso ai maschietti, e anche noi facevamo la nostra parte. Si intrecciavano amori, si tessevano trame ai danni dei diretti superiori, si valutavano le possibilità di ricevere qualche incentivo.

Mezz'ora dopo arrivai a Sokol e risalii in superficie. C'era molto rumore e l'aria sapeva di gas di scarico. Comunque la primavera era arrivata.

La via dove si trova il nostro ufficio non è nel peggiore dei quartieri moscoviti. Tutt'altro, anzi, se lo si confronta con la sede della Guardia del Giorno. Ma il Cremlino in ogni caso non fa per noi: il passato ha lasciato tracce troppo profonde sulla Piazza Rossa e sulle antiche mura di mattoni. Forse un giorno svaniranno. Per ora però sono ancora molto forti… anche troppo, ahimè.

Dalla fermata del metrò proseguii a piedi: era molto vicino. Le facce intorno a me erano buone, riscaldate dal sole. Per questo amo la primavera: attenua la sensazione di penosa impotenza. E diminuisce le occasioni di intervento…

Uno dei ragazzotti della sicurezza fumava davanti all'ingresso. Mi fece un cenno amichevole, i suoi compiti non prevedevano un controllo particolarmente accurato. E inoltre dipendeva direttamente da me la possibilità di trovare sul computer della loro stanza l'accesso a Internet e un paio di giochini nuovi, o soltanto le informazioni di servizio e i dossier dei collaboratori.