— Ol'ga? — Svetlana mi guardava negli occhi.
Feci un respiro profondo per raccogliere le forze. — Non sono Ol'ga.
Silenzio.
— Non ero autorizzato a dirtelo prima. Solo qui. Il tuo appartamento è protetto dalle intrusioni delle Forze delle Tenebre.
— Autorizzato? — Aveva afferrato subito il punto.
— Non ero autorizzato — ripetei. — Questo è solo il corpo di Ol'ga.
— Anton?
Annuii.
Come mi sentivo assurdo in quel momento!
Per fortuna Svetlana era già abituata alle assurdità.
Mi credette subito.
— Mascalzone!
Lo disse con un'intonazione che sembrava più pertinente all'aristocratica Ol'ga. E anche lo schiaffo che mi arrivò immediatamente dopo aveva lo stesso stile.
Non mi fece male, però mi sentii offeso.
— Perché? — le chiesi.
— Perché hai ascoltato i discorsi altrui! — sparò Svetlana furibonda.
La formulazione era affrettata, però la capii. Nel frattempo aveva sollevato l'altra mano, ma io, contro l'insegnamento cristiano, avevo deciso di non porgere l'altra guancia.
— Sveta, ho promesso di custodirlo, questo corpo!
— Ma io no!
Svetlana respirava profondamente, si mordeva le labbra, gli occhi le scintillavano. Non l'avevo mai vista in uno stato simile e non sospettavo neppure che potesse raggiungere un simile grado di furore. Ma cos'era ad averla fatta tanto infuriare?
— Allora hai paura di amare i fiori recisi? — Cominciò a camminare lentamente verso di me. — E così, sì?
Adesso lo avevo capito. Anche se un po' in ritardo.
— Vattene! Vattene subito!
A furia di indietreggiare mi ritrovai con la schiena contro la porta. Ma a quel punto potevo fermarmi, visto che anche Svetlana si era fermata. Scrollò la testa e gridò: — Rimani pure in quel corpo! È quello giusto per te. Tu non sei un uomo, sei uno straccio!
Io non risposi. Tacevo perché vedevo già come sarebbe stato il futuro. Vedevo come si sarebbero dipanate davanti a noi le linee delle probabilità, come un destino beffardo avrebbe intrecciato le strade.
E quando Svetlana, sbollendo all'improvviso tutta la sua furia, cominciò a piangere, coprendosi il viso con le mani, quando le circondai le spalle con un braccio e lei subito si sciolse in singhiozzi contro il mio petto, dentro di me rimase solo una sensazione di vuoto e di freddo. Un freddo penetrante, come se fossi di nuovo sul tetto pieno di neve sotto la sferza del vento dell'inverno.
Svetlana era ancora un essere umano. In lei c'era ancora troppo poco degli Altri, non capiva, non vedeva come andava lontano la strada che dovevamo percorrere. E soprattutto non vedeva come quella strada si divideva per prendere due direzioni diverse.
L'amore è felicità, ma solo quando puoi credere che sia per sempre. E anche se ogni volta questa promessa di eternità si rivela una menzogna, è l'unica in grado di dare l'orza e gioia all'amore.
Svetlana singhiozzava sulla mia spalla.
Molto sapere… molto dolore. Come avrei voluto ignorare l'inevitabile futuro! Ignorarlo… e amare, senza calcoli, come un semplice essere mortale.
E che peccato trovarmi in quel momento in un corpo altrui!
Dall'esterno potevamo sembrare due carissime amiche che avessero deciso di trascorrere una tranquilla serata con tanto di film alla televisione, tè con la marmellata, bottiglia di vino e chiacchiere su tre eterni temi: gli uomini che mascalzoni, non ho niente da mettermi e, soprattutto, come fare per dimagrire.
— Ma ti piacciono le tartine? — mi chiese Svetlana stupita.
— Sì. Con il burro e la marmellata — riconobbi in tono tetro.
— Mi sembrava che qualcuno avesse promesso di custodire quel corpo.
— E che cosa gli faccio di male? Ti assicuro che questo organismo è entusiasta.
— Ma… ma… — replicò Svetlana poco convinta. — Poi chiedi a Ol'ga come fa a conservare questa figura.
Ebbi un attimo di esitazione, però alla fine tagliai a metà l'ennesima tartina e la spalmai abbondantemente di marmellata.
— Ma a chi è venuta in mente la geniale idea di nasconderti in un corpo di donna?
— Al Capo, credo.
— Ne ero certa.
— Ol'ga è stata d'accordo.
— Che scoperta: Boris Ignat'evič per lei è un dio in terra.
Su questo avevo qualche dubbio, ma preferii tacere. Svetlana si alzò, andò al guardaroba. Lo aprì e rimase soprappensiero a esaminare l'attaccapanni.
— Ti vuoi mettere una vestaglietta?
— Che cosa? — Mi andò di traverso la tartina.
— Vuoi stare in casa vestito in quel modo? Quei jeans sembrano sul punto di scoppiare. Starai scomodo…
— Ma ci sarà qualche abito sportivo? — chiesi in tono lamentoso.
Svetlana prima mi guardò ironicamente, poi si impietosì: — Certo che c'è.
A dire la verità un vestito del genere mi sarebbe piaciuto di più vederlo su qualcun altro. Su Svetlana, per esempio. Pantaloncini corti bianchi e camicetta. Per giocare a tennis o per fare jogging.
— Cambiati.
— Sveta, non credo che passeremo tutta la sera qui a casa tua.
— Non importa. Prima o poi ti serviranno, perciò è meglio verificare se sono della taglia giusta. Mettiteli, io vado a scaldare il tè.
Svetlana uscì, e io mi tolsi in fretta i jeans. Iniziai a sbottonarmi la camicetta, anche se le mie dita si imbrogliavano tra quei bottoni sconosciuti, troppo duri, e poi mi guardai allo specchio con odio.
Una ragazza simpatica, non c'erano dubbi. Giusta per una foto su una rivista erotica soft.
Mi cambiai in fretta e andai a sedermi sul divano. Alla televisione c'era una soap opera: mi stupii che Svetlana avesse scelto quel canale. Del resto probabilmente anche su tutti gli altri c'era qualcosa del genere.
— Stai benissimo.
— Sveta, per favore, non potresti evitare? — le chiesi. — Sto già male anche senza i tuoi commenti.
— Va bene, scusami — convenne subito lei, venendo a sedersi accanto a me. — Allora, cosa dobbiamo fare?
— Dobbiamo? — ripetei, sottolineando leggermente quel plurale.
— Sì, Anton. Non sei mica venuto qui per niente.
— Dovevo raccontarti in che guaio ero finito.
— D'accordo, ma se il Capo — la parola "Capo" Svetlana era riuscita a pronunciarla in modo straordinariamente gustoso, con rispetto e insieme con una certa ironia — ti ha permesso di raccontarmi tutto, significa che ti devo aiutare. Se non altro, per volere del destino — non si trattenne dal concludere.
Mi arresi.
— Non posso rimanere solo. Nemmeno per un minuto. Tutto il piano si basa sul fatto che le Forze delle Tenebre sacrificano volontariamente le loro pedine, eliminandole essi stessi o lasciando che vengano uccise.
— Come questa volta?
— Sì. Esatto. E se questa provocazione è diretta contro di me, allora adesso avverrà un altro omicidio. Nel momento in cui, almeno secondo loro, naturalmente, rimarrò senza alibi.