— Andiamo a divertirci? — chiese sorridendo l'uomo al volante, un tipo magro, con gli occhiali, dall'aria simpatica.
— Non puoi sapere quanto — risposi. — Non puoi sapere quanto.
Capitolo 5
Nella torre l'ingresso era ancora aperto. Comprai il biglietto, compreso l'accesso al ristorante, e attraversai il prato verde che circondava la torre. Per gli ultimi cinquanta metri la stradina era protetta da una sottile tettoia. Mi sarebbe piaciuto sapere a che scopo era stata allestita… Forse dalla vecchia costruzione si staccavano frammenti di cemento?
La tettoia terminava davanti alla garitta del punto di controllo. Presentai il passaporto, passai attraverso il metal detector, peraltro fuori servizio. Fine delle formalità, e di tutte le difese dell'importante obiettivo strategico.
Adesso cominciavano ad assalirmi i dubbi. A ben vedere l'idea di raggiungere quel luogo era decisamente strana. Non sentivo nelle vicinanze nessuna particolare concentrazione di Forze delle Tenebre. Se erano davvero lì, dovevano essersi nascosti molto bene, il che significava che mi sarei trovato alle prese con maghi di secondo-terzo livello. Una missione suicida, in pratica.
Il quartier generale. Il quartier generale operativo della Guardia del Giorno, schierato al gran completo per il coordinamento delle operazioni della caccia all'obiettivo numero uno. Cioè a me. Quale altro luogo sarebbe stato più appropriato per comunicare l'avvenuta eliminazione di un inesperto mago delle Tenebre?
Ma intrufolarmi nello stato maggiore, dove sedevano almeno una decina di maghi delle Tenebre, e tra i più esperti, non mi pareva una buona idea. Andare a infilare la testa nel cappio da solo… era una sciocchezza, e non una prova di eroismo, se avevo ancora qualche possibilità di cavarmela. E speravo moltissimo di avercela.
Dal basso, da sotto i petali di cemento dei piloni, la torre della televisione risultava molto più impressionante che da lontano. Anche se probabilmente la maggior parte dei moscoviti non era mai salita neppure una volta fino alla piattaforma panoramica, considerando la torre un'imprescindibile caratteristica dell'orizzonte moscovita, utile e simbolica, ma non un luogo di ricreazione. Qui, come in un tubo aerodinamico di bizzarra costruzione, soffiava il vento, e con l'ultima propaggine dell'udito si riusciva a cogliere un suono appena percepibile: la voce della torre.
Rimasi fermo lì sotto, guardando in alto, le griglie e i varchi, il cemento traforato, e la silhouette della torre, flessibile e incredibilmente aggraziata. Perché la torre è davvero flessibile: dischi di cemento appoggiati a cavi in tensione. Tutta la forza è nella flessibilità. Solo nella flessibilità.
Poi varcai le porte a vetri.
Che strano: ero convinto che di gente desiderosa di contemplare ii panorama di Mosca di notte dall'altezza di trecentotrenta metri ce ne fosse un sacco. E invece no. Il viaggio in ascensore lo feci da solo, o meglio, da solo con l'addetta di turno.
— Pensavo che ci fosse molta gente qui — osservai con un sorriso cordiale. — È sempre così la sera?
— No, di solito c'è una bella confusione. — La donna aveva parlato senza manifestare stupore, ma nella sua voce riuscii a cogliere una nota di sconcerto. Poi schiacciò un pulsante e le doppie porte cominciarono a richiudersi. All'istante mi si tapparono le orecchie e mi sentii schiacciare contro il pavimento: la cabina si era lanciata verso l'alto, dolcemente, ma anche molto velocemente. — Saranno un paio d'ore che il flusso si è bloccato.
Un paio d'ore.
Subito dopo la mia fuga dal ristorante.
Se in quel momento in cima alla torre era davvero riunito il quartier generale, niente di strano che centinaia di persone, che in quella bella serata primaverile, limpida e calda, avevano pensato di raggiungere il ristorante sopra le nuvole, avessero improvvisamente cambiato idea. Certo, gli umani non erano in grado di vedere certe cose, ma le percepivano lo stesso.
E, per quanto non coinvolti negli avvenimenti in corso, avevano comunque abbastanza buon senso per non avvicinarsi troppo alle Forze delle Tenebre.
Naturalmente avevo assunto l'aspetto del mago delle Tenebre. La questione fondamentale, adesso, era capire se quel mascheramento fosse sufficiente. Gli incaricati della sicurezza avrebbero confrontato le mie caratteristiche con l'elenco che avevano in memoria, avrebbero trovato il riscontro previsto, e avrebbero percepito la presenza della forza.
E se avessero provato a scavare un po' più in profondità? Se avessero provato a verificare il profilo della forza, a chiarire se si trattava di Luce o di Tenebre, e di quale grado?
Avevo più o meno cinquanta possibilità su cento. Da una parte quella era la procedura prevista. Dall'altra sempre e dovunque gli addetti trascurano i controlli del genere. Magari chi era in servizio quella sera li trovava terribilmente noiosi, o al contrario era stato appena assunto ed era ancora pieno di zelo.
Alla fine il cinquanta per cento di possibilità era una percentuale molto favorevole rispetto a quella che avevo di non farmi trovare dai Guardiani del Giorno per le strade della città.
L'ascensore si fermò. Non riuscii neppure a fermare il flusso dei miei pensieri: in tutto la salita non era durata più di venti secondi. Ci fossero stati ascensori così nei nostri palazzoni!
— Eccoci arrivati — annunciò la donna in tono quasi allegro. Un po' come se fossi stato l'ultimo visitatore della torre di Ostankino, per quella sera.
Uscii sulla piattaforma panoramica.
Di solito lì c'era un sacco di gente. Ed era facile distinguere subito chi era appena arrivato da chi invece c'era già da un po': per l'incertezza dei movimenti, la comica cautela nell'avvicinarsi alla finestra circolare, e per quel gironzolare attorno agli oblò di vetro blindato, saggiando timorosamente con la punta del piede la loro effettiva robustezza.
A occhio e croce i visitatori dovevano essere una ventina. Non c'erano bambini, mentre io chissà perché mi ero già chiaramente immaginato le loro scene isteriche appena saliti sulla torre, e il nervosismo e il disorientamento dei genitori. I bambini infatti sono più sensibili alla presenza delle Tenebre.
Anche gli adulti che erano sulla piattaforma, comunque, avevano l'aria distratta e oppressa. Non li rallegrava neppure lo spettacolo della città spalancata sotto di loro, colorata di luci, brillante, festosa come sempre. Adesso nessuno sembrava apprezzarlo. Il respiro delle Tenebre riempiva l'aria, invisibile ma presente, soffocante come un gas velenoso anche se insapore, inodore e incolore.
Guardai ai miei piedi, trovai la mia ombra e vi entrai. Uno degli addetti alla sorveglianza era a due passi da me, su uno degli oblò di vetro che costellavano il pavimento. Mi fissava con aria amichevole, ma anche un po' stupita. Nel Crepuscolo si muoveva con una certa difficoltà, e capii che il quartier generale non aveva selezionato per la sorveglianza i suoi elementi migliori. Quel ragazzo robusto, giovane, con un severo vestito grigio e una cravatta discreta sulla camicia bianca, aveva più l'aria di un impiegato di banca che di un agente delle Tenebre.
— Ciao, Anton — mi salutò gentilmente.
Per un istante il sangue mi si gelò nelle vene.
Possibile che fossi così stupido? Così mostruosamente, intollerabilmente ingenuo?
E che mi avessero aspettato, e allettato, gettando sul piatto della bilancia l'ennesima pedina, e coinvolgendo addirittura — chissà come — anche lo spettro che mi era venuto incontro all'uscita della metropolitana?
— Come mai sei qui?
Il sangue d'un tratto riprese a scorrere. C'era una spiegazione più semplice, molto più semplice.
Il mago delle Tenebre che avevo eliminato era un mio omonimo.
— Ho notato qualcosa. Devo consultarmi.
Il sorvegliante si accigliò. Forse non gli avevo parlato nel modo giusto. Però non aveva ancora capito.