Giovedì mattina aveva convocato il personale: con un'ordinanza, la pattuglia chiamava in aiuto presso di sé due volontari, e ai restanti comandava di sparire dalla capitale. Dove meglio credevano: alle Maldive, in Grecia, all'inferno, in una dacia in campagna. L'ordine era di non comparire in ufficio prima di lunedì all'ora di pranzo.
Il Capo attese giusto un minuto, finché su ogni faccia non si fu aperto un largo sorriso di gioia, e aggiunse che sarebbe stato bene ripagare con il lavoro l'inattesa fortuna. Con un impegno eccezionale. Perché non si finisse poi per vergognarsi dei giorni spesi inutilmente. Disse che i classici non a torto affermavano: «Il lunedì comincia di sabato» e che, dati quei tre giorni di ferie, eravamo tenuti a completare tutta l'attività di routine nel tempo rimanente.
Ci mettemmo quindi al lavoro, alcuni fino al mattino. Eseguimmo una verifica sulle Forze delle Tenebre rimaste in città e sotto sorveglianza speciale: vampiri, mutantropi, streghe e tutta l'irrequieta marmaglia dei ranghi più bassi. In quel momento, i vampiri non avevano sete di sangue caldo, ma di birra ghiacciata. Le streghe tentavano non di dare il malocchio al prossimo, ma di provocare una pioggerella leggera su Mosca.
Perciò adesso ce ne andavamo in vacanza. Non alle Maldive, naturalmente: il Capo aveva un po' sopravvalutato la munificenza dell'ufficio contabilità. Ma anche due o tre giorni in campagna erano un'ottima cosa. Poveri volontari, rimasti con il Capo nella capitale, a vigilare e fare la guardia!
— Devo telefonare a casa — disse Julja. Si era visibilmente rianimata, quando Semën aveva sostituito la calura che regnava in macchina con la frescura marina. — Sveta, passami il telefonino.
Anch'io mi godevo il fresco. Guardavo le macchine che sorpassavamo: nella maggior parte dei casi i vetri erano abbassati, e la gente ci lanciava occhiate invidiose, sospettando erroneamente che la vecchia automobile disponesse di un poderoso impianto di climatizzazione.
— Tra poco bisogna svoltare — dissi a Il'ja.
— Me lo ricordo. Ci sono stato, una volta.
— Zitti! — sibilò Julja con voce terribile. E si mise a cicalare nel ricevitore: — Mammina, sono io! Siamo già arrivati. Certo, bene! C'è un lago, qui… No, piccolino. Mammina, posso stare solo un minuto, il papà di Sveta mi ha dato il suo cellulare. No, nessun altro. A Sveta? Sì, subito.
Svetlana sospirò e prese il telefono dalla ragazzina. Mi guardò cupamente e io tentai di conferire alla mia faccia un'espressione seria.
— Buongiorno, zia Nataša — fece Svetlana con voce sottile, infantile. — Sì, tanto contente. Sì… No, con i grandi. Mamma è lontana, devo chiamarla? Sì, glielo riferirò… Senz'altro… Arrivederci.
Spense il cellulare e disse: — Ragazza, cosa succederà quando tua mamma chiederà alla vera Sveta come avete passato la vacanza?
— Sveta risponderà che l'abbiamo passata bene.
Svetlana sospirò e guardò Semën in cerca di sostegno.
— L'utilizzo dei poteri magici per scopi personali porta a conseguenze imprevedibili — disse Semën in tono burocratico. — Se ricordo bene, una volta…
— Ma quali poteri magici?! — esclamò Julja con sincero stupore. — Ho detto alla mamma che andavo a una festa con i ragazzi e ho chiesto a Svetlana di coprirmi. Sveta ha protestato un po', ma poi ha accettato.
Dietro il volante, Il'ja fece una risatina. — Mi ci vuole proprio, questa festa — disse, evidentemente senza rendersi conto che la cosa divertiva lui, ma scandalizzava Julja. — Ma sì, che i marmocchi umani se la spassino. Be', che c'è da ridere? Eh?
A ciascuno di noi Guardiani il lavoro porta via gran parte della vita. Non perché siamo sgobboni esaltati, ma uno sano di mente non preferisce il riposo al lavoro? Non perché lavorare sia poi tanto interessante: gran parte della nostra attività consiste in noiosi pattugliamenti o nel logorarsi il fondo dei pantaloni in ufficio. Ma siamo in pochi. La formazione della Guardia del Giorno si completa molto più facilmente: qualsiasi agente delle Tenebre aspira alla possibilità di esercitare il potere. La nostra situazione è completamente diversa.
Eppure, oltre al lavoro, ciascuno di noi custodisce un pezzettino di vita che non cede a nessuno: né alla Luce, né alle Tenebre. È solo e soltanto nostro. Un pezzettino di vita che non nascondiamo, ma nemmeno mettiamo in mostra, e che costituisce ciò che ci rimane della nostra precedente esistenza umana.
Qualcuno alla prima occasione si mette a viaggiare. Il'ja, per esempio, predilige i viaggi turistici ordinari, Semën invece il banale autostop. Una volta andò da Mosca a Vladivostok senza un soldo in un tempo record, ma non poté registrare il risultato presso la Lega dei Liberi Viaggiatori, perché durante il tragitto aveva usato per due volte i poteri magici.
Ignat, e non solo lui, non concepisce alcun tipo di svago all'infuori del sesso. Quasi tutti attraversano questa fase: la vita concede molte più possibilità agli Altri che non agli umani. E che la gente normale provi un'intensa e inconscia attrazione per gli Altri, persino quando questi non vorrebbero, è un fatto risaputo.
Molti di noi sono collezionisti e la gamma si estende dagli innocui appassionati di temperini, ciondoli, francobolli e accendini, fino ai raccoglitori di climi, odori, aure e sortilegi. Una volta io facevo collezione di modellini d'automobile, sperperavo un sacco di soldi per certi esemplari rari che avevano valore solo per qualche migliaio di idioti. Ora tutta questa raccolta giace ammassata in due scatole di cartone. Bisogna che una volta o l'altra le porti in strada e le rovesci sulla piazzuola di sabbia, per la gioia dei bambini.
Anche i cacciatori e i pescatori sono numerosi. Igor' e Garik sono appassionati di paracadutismo estremo. Quella cara ragazza di Galja, la nostra inutile programmatrice, si dedica alla coltivazione dei bonsai. In generale reclamiamo tutta la ricca scorta di svaghi accumulata dall'umanità.
Per cosa invece si appassionasse Tigrotto, da cui in quel momento ci stavamo recando, non riuscivo nemmeno a immaginarlo. Desideravo saperlo quasi quanto fuggire dal caldo infernale della città. Di solito, capitando a casa di qualcuno, si capisce subito qual è la sua piccola "bizzarria".
— Manca ancora molto? — chiese Julja in tono lievemente capriccioso. Avevamo ormai lasciato la strada principale e percorso cinque chilometri di terra battuta, costeggiando un piccolo villaggio di dacie e un fiumiciattolo.
— Siamo quasi arrivati — risposi, dopo aver fatto un confronto con l'immagine della strada lasciataci da Tigrotto.
— No, siamo arrivati nel vero senso della parola — disse Il'ja, sterzando e lanciando la macchina dritto verso gli alberi. Svetlana reagì con maggior calma, ma puntò ugualmente in avanti le braccia in attesa dell'urto.
La macchina sfrecciò attraverso un'intricata macchia di cespugli e piante cadute, e si abbatté contro l'ininterrotto muro d'alberi che le si parava di fronte. Ovviamente non ci fu alcuno schianto. Attraversammo l'oscurità e ci ritrovammo in una magnifica strada asfaltata. Davanti a noi scintillava lo specchio di un laghetto, presso la cui riva sorgeva una casa di mattoni a due piani, circondata da un alto steccato.
— Ciò che mi colpisce dei mutantropi — disse Svetlana — è questa loro tendenza alla riservatezza. Non solo si è nascosta nell'oscurità, ma si è anche costruita uno steccato.
— Tigrotto non è un mutantropo! — s'indignò la ragazzina. — È una maga mutante!
— È la stessa cosa — ribatté Svetlana con dolcezza.
Julja guardò Semën, evidentemente in cerca di supporto. Il mago sospirò. — In effetti, Sveta ha ragione. I maghi da combattimento strettamente specializzati sono essi stessi mutantropi. Solo, con un segno differente. Se, entrando per la prima volta nel Crepuscolo, Tigrotto fosse stata di un umore appena un po' diverso, si sarebbe trasformata in un agente delle Tenebre, in un mutantropo. Sono pochissime le persone per cui tutto è chiaro e definito già in anticipo. Di norma avviene una lotta. Una preparazione all'iniziazione.