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— Un collettivo — disse il Capo — è un microcosmo. Avrei potuto farti questo discorso allo Chance, il gay-club, o al ristorante dell'Unione degli Scrittori, o ancora in una bettola vicino a qualche fabbrica. Non è importante. La cosa essenziale è che vi si formi proprio un collettivo ristretto e chiuso, in un modo o nell'altro isolato dalla società. Non un McDonald's, non un ristorante chic, ma un circolo, palese o nascosto. Sai perché? Noi siamo così. È un modello della nostra Guardia.

Io guardavo in silenzio: un ragazzo con le stampelle si accostò al tavolo vicino, ignorò l'esortazione a sedersi e, appoggiandosi al tramezzo, cominciò a raccontare qualcosa. La musica copriva le parole, ma potevo assimilarne il senso generale attraverso il Crepuscolo. Il paracadute non si era aperto completamente. Era atterrato con quello di riserva. Aveva riportato un bel po' di fratture. Per sei mesi non avrebbe più potuto lanciarsi!

— Qui la compagnia è particolarmente significativa — proseguì senza fretta il Capo. — Rischio. Sensazioni forti. Indecifrabilità da parte degli altri. Slang. Problemi assolutamente incomprensibili per la gente comune. E, già che ci siamo, traumi ricorrenti e morte. Ti piace qui?

Ci pensai e risposi: — No. Qui bisogna essere del gruppo. O non venirci per niente.

— Ma certo. Con qualsiasi microcosmo del genere è interessante entrare in contatto la prima volta. Dopodiché o accetti le sue regole ed entri nella sua piccola società, o vieni rigettato. È così, e noi Altri non facciamo in alcun modo eccezione. Nella sostanza. Ciascun Altro, prendendo coscienza della propria natura, si trova davanti a una scelta. O entra nella Guardia della propria parte, diventando un soldato, un combattente e, inevitabilmente, un condannato a morte, oppure continua a condurre un'esistenza quasi umana, senza sviluppare in modo particolare i poteri magici, sfruttando tutta una serie di vantaggi propri degli Altri, ma assaggiando appieno anche i difetti di questo tipo d'esistenza. La cosa più spiacevole è quando si sbaglia la scelta iniziale. Quando, per questo o quel motivo, l'Altro non ha più voglia di accettare le leggi della Guardia. Ma lasciare la nostra struttura è quasi impossibile. Ecco. Anton, dimmi: potresti esistere fuori della Guardia?

Di certo il Capo non indulge mai a discorsi astratti.

— Forse no — riconobbi. — Sarebbe difficile o praticamente impossibile, per me, trattenermi nei limiti di ciò che è consentito a un mago della Luce ordinario.

— Fuori della Guardia, invece, non potresti giustificare l'uso dei poteri magici con gli interessi della lotta contro le Tenebre. Non è così?

— Sì.

— Ecco dove sta tutta la difficoltà, Anton, tutto il guaio. — Il Capo fece un sospiro. — Ališer, non startene lì impalato.

Comandava il ragazzo letteralmente a bacchetta. Ma ne indovinavo le ragioni senza sforzo: il corriere aveva ottenuto a furia di preghiere un posto nella Guardia di Mosca e adesso ne assaporava le ineluttabili conseguenze.

— La tua birra, agente Anton. — Con un lieve cenno della testa il ragazzo posò il boccale davanti a me.

Presi la birra in silenzio. Quel giovane mago di talento non aveva alcuna colpa. Avremmo sicuramente potuto fare amicizia. Ma in quel momento ero in collera anche con lui: Ališer aveva portato a Mosca ciò che avrebbe separato per sempre me e Svetlana.

— Cosa faremo, Anton? — chiese il Capo.

— Qual è il problema, in sostanza? — risposi, guardandolo con gli occhi devoti di un vecchio sanbernardo.

— Svetlana. Stai agendo contro la sua missione.

— Certo.

— Anton, si tratta di verità elementari. Di assiomi. Non hai il diritto di fare obiezioni contro la politica della Guardia sulla base dei tuoi interessi personali.

— Cosa c'entrano i miei interessi personali? — ribattei con sincero stupore. — Ritengo che tutta l'operazione che si sta preparando sia immorale. Non porterà alcun vantaggio agli uomini. In un modo o nell'altro tutti i tentativi di mutare radicalmente la società umana sono falliti.

— Presto o tardi ci riusciremo. Nota bene: non ci provo nemmeno ad affermare che questa volta ci aspetta il successo. Ma le probabilità non sono mai state così elevate.

— Non ci credo.

— Puoi presentare ricorso alla direzione centrale.

— Faranno in tempo a esaminarlo prima del giorno in cui Svetlana prenderà in mano il gessetto e aprirà il Libro del Destino?

Il Capo chiuse gli occhi. Sospirò. — No. Non faranno in tempo. Tutto avverrà stanotte, non appena scatterà il nostro turno. Soddisfatto?

— Boris Ignat'evič. — Usai di proposito il nome con cui l'avevo conosciuto la prima volta. — Mi ascolti. La prego. Un tempo lei ha lasciato la patria ed è venuto in Russia. Non per gli interessi della Luce, né per la carriera. Per Ol'ga. So qualcosa del suo passato. Gli odi, gli amori, i tradimenti, le generosità. Deve, può capirmi.

Non sapevo cosa aspettarmi. Quale risposta: se un volgersi altrove dello sguardo o la promessa a denti stretti di revocare l'azione.

— Ti capisco alla perfezione, Anton. — Il Capo annuì. — Tu non ti immagini nemmeno quanto. Proprio per questo l'azione proseguirà.

— Ma perché?

— Perché, ragazzo mio, esiste una certa cosa: il destino. E nulla è più potente. Alcuni sono predestinati a cambiare il mondo. Ad altri ciò non è concesso. Alcuni sono predestinati a scuotere gli stati, altri a reggere i fili delle marionette da dietro le quinte, con le mani sporche di gesso. Anton, credimi, so quello che faccio. Credimi.

— No.

Mi alzai, lasciando sul tavolo la birra intatta, con la copertura di schiuma semisvanita. Ališer guardò Geser con aria interrogativa, come se fosse pronto a fermarmi.

— Hai il diritto di fare ciò che vuoi — disse il Capo. — La Luce è in te, ma alle spalle hai il Crepuscolo. Sai cosa provoca un mago infedele. E sai che io sono pronto e tenuto a venirti in aiuto.

— Geser, mio istruttore, grazie per tutto ciò che mi hai insegnato. — Mi inchinai, richiamando gli sguardi curiosi dei paracadutisti. — Non mi considero più in diritto di aspettarmi il tuo aiuto. Hai tutta la mia gratitudine.

— Sei libero da ogni obbligo nei miei confronti — rispose pacatamente Geser. — Agisci come ti ordina il tuo destino.

Era tutto. Aveva rinnegato con facilità l'ex allievo. Del resto, quanti altri allievi simili aveva conosciuto, che non avevano preso coscienza dei fini superiori e dei sacri ideali? Centinaia, migliaia.

— Addio, Geser — dissi. Guardai Ališer. — Buona fortuna, nuovo Guardiano.

Il ragazzo mi fissò con disapprovazione. — Se mi è concesso parlare…

— Di' pure — risposi.

— Se fossi in te non avrei tutta questa fretta, agente Anton.

— Ho indugiato sin troppo a lungo, agente Ališer. — Sorrisi. Nella Guardia mi ero abituato a considerarmi uno dei maghi più giovani, ma tutto passa. Per quel novellino io costituivo già un'autorità. Per il momento. — Un giorno anche tu sentirai il tempo frusciare e scorrerti tra le dita come sabbia. Allora ricordati di me. Buona fortuna.

Capitolo 6

Canicola.

Me ne stavo andando per il Vecchio Arbat. Ritrattisti, suonatori di musica stereotipata, venditori di souvenir tutti uguali, stranieri con l'identico interesse standard negli occhi, moscoviti in preda all'abituale irritazione che passavano di corsa davanti allo sfondo di matriosche…

Scuotervi?

Tenere un piccolo spettacolo?

Fare il giocoliere con i fulmini? Fare il mangiafuoco con fiamme vere? Far sì che il lastricato si aprisse e ne sgorgasse una fontana d'acqua minerale? Guarire una decina di mendicanti storpi? Sfamare i bambini abbandonati che sciamavano tutt'intorno con dolci creati dal nulla?