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Io scesi di sotto, scuotendo il capo. Tra cinque minuti Tigrotto avrebbe dimostrato al ragazzo come mai le era stato assegnato proprio quel nome.

— Salve — bofonchiò Orso, venendomi incontro. — Salve. — Ci scambiammo una breve stretta di mano. Tra tutti gli agenti della Guardia, Orso era quello che suscitava in me le emozioni più strane e contrastanti.

Era poco più alto delia media, robusto e con un volto assolutamente impenetrabile. Non amava parlare troppo. Dove trascorresse il suo tempo libero, dove vivesse non lo sapeva nessuno eccetto, forse, Tigrotto. Si diceva che non fosse nemmeno un mago, bensì un mutantropo. E che all'inizio avesse operato nella Guardia del Giorno per poi, durante una missione, passare dalla nostra parte. Tutto ciò era una totale assurdità: le Forze della Luce non diventavano Forze delle Tenebre e le Forze delle Tenebre non si trasformavano in Forze della Luce. Ma c'era qualcosa in Orso che sconcertava.

— La macchina ti aspetta — disse l'operativo, senza incepparsi. — Il conducente è un asso. Arriverai in un lampo.

Orso tartagliava un po' e per questo costruiva frasi molto brevi. Non aveva fretta, Tigrotto era già al suo posto di guardia. Ma a me non conveniva indugiare.

— Com'è la situazione là, difficile? — chiesi, affrettando il passo.

Da sopra giunse un: — Tutto tranquillo.

Saltando gli scalini, mi precipitai fuori dal portone. La macchina mi stava proprio aspettando, per un attimo sostai a contemplarla. Era un'elegante BMW bordeaux, ultimo modello, con un lampeggiatore attaccato con noncuranza sul tetto. Entrambi gli sportelli dal lato dell'edificio erano aperti e il conducente, che fumava accanitamente e portava una giacca sotto le cui falde s'indovinava una fondina, era mezzo fuori della macchina. Davanti allo sportello posteriore stava un uomo attempato dalla figura monumentale col cappotto sbottonato, che indossava un abito molto costoso, sul risvolto del quale brillava un distintivo da deputato.

— Ma chi crede di essere? Verrò quando mi è possibile! E chi sono, cazzo, quelle puttanelle? Si è bevuto il cervello? Non potete nemmeno fare un passo da soli?

Dopo avermi lanciato un'occhiata, il deputato, senza accomiatarsi, troncò la conversazione al telefono e salì in macchina.

Il conducente aspirò profondamente, gettò la sigaretta e si sistemò al volante. Il motore rombò piano. Non feci in tempo ad accomodarmi sul sedile anteriore che l'auto si mosse. Dallo sportello penetrarono con uno scricchiolio dei rami coperti di ghiaccio.

— Sei diventato cieco? — ruggì il deputato contro l'autista, anche se la colpa dell'accaduto era soltanto mia. Poi il proprietario dell'auto si voltò verso di me e il suo tono cambiò: — Devi andare a Perovo?

Era la prima volta che un rappresentante del potere mi dava un passaggio. E non un ufficiale di polizia o un boss criminale. Capivo che in caso di necessità non faceva differenza per un Guardiano, ma non l'avevo mai sperimentato prima di allora.

— Sì, nello stesso luogo da dove sono venuti i ragazzi. E prima che si può…

— Hai sentito, Volod'ka? — disse il deputato rivolto all'autista. — Accelera!

Volod'ka accelerò tanto che cominciai a non sentirmi bene. Osservavo il tramonto e pensavo: "Chissà se arriveremo davvero…"

Stavamo per arrivare, non solo per l'abilità del conducente e per il nostro coefficiente di fortuna, che nel caso di un Guardiano come me era artificialmente elevato. Sembrava che qualcuno avesse voluto sistemare il campo delle probabilità, eliminando tutti i guasti, gli ingorghi e i vigili troppo zelanti.

Nella nostra sezione cose simili poteva farle soltanto il Capo in persona. Ma perché, mi chiedevo…

— Anch'io non mi sentivo troppo bene… — bisbigliò dalla mia spalla l'invisibile uccello — quando con il conte…

Si zittì, autocensurandosi.

La macchina passò con il rosso a un incrocio, evitando, con una sterzata incredibile, autovetture e furgoni. Qualcuno ci fece un gestaccio con la mano.

— Vuoi un sorso? — chiese amichevolmente il deputato. Mi allungò una bottiglietta di Remy Martin e un piccolo bicchiere di plastica. Era così buffo che io, senza esitare, mi versai una buona dose di cognac. Persino su una strada così dissestata e a quella velocità la macchina rullava dolcemente e non si rovesciava una goccia di liquore.

Restituii la bottiglia, annuii, tolsi dalla tasca la cuffia del walkman, la sistemai sulle orecchie e accesi. Risuonò una vecchissima canzone, Resurrezioni, la mia preferita.

La cittadina era piccola, come un giocattolinoda tempi immemorabili non conoscevamalattie, né invasioni.Sulla torre della fortezza arrugginivain silenzio il cannone,lontano da ogni itinerario.Così di anno in annotutta la città dormivasenza giorni feriali, né di festa.Sognò egli distese di cittàdeserte e di sterili rocce…

Entrammo in autostrada. La velocità della macchina non faceva che aumentare, non avevo mai girato per Mosca a una velocità simile. E non solo per Mosca… Avevo fifa.

Tra le fredde rocce la musica risuonavamentre la città dormiva…Dove ci portava?Chi cercava?Nessuno lo sapeva…

Ricordai Romanov, un Altro. Non iniziato. L'avevano individuato troppo tardi… La richiesta era stata fatta, ma lui aveva rifiutato.

Anche questa è una scelta.

Chissà quante volte aveva ascoltato la notte questa musica…

Chi nell'afa notturna la finestra non chiudevaè svanito.Sono andati a cercare un paese dove la vita fossepiena di vita,sulle tracce delle canzoni…

— Ne vuoi ancora? — Il deputato era la benevolenza personificata. Sarebbe stato interessante capire che cosa gli avevano infuso Orso e Tigrotto. Chi ero io per lui, il suo migliore amico? E lui per me, chi era mai? Il mio eterno debitore? Chi ero dunque io, il figlio illegittimo ma prediletto del Presidente?

Che assurdità! Esistono centinaia di modi di suscitare fiducia negli esseri umani, simpatia e desiderio di aiutare il prossimo. La Luce ha i suoi metodi, peccato che anche le Tenebre non ne abbiano di meno. Che assurdità.

La domanda era un'altra: perché il Capo aveva bisogno di me?

Capitolo 6

Sulla strada mi aspettava Il'ja. Stava lì, con le mani ficcate in tasca e fissava con disgusto il cielo da cui cadeva un lieve nevischio.

— Quanto ci hai messo — si limitò a dire, mentre io, stringendo la mano al deputato per congedarmi, scendevo dall'auto. — Il Capo si è stancato d'aspettare.

— Che cosa sta succedendo?

Il'ja ridacchiò. Ma non c'era l'abituale gioia di vivere nel suo sorriso.

— Ora vedrai… Andiamo.

Percorremmo una stradina, scansando le donne che si trascinavano con le borse del supermercato. Per quanto fosse strano, da noi erano comparsi veri supermercati. L'andatura delle persone però era rimasta quella di sempre, come se avessero appena abbandonato una coda di ore in cambio di violacei cadaveri di pollo…

— È lontano? — chiesi.

— Se fosse lontano, avremmo preso un'auto.

— Ma che cosa ha combinato il nostro campione del sesso? Non ce l'ha fatta?

— Ignat ce l'ha messa tutta — si limitò a rispondere Il'ja. Provai per un momento una sorta di piacere vendicativo, come se il fiasco di Ignat fosse nel mio interesse. Di solito, quando la missione lo richiedeva, tempo due, tre ore si ritrovava nel letto di qualcuna.

— Il Capo si è dichiarato pronto all'evacuazione — disse all'improvviso Il'ja.

— Cosa?

— Del tutto pronto. Se il vortice non si stabilizza, allora gli Altri lasceranno Mosca.

Camminava dinanzi a me e così non potevo guardarlo negli occhi. Ma perché poi Il'ja avrebbe dovuto mentire?