— Chiamavano dei volontari — disse il Capo, senza voltarsi. — Siamo tutti volontari, da tempi immemorabili. E non abbiamo alcun diritto di scegliere.
— Noi invece l'abbiamo. Sempre. — Il mago delle Tenebre fece un'altra risatina.
— Dal momento in cui attribuiamo il diritto di scelta agli esseri umani, lo aboliamo per noi stessi. Zavulon — Boris Ignat'evič lanciò un'occhiata al mago delle Tenebre — non ti stai esibendo davanti al tuo pubblico. Non disturbare.
— Taccio. — Zavulon reclinò il capo e piegò le spalle.
— Cerca di cavartela da solo, Anton — disse il Capo. — Non posso darti consigli. Cerca di farcela, ti prego. E… scorda tutto quello che ti è stato insegnato. Non credere a ciò che ti ho detto io, non credere a ciò che hai scritto nei tuoi appunti, non credere ai tuoi occhi, non credere alle parole altrui.
— A cosa devo credere allora, Boris Ignat'evič?
— Se lo sapessi, Anton, allora lascerei il quartier generale… ed entrerei io stesso in quell'edificio.
Guardammo simultaneamente dalla finestra. Il turbine nero mulinava, ondeggiando ora qua ora là. Un passante, che camminava sul marciapiede, a un tratto svoltò nella neve e prese ad aggirare il vertice del turbine con un giro largo. Notai che sul ciglio avevano già aperto un varco: gli umani non potevano vedere il Male che infuriava sulla terra, ma ne avvertivano la vicinanza.
— Ti proteggerò, Anton — disse a un tratto Ol'ga. — Ti proteggerò e manterrò i contatti.
— Da fuori — disse il Capo, approvando. — Solo da fuori… Va'. Cercheremo di proteggerti al massimo da qualunque sorveglianza.
La civetta bianca volò via dal letto e venne a posarsi sulla mia spalla.
Lanciai un'occhiata agli amici e al mago delle Tenebre, che sembrava caduto in letargo, e uscii dalla stanza.
Mi accompagnarono in silenzio, senza parole superflue, né consigli o incoraggiamenti. Del resto non è che facessi niente di speciale. Andavo solo a morire.
Regnava il silenzio.
Un silenzio sospetto anche in un quartiere dormitorio come quello, a quell'ora della sera. Come se si fossero rintanati tutti in casa, avessero spento la luce e ficcato la testa sotto le coperte e tacessero. Tacessero senza nemmeno dormire. Solo ombre purpuree e azzurrine balenavano sulle finestre: dovunque erano accesi i televisori. Era ormai un'abitudine inveterata, terribile e penosa, accendere il televisore e guardare tutto quel che capitava, dalle televendite alle notizie. Gli uomini non vedevano il mondo del Crepuscolo, ma erano in grado di avvertire la sua presenza.
— Ol'ga, che ne pensi di questo vortice? — chiesi.
— È invincibile — disse.
Stavo lì a guardare il vertice flessibile del turbine simile alla proboscide di un elefante.
— Quanto… a che altezza potresti intervenire per estinguerlo?
Ol'ga ci pensò su: — Circa cinque metri. C'è ancora una possibilità. A tre metri di sicuro.
— E in questo modo la ragazza si salverebbe?
— È probabile.
C'era qualcosa che mi inquietava. In questo silenzio anormale, ora che persino le auto cercavano di aggirare il quartiere condannato, si udivano comunque dei suoni…
Poi capii. Erano i cani che guaivano. In tutti gli appartamenti delle case circostanti dei poveri cani indifesi si lamentavano penosamente con i loro padroni. Vedevano approssimarsi l'inferno.
— Ol'ga. Forniscimi tutti i dati sulla ragazza.
— Svetlana Nazarova. Venticinque anni. Medico, lavora al Policlinico 17. Fuori del controllo della Guardia della Notte. Fuori del controllo della Guardia del Giorno. Non ha rivelato poteri magici. I genitori e il fratello minore vivono a Brateevo; con loro ha contatti sporadici, soprattutto telefonici. Quattro amici sorvegliano che sia tutto "pulito". Rapporti con le persone sereni, non è stato rilevato nessun forte conflitto.
— Fa il medico — dissi io, assorto. — Forse questo è un indizio, Ol'ga. Magari un vecchio o una vecchia… insoddisfatti della cura. Negli ultimi anni di vita a volte possono verificarsi esplosioni di poteri magici latenti…
— Occorre controllare… — replicò Ol'ga. — Per ora non abbiamo dati in tal senso.
Eh, già. Era sciocco buttarsi a indovinare. Per mezza giornata sulla ragazza avevano operato persone decisamente più intelligenti di me.
— Cosa abbiamo ancora?
— Gruppo sanguigno: 0. Non risultano patologie gravi, sporadici e lievi dolori cardiaci. Il suo primo rapporto sessuale l'ha avuto a diciassette anni con un coetaneo, per curiosità. È stata sposata per quattro mesi ed è divorziata da due anni, con l'ex marito è in rapporti amichevoli. Niente figli.
— Poteri del marito?
— Zero. Ha una nuova moglie, anche lei zero poteri. Immediatamente eseguiti i controlli.
— Nemici?
— Due colleghe maligne al lavoro. Due spasimanti respinti, sempre sul luogo di lavoro. Un compagno di scuola che sei mesi fa ha cercato di ottenere un certificato ospedaliero falso.
— E…
— Lei si è rifiutata.
— Però! E come sono messi a poteri magici?
— Praticamente zero. Il livello di malvagità è quello ordinario. Tutti quanti hanno poteri magici deboli. Non sarebbero mai capaci di scatenare un turbine come questo.
— Si sono verificate morti di pazienti negli ultimi tempi?
— No.
— E allora da dove viene la maledizione? — dissi, facendo una domanda retorica. Ora era chiaro come mai i Guardiani si fossero arenati. Svetlana era proprio una brava bambina. Cinque nemici in venticinque anni, c'era da esserne fieri.
Ol'ga tacque.
— Dobbiamo andare — dissi. Mi voltai verso la finestra dove si scorgevano i profili dei ragazzi. Uno della sorveglianza mi fece un cenno di saluto. — Ol'ga, come ha lavorato Ignat?
— Mediamente bene. Incontro per strada, secondo la variante "intellettuale imbranato". Un caffè al bar. Conversazione. Il livello di attrazione nell'oggetto si è subito accresciuto, Ignat ha optato per un atteggiamento di maggiore intimità. Ha comprato una bottiglia di spumante e una di liquore e sono venuti qui.
— E poi?
— Il turbine ha cominciato ad aumentare.
— Motivo?
— Nessuno. Ignat le era piaciuto, anzi, lei cominciava a sentire una forte infatuazione per lui. Ma in quel momento la dimensione del vortice è aumentata in modo catastroficamente rapido. Ignat ha sperimentato tre stili di comportamento, giungendo persino all'inequivocabile richiesta di fermarsi la notte e il vortice è arrivato a uno stadio esplosivo. È stato richiamato e il vortice si è stabilizzato.
— E come hanno fatto a richiamarlo?
Ero già congelato e avvertivo uno sgradevole senso di bagnato negli scarponi. Non ero ancora pronto a intervenire.
— «La mamma sta male.» Telefonata al cellulare, la conversazione, le scuse, la promessa di richiamare l'indomani. Tutto "pulito", l'oggetto era al di sopra di ogni sospetto.
— E il vortice si è stabilizzato?
Ol'ga tacque. Evidentemente doveva essersi messa in contatto con gli analisti.
Eppure c'era qualcosa che non andava. Solo che non potevo formulare in nessun modo i miei vaghi sospetti.
— Dov'è il suo ambulatorio, Ol'ga?
— Qui, da queste parti. Nella casa. Da lei vanno abbastanza spesso dei pazienti… Dicono che si è persino ridotto di tre centimetri. Ma potrebbe essere un normale assestamento dopo l'aumento di dimensioni.
— Magnifico. Allora andrò da lei in veste di paziente.
— Hai bisogno di essere dotato di una finta memoria?
— Me la caverò.
— Il Capo approva — rispose Ol'ga dopo una pausa. — Agisci. Il tuo travestimento è quello di Anton Gorodeckij, programmatore, scapolo, in cura da tre anni per ulcera gastrica, vive nello stesso stabile; in caso di necessità forniremo servizi logistici.